Antonio Cassano

Antonio Cassano (@ilsecoloditalia)

Antonio Cassano (@ilsecoloditalia)

 

Il talento preso a schiaffi

Bari, aeroporto Karol Wojtyla, afosa estate del 2042. Un giovanissimo giornalista romano scende da un aereo proveniente dalla capitale ed è fortunato a beccare un taxi al volo. La sua destinazione è invece un enigma; il giornale per cui lavora gli ha chiesto un’intervista stuzzicante, ma problematica.

Ha comunque un mezzo accordo con questo ex calciatore, nato da queste parti giusto sessant’anni prima e che arrivò (troppo?) presto in cima per poi rotolare indietro quasi senza rendersene conto. Il reporter è altresì curioso di sapere come mai costui, al secolo Antonio Cassano (12 luglio 1982), non sia mai diventato un campione vero, un idolo dall’imperituro ricordo calcistico. Già, perché era un talento, ha letto e visto qualcosa negli archivi storici: estro, tecnica di base, velocità nel breve, piede delicato come una piuma, dribbling mozzafiato e una montagna di fantasia. Cassano era davvero questo? Sì, un vero campione: parole dell’anziano tassista tifosissimo del Bari, che ricorda con nostalgia quel periodo, con la sua squadra del cuore protagonista in A.

L’arte del ricordo

Così, mentre cercano il 60enne Cassano per il centro e per la periferia, è proprio il loquace tassista a scatenare l’arte del ricordo.

Poco più che adolescente, Antonio proveniva da uno dei quartieri popolari di Bari, “Carbonara”, e stupì tutti con un fenomenale gol-vittoria contro l’Inter quando beffò gente del calibro di Blanc e Panucci per poi segnare il memorabile 2-1 per i galletti pugliesi. Mister Fascetti, che lo aveva fatto debuttare a 17 anni una settimana prima contro il Lecce, aveva visto giusto: Cassano era un diamante purissimo, un condensato di tecnica sopraffina. Resta in Puglia per un paio di stagioni, dispensando magie, tocchi degni di Roberto Baggio o dei grandi fantasisti del tempo: per lui 6 reti in 48 partite. Non ha neanche vent’anni quando passa alla Roma per quasi 60 miliardi delle vecchie lire. E per chi vede i suoi numeri in campo non è affatto una cifra esagerata…

Il sorriso di Antonio Cassano

Il sorriso di Antonio Cassano

 

Roma è il suo primo potenziale trampolino di lancio, il club è ambizioso e con idee molto chiare: vincere e dare spettacolo. Non per caso il pilastro dei giallorossi è un certo Francesco Totti, che con Antonio condivide lo stesso credo calcistico. Il calcio è pura arte, il pallone il tramite per regalare gioie. Quando in campo ci sono loro l’estasi collettiva è assicurata.

Per Antonio l’ombra delle “cassanate” comincia a consolidarsi proprio in questo periodo. Un matrimonio indissolubile: Cassano e i capricci, le bizze, le ingiurie, le volgarità, gli allenamenti saltati, le battute infelici, la mancanza di disciplina, la maleducazione, i diverbi e talvolta la violenza. Tutto questo e altro sono le “cassanate”, termine inventato da Capello proprio a Roma e che ha coinvolto un po’ tutti, dagli allenatori (Delneri vince per distacco? Forse, ma la lista è infinita) ai compagni di squadra, dai giornalisti ai tifosi passando per gli arbitri. Il rischio era ed è che, come nel quinquennio capitolino, ai posteri resti solo il gesto delle corna (con corollario di insulti in pugliese stretto) all’arbitro Rosetti nel 2003?

Dalla Roma al Real

Cassano a Roma segnò più di 50 reti in 160 partite e deliziò una platea esigente, ma calorosa e passionale.

Peccato che non vinse nulla, ma il rimpianto maggiore fu paradossalmente il successivo trasferimento al Real Madrid. Da quelle parti amano la fantasia al potere, non i geni incompresi. L’unica cosa che gli iberici videro di lui fu la pancia, Antonio si ambientò solo in cucina e venne soprannominato El Gordito, il Grassottello. Superfluo ribadire che era un’altra chance buttata al vento, Cassano fu relegato ai margini, giocando pochissimo e segnando ancora meno. Capitò che Fabio Capello era nuovamente il suo allenatore, ma Antonio pensò di schernirlo davanti ai compagni in un pre-partita imitandolo e imbastendo una caricatura alquanto comica. Ma se Dio perdona, don Fabio proprio no! Cassano fu bandito dalla squadra.

La verità spesso si trova seguendo la via più semplice, le risposte sono talvolta banali. Cassano soffriva e soffre le tensioni eccessive, lo stress e le responsabilità dei grandi club. È di certo un limite, però le sue esperienza alla Sampdoria, subito dopo la farsa madrilista, e in parte al Parma dimostrano che in squadre di medio (o al massimo medio-alto) cabotaggio il suo estro difficilmente si inceppava.

A Genova, Antonio Cassano giocò campionati entusiasmanti e si divertì come un bambino a deliziare il pubblico con guizzi e magie degne dei migliori numeri 10 del passato. In tutto 43 gol, dozzine e dozzine di assist e colpi da giocatore di biliardo: col compagno di reparto Pazzini poteva giocare bendato, l’intesa era perfetta e portò la Samp addirittura in Champion’s League. Qualcuno li paragonò a Vialli-Mancini, vecchie leggende blucerchiate. Con la Samp il termometro delle “cassanate” registrò frequenze minori, ma i litigi con Delneri e la sceneggiata del 2008 con l’arbitro Pierpaoli (lancio di maglia, rissa da osteria, sceneggiata napoletana negli spogliatoi) lo ricondussero di nuovo nella “non” retta via.

Col Parma, fra il 2013 e il 2015, restò quasi sempre in carreggiata finché i problemi societari non gli fornirono un alibi, per una volta fondato e solido, per scatenare polveroni e discussioni bibliche: in gialloblu 18 reti in 56 presenze. Prima della parentesi emiliana, tuttavia, Cassano ebbe modo di disimpegnarsi anche con entrambe le squadre di Milano: Milan e Inter di certo non lo inseriranno mai nelle liste di chi ha fatto la storia dei rispettivi club, ma qualche lampo riuscì ad esprimerlo.

Continuo nella discontinuità, non un aforisma ma Antonio Cassano.

Coi rossoneri vinse pure lo Scudetto 2010-2011, non essendo comunque mai pedina insostituibile. Del resto, nel suo palmarès figura pure la Liga 2006-2007, nonostante le pochissime apparizioni col Real.

Lo stucchevole finale di carriera è come un monotono disco rotto, ed è lo stesso tassista a voler glissare sulle ultime patetiche disavventure.

Una "cassanata"

Una “cassanata”

 

Magari è meglio parlare dell’Italia, suggerisce lui…

Antonio, che con l’Under 21 ebbe accesi diverbi con il selezionatore Claudio Gentile, è fra i pochissimi ad aver trovato il gol personale proprio al debutto con la Nazionale maggiore. Aveva solo 21 anni e segnò in amichevole contro la Polonia, vittoriosa 3-1, il 12 novembre 2003. Riuscì a convivere dignitosamente con Trapattoni, che lo aveva fatto debuttare, e Cesare Prandelli: con entrambi fu protagonista positivo dei Campionati europei del 2004 e del 2012. Non arrivò nessun titolo, ma specialmente nell’edizione del 2012, in Ucraina e Polonia, fece sognare tutta una nazione contribuendo al raggiungimento della finalissima. Fin dalle eliminatorie regalò gol e assist a piene mani e formò con l’altra testa calda Balotelli un binomio effervescente e redditizio. Purtroppo la Spagna in finale impose la legge del più forte e stravinse per 4-0. Anche quell’avventura non regalò un lieto fine.

Per una volta Cassano, che aveva superato mesi prima un piccolo problema cardiaco, avrebbe meritato qualcosa di più della medaglia d’argento. Con l’Italia ci tocca ricordare un pessimo e tormentato rapporto con Lippi, ma anche le 10 reti realizzate in 39 apparizioni.

Un talento bruciato

Proprio mentre sta prendendo questi ultimi appunti, il nostro giornalista conosce ed è vittima dell’ultima “cassanata”. Antonio non si presenta all’intervista concordata, il tassista quasi se lo sentiva ma non può certo considerarsi colpevole. Poco male, afferma il ragazzo, c’è materiale a sufficienza per scrivere il suo pezzo.

E ha deciso che non sarà affatto tenero con lui, perché Cassano è riuscito a distruggere, oltre alla sua carriera, anche uno degli assiomi del grande Sir Matt Busby, il vecchio manager del Manchester United degli anni sessanta, capace di riuscire a far rigar dritto persino George Best. Busby amava ripetere che «il talento alla fine affiora sempre». Lo puoi mortificare, sminuire, ma è destinato a vincere.

Cassano invece ha perso, inutile girarci intorno: forse Busby l’avrebbe messo in riga, fatto ragionare, l’avrebbe preso a schiaffi o calci nel sedere. Con quali risultati? Non lo sapremo mai.

Probabilmente Carmelo Bene, pugliese d’eccezione come Antonio, taglierebbe corto sulla questione:
«Cassano? Il talento fa quello che vuole, il genio fa quello che può…»

Lucio Iaccarino
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