Beppe Bergomi

Beppe Bergomi

Beppe Bergomi

 

Uno “Zio” da leggenda

Per Giuseppe Iaccarino (1979-2014)
L’unico modo per avere un amico è essere un amico…
Vola in Paradiso, Peppe!

Sono soltanto tre lettere ma c’è sempre stato qualcosa di rassicurante e benevolo nel pronunciare o ascoltare quella parolina. Per molti è quasi un punto fermo: zio è, in ambito familiare, uno degli affetti più veri, limpidi e universalmente riconosciuti. Per molti è come la scissione papà-fratello; un confidente, un amicone, un punto di riferimento su cui poter sempre contare. E poi c’è il caso estremo, raro ma da tutti sognato, dello zio d’America che lascia in eredità qualche milione di dollari o una villa al mare… Nel calcio italiano l’unico vero zio era ed è tuttora Giuseppe Bergomi da Milano (22 dicembre 1963); la storia nel suo caso è molto meno cervellotica. Galeotti furono i baffoni che sfoggiava fin da ragazzino; in pratica Beppe e i suoi baffi debuttarono insieme in serie A (prima apparizione nel febbraio del 1981), e come i capelli per Sansone c’era qualcosa di magico in questo giovane ma rampante difensore. E proprio perché gli conferivano un’età nettamente superiore a quella reale, Bergomi era per tutti “Zio”. Soprattutto quando si ritrovò a giocare il campionato del mondo del 1982 in Spagna, il soprannome era già sulla bocca di tutti e tale sarebbe rimasto per anni e anni. Il Commissario tecnico degli azzurri Enzo Bearzot, da buon intenditore, aveva intuito subito le grandi potenzialità di questo terzino-difensore: versatile, impeccabile in marcatura, tempista ma razionale e lucido nel gestire anche le situazioni peggiori. Dopo essere stato scartato dal Milan, si era ben distinto con l’Inter e giocò la prima gara con l’Italia nell’aprile del 1982 sostituendo Luciano Marangon nell’amichevole Germania Est-Italia 1-0, a Lipsia. Entrò quindi nel lotto dei convocati per il mondiale spagnolo dove si ritagliò uno spazio importante giocando le tre partite conclusive della fantastica cavalcata azzurra. Sostituì al 34’ Fulvio Collovati in Italia-Brasile 3-2 (con la storica tripletta di Pablito Rossi), mentre fu titolare nella semifinale con la Polonia (2-0) e nella finalissima con la Germania Ovest (3-1). C’erano anche i baffi di Beppe Bergomi (che ancora oggi balzano subito agli occhi nella foto pre-gara) nella strepitosa festa del Bernabeu di Madrid. Era l’11 luglio 1982.

Lo "Zio" in nerazzurro

Lo “Zio” in nerazzurro

 

Il paradosso di Bergomi era che quando invecchiava sembrava più giovane, e proprio perché decise di tagliarsi i baffi, una scelta che comunque non ebbe traumatici effetti come nel caso di Sansone. Il difensore nerazzurro era infatti destinato ad una lunghissima e felice militanza nell’Inter, che restò il suo unico club. Una volta le chiamavano bandiere. Come nei matrimoni più lunghi, per lui ci sono state pagine felici ed altre meno gioiose: di certo il suo temperamento, la grande professionalità unita ad un cospicuo bagaglio tecnico e l’attaccamento ai colori sono punti fermi e irremovibili dell’uomo e dell’atleta lombardo. In venti stagioni consecutive, Bergomi ha vinto un solo scudetto, ma che scudetto! L’Inter del 1988-89, guidata in panchina da quella vecchia volpe di Giovanni Trapattoni, fu uno schiacciasassi e un rullo compressore: 58 punti (record per i campionati con 2 punti per vittoria), miglior attacco, miglior difesa, miglior media inglese e col capocannoniere Aldo Serena con 22 reti. Beppe era il faro difensivo; con lui in difesa spiccavano il portierone Walter Zenga e lo stopper Riccardo Ferri. L’organico era amalgamato alla perfezione, con stranieri del calibro di Ramón Díaz, Andreas Brehme e soprattutto Matthäus ben supportati dai vari Nicola Berti, Alessandro Bianchi e lo stesso Serena. Anzi, viene da chiedersi come mai ingranaggi così ben oliati non portarono altre vittorie in campionato fra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta.
Beppe continuò, nel corso degli anni, a confermarsi un difensore d’altri tempi. I baffi erano ormai solo un ricordo, ma lui restava un marcatore inflessibile, duro ma leale e sempre corretto. L’evoluzione del calcio, con moduli sempre più spregiudicati anche per chi lavora nelle retroguardie, non ha mai intaccato quel suo stile coriaceo e scrupoloso, come un vecchio combattente geloso della sua missione. Con l’Inter, insieme allo scudetto (e purtroppo non arrivò mai la vittoria di una Coppa dei Campioni), Bergomi si specializzò in un’altra competizione europea prestigiosa, la Coppa Uefa. Siamo sicuri che Zio Beppe preferisce senz’altro questa nomenclatura rispetto alla moderna e gemella Europa League: resta la certezza che ne ha conquistate ben tre, un record insieme alle 96 presenze ufficiali.

Bergomi durante la finale del Mondiale 1982

Bergomi durante la finale del Mondiale 1982

 

La prima Coppa Uefa, quella dell’edizione 1990-91, fu sofferta e avvincente come raramente accade. Bergomi guidò l’Inter nei campi di mezza Europa, con un’incredibile rimonta ai sedicesimi di finale: nerazzurri sconfitti 2-0 in trasferta a Birmingham dall’Aston Villa ma capaci di un perentorio 3-0 a San Siro, con reti di Klinsmann, Berti e Bianchi. L’Inter, inoltre, ebbe la meglio sulla rivelazione Atalanta ai quarti di finale e sullo Sporting Lisbona in semifinale. L’atto conclusivo fu un altro e ben più difficile derby, con la Roma di Ottavio Bianchi. All’andata, l’8 maggio 1991 a Milano, l’Inter si impose 2-0 con Matthaus e Berti. Nella bolgia dell’Olimpico, davanti a circa 71.000 spettatori, il ritorno fu entusiasmante soprattutto negli ultimi minuti. Rizzitelli all’80° portava in vantaggio i giallorossi, seguirono minuti di grande furore e carica agonistica. La prova di Bergomi, al solito, fu l’essenza della concretezza e della grinta: dopo un abbondante recupero l’incontro terminava 1-0 per la Roma. Ma la Coppa era dell’Inter! Nel 1994 la sua seconda vittoria europea fu forse la più sorprendente, quasi paradossale. I nerazzurri furono assolutamente mediocri in campionato, dove fra cambi tecnici e acquisti sballati si rischiò il clamoroso tracollo in serie B; oltretutto è proprio uno degli slogan dei tifosi: “Mai stati in B!”. Quella volta l’Inter ci andò vicino, chiudendo al 13° posto con 31 punti, appena uno in più del retrocesso Piacenza. Il calcio è anche questo: quella squadra alla deriva vinse la Uefa eliminando Rapid Bucarest, Apollon Limassol, Norwich, Borussia Dortmund e il Cagliari in semifinale. Nella finale doppio 1-0 contro l’Austria Salisburgo: Bergomi quell’anno giocò quasi sempre da centrale, dispensando tempismo ed esperienza a tutti, persino all’allenatore Gianpiero Marini. Zio Beppe ha sempre giocato con grinta e personalità, caratteristiche che tutti i grandi campioni in quegli anni hanno sempre apprezzato. Matthaus e Ronaldo rappresentano i massimali delle generazioni che ha attraversato, assi che hanno sempre speso parole al miele per lui. Il Fenomeno fu accolto e svezzato quasi come un figlio da Bergomi, che aiutò l’inserimento del brasiliano sia in campo che fuori. La terza vittoria in Coppa UEFA ha proprio il marchio del genio carioca, che quando era in forma era imprendibile anche per un marziano. Firmò sei reti in tutta la competizione, compresa quella conclusiva nella finale unica con la Lazio (ancora un derby italiano) insieme a Iván Zamorano e Javier Adelmar Zanetti. In campo a Parigi, era il 6 maggio 1998, Bergomi non era fra i titolari e non entrò neanche durante la gara. Ma il trofeo gli fu subito dedicato con Ronaldo stesso a urlare ebbro di gioia: «Un Capitano! C’è solo un capitano».

Bergomi durante la finale del Mondiale 1982

Bergomi durante la finale del Mondiale 1982

 

Il tramonto calcistico, quello che prima o poi arriva anche per i campioni, fu accettato da Bergomi con la signorilità e lo stile di sempre. In Nazionale chiuse nel luglio del 1998, subito dopo la sconfitta ai rigori con la Francia nei quarti di finale della Coppa del mondo. Giocò anche i mondiali del 90 in Italia e quelli dell’86 in Messico, saltando solo l’edizione statunitense del ’94 col CT Arrigo Sacchi che optò per altri difensori. Nelle sue 81 presenze totali ci sono anche sei gol; spicca una doppietta con la Grecia in un’amichevole del 1987 a Bergamo. Con l’Inter, invece, l’addio si concretizzò nel 1999; quasi una premonizione, una delle ultime bandiere che si mette da parte all’alba del nuovo millennio. Bergomi, che comunque aveva espressamente dichiarato di non pretendere il posto fisso in squadra e nessuna agevolazione, fu silurato dall’allenatore Marcello Lippi. Nessuna polemica, Zio Bergomi era troppo saggio per avere dei nemici e andò via in punta di piedi; con 756 gettoni ufficiali (519 in serie A) è al secondo posto nella classifica dei calciatori con più presenze nell’Inter. Nel podio, al primo e al terzo posto, due leggende come Javier Zanetti e Giacinto Facchetti. E siccome non c’è due senza tre, possiamo affermare che anche Beppe Bergomi è una leggenda dell’Internazionale di Milano.

Lucio Iaccarino
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