Nino Musella

Gaetano Musella @SavonaNews

Gaetano Musella @SavonaNews

 

Gli assist del cuore

«Papà, cosa farò da grande? Diventerò mai un calciatore famoso, magari in serie A?».

Era il copione di tutte le sere, quando l’amore paterno di un uomo vigoroso, ma spossato dalla giornata di lavoro aveva la meglio sul resto del mondo. Rientrando in casa, il padre di famiglia moltiplica le forze per sorridere e tirare due calci al pallone insieme al suo ragazzo.

«Certo, potrai diventare tutto quello che vuoi. Avvocato, dottore, pilota d’aerei o proprio  calciatore, se ci tieni tanto: hai il talento, la passione, l’entusiasmo e l’età per fare qualsiasi cosa».  Dimenticò di dire fortuna, in fondo non costava nulla. Forse solo per scaramanzia…

Gaetano era nato nel gennaio del 1960 e da bambino giocava a pallone con chiunque gli capitasse a tiro; una moltitudine di amici per strada, nel fantasioso quartiere di Fuorigrotta, a due passi dalla casa e dallo stadio del Napoli. Ma pure all’oratorio, o in uno dei tanti campetti malandati e improvvisati della città. Quando la mamma gli suggerì di far riposare il papà, lui annuì subito e capì che poteva ripagare i sacrifici dei suoi genitori in un modo solo: sfruttare il suo talento.

Un bambino prodigio

Metteva sempre il cuore davanti, Gaetano Musella, fin da ragazzino. Generoso fuori e dentro il campo da gioco, Nino si guadagnò l’appoggio e la stima nelle giovanili del Calcio Napoli, che era per lui la squadra del cuore.

Attaccante piccolo e inafferrabile nel primo scatto, furbo e svelto come una volpe, Musella aveva una sontuosa tecnica di base e il piede destro calibrato come pochi. Debuttò nella prima squadra del Napoli una settimana prima del suo diciottesimo compleanno, con Di Marzio allenatore: Napoli-Bologna 0-0, 15/01/1978.

Come lui stesso ricordò sempre, fu il regalo più gradito. La stagione successiva, il 1978/79, giocò in prestito col Padova in C1 e si mise in luce con 8 reti in 23 presenze. Vedeva la porta, ma soprattutto vedeva i compagni d’attacco che serviva con passaggi illuminanti e con sorprendente altruismo: gli assist erano la specialità di casa Musella. Ne erano sempre più convinti anche a Napoli; a quei tempi del resto le giovani promesse erano un punto fermo.

Un intenso primo piano di Nino @Napoli Today

Un intenso primo piano di Nino @Napoli Today

 

Nino rientrò l’anno dopo, con Luis Vinicio in panchina, e cominciò a essere utilizzato piuttosto frequentemente, anche se quasi mai titolare. Fu una stagione di assestamento un po’ per tutti: Musella e il Napoli erano pronti a far saltare il banco nell’incredibile stagione 1980-81.

L’olandese Ruud Krol era l’indovinatissimo straniero scelto dai partenopei per l’apertura delle frontiere nella nostra serie A: il nuovo allenatore era Rino Marchesi, nella rosa spiccavano il “giaguaro” Castellini in porta, Ferrario e Bruscolotti in difesa, senza dimenticare Vinazzani, Guidetti, Speggiorin, il centravanti Pellegrini e l’eterno Damiani.

Nino Musella si integrava alla perfezione in quell’organico, un punto di riferimento per gli azzurri. Non solo titolare, ma addirittura indispensabile: disputò tutte le partite del campionato, senza saltarne neanche una. In quelle 30 occasioni sciorinò assist a ripetizione (il principale beneficiario fu Pellegrini, 11 gol in totale), realizzando anche 5 gol personali: col Catanzaro, col Torino, a Firenze, Brescia e di nuovo Torino coi granata (negli ultimi tre in trasferta e risultando decisivo per le vittorie).

Per diverse giornate il Napoli cullò il sogno del primo scudetto, contendendo il titolo a rivali ben più blasonati: al fotofinish la spuntò la Juventus davanti a Roma e Napoli. Gli azzurri e il giovane Musella potevano comunque essere soddisfatti: Nino stava scalando le gerarchie del successo ed era ormai più di una promessa. Da segnalare anche l’esordio nella Nazionale Under 21, dove collezionò 7 presenze e 1 gol.

Dissidi e difficoltà

L’anno successivo, il 1981-82, registrò forse un leggerissimo calo di prestazioni sia per Nino che per il Napoli, ma nulla di tragico. Anzi, i partenopei si confermarono solida realtà in campionato con un buon quarto posto e Musella furoreggiò ancora in attacco con 27 presenze e 3 gol. I tifosi lo coccolavano; la somiglianza col cantante-attore Nino D’Angelo, che in quegli anni era conosciutissimo non solo in Campania, aggiungeva brio e simpatia allo scugnizzo di Fuorigrotta.

In quelle canzoni o in quei film c’è spesso il lieto fine e le incomprensioni, o gli equivoci, si risolvono sempre. Nel destino e nella carriera dell’incolpevole Nino Musella, invece, stavano per affacciarsi ombre e immeritate incongruenze astrali, domande e punti interrogativi che ancora oggi non hanno risposte…

Forse qualche errore lo commise anche lui, giusto dire anche questo, ma il conto da saldare fu comunque troppo salato. Il primo crack fu la decisione di lasciare Napoli, complici dissidi con la dirigenza di Ferlaino e il nuovo tecnico Giacomini, e di accasarsi al Catanzaro. Musella fu coinvolto e purtroppo complice del naufragio dei calabresi, che in due stagioni passarono dalla serie A alla serie C: due retrocessioni da record.

Pure le gambe e lo smalto di Gaetano si erano smarriti, assist e gol arrivarono col contagocce. Un parziale riscatto, suo e della squadra, si concretizzò nel 1984-85, con la vittoria del campionato di C1 e il ritorno in cadetteria; Musella diede il suo contributo con 4 gol in 18 presenze. Un brutto infortunio ridimensionò i nuovi propositi di felicità, come un colpo di scure nel momento sbagliato. Strappò un buon contratto col Bologna in serie B e non sfigurò affatto: 4 gol in 29 presenze e la fantasia che riaffiorava, magari a corrente alternata ma con lampi di assoluta grandezza.

Ma stava entrando nel limbo, inutile girarci intorno. Problemi di natura tattica, o la sommatoria di altri piccole incongruenze, stavano per offuscare Nino e i suoi sogni. Sarebbe bello poter raccontare che qualcuno nell’ambiente gli avesse teso una mano o lo avesse aiutato con un consiglio, un suggerimento concreto o un gesto di stima, di riconoscenza. Se qualcuno gli avesse detto dove stava eventualmente sbagliando e correggere, smussare gli angoli…

Era sempre stato altruista, magnanimo, sensibile: aveva avuto un buon rapporto con tutti i compagni di squadra, in ogni spogliatoio metteva l’amicizia davanti alla professione ed era impossibile non volergli bene. E pure questo fu un errore? Il Bologna fu il suo ultimo club davvero importante; Musella restò nel calcio ma solo in serie C1 e C2. Vestì le casacche di Nocerina, Ischia, Palermo, Empoli e Juve Stabia. Proprio a Castellammare di Stabia, a pochi chilometri dalla “sua” Napoli, vinse un campionato di C2 da assoluto protagonista, sfiorando addirittura la serie B l’anno dopo.

I tifosi impazzivano per Nino Musella, maestro sui calci di punizione e sui tiri dalla distanza, letale nei dribbling e persino goleador infallibile. Gaetano era il direttore d’orchestra che dipingeva assist e giocate finissime: forse il palcoscenico non era prestigiosissimo ma in fondo sognare, in una dimensione o in un’altra, non è sempre bello?

Gaetano Musella in campo

Gaetano Musella in campo

 

Chiuse la carriera di calciatore nei Dilettanti con il Latina, a 36 anni, e provò con entusiasmo quella di allenatore, cominciando a lavorare nel settore giovanile del Napoli. Si accorse amaramente che gli ex presunti amici di questo mondo avevano almeno un pregio, quello della coerenza. Nessuno lo aiutò prima, nessuno aveva intenzione di aiutarlo adesso… Ma Nino sorrideva lo stesso e, anzi, amava ancora quel carrozzone che qualcuno chiama ancora “calcio”.

Un epilogo ingiusto

Era felice di allenare i giovani, insegnando loro l’aspetto tattico e soprattutto quello tecnico, ogni singola giocata e i trucchi del mestiere. In dieci anni lavorò quasi sempre in squadre dilettanti campane come Sangiuseppese, Puteolana, Sorrento e Casertana. Successivamente con la Sanremese, in C2, allenò il figlio Alessandro. Agli albori del 2009 lasciò quella che sarebbe stata la sua ultima squadra, il Campobasso. Voleva continuare a lavorare, ma trovò altre porte e portoni chiusi; di Musella si persero le tracce fino al 30 settembre 2013.

Nino fu stroncato da un infarto fulminante in un piccolo comune vicino a Savona, in Liguria. Aveva appena 53 anni. Meglio tralasciare l’esercito di galoppini e ipocriti che si definirono stupefatti, scioccati e allibiti per la prematura dipartita del loro “amico”; giusto soffermarsi sul vero paradosso della sua storia. L’epilogo sembra davvero ingiusto.

Ma come? Gaetano Musella aveva sempre messo il cuore in tutto quello che faceva, e proprio il cuore l’aveva tradito?

Forse, però, cambiando prospettiva, il finale è meno malinconico. Basterebbe immaginarlo ora in un mondo in cui le persone sono tutte come lui. In questo c’è un sollievo, un conforto e addirittura un insegnamento. Nino ha finalmente capito la sua natura: adesso sa meglio di tutti noi che il suo talento non è andato sprecato.

Lucio Iaccarino
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