Virgilio Felice Levratto

Virgilio Felice Levratto

Virgilio Felice Levratto

 

L’indimenticabile “sfondareti”

Virgilio Felice Levratto è uno di quei calciatori passati direttamente dallo stadio alla leggenda. Nato a Carcare, in provincia di Savona, il 24 ottobre 1904, il ragazzo iniziò la sua carriera nel Vado, portandolo, con il gol decisivo della finale, ad una storica vittoria nella prima edizione della Coppa Italia.

Era il 16 luglio 1922 e la partita con l’Udinese si era trascinata sulla parità sino al 118’. In quel momento, un formidabile tiro da fuori area del centravanti non solo superò il portiere friulano, ma tra l’incredulità dei presenti sfondò addirittura la rete. Era nata una stella.

L’anno dopo Felice approdò al Verona, segnando 15 reti su 20 partite giocate, e finalmente, nel 1925, coronò il sogno di ogni ligure di allora, giungendo a vestire la maglia rossoblù del Genoa.

Dotato di un fisico imponente e di un’ottima tecnica, Levratto poteva già considerarsi un giocatore completo, il miglior attaccante italiano e probabilmente uno dei migliori d’Europa. La sua caratteristica principale rimase sempre il sinistro devastante. Le micidiali conclusioni cui aveva abituato i tifosi gli procurarono in breve il soprannome di Sfondareti e gli stadi iniziarono a riempirsi al suo arrivo. L’attesa era tutta per le sue esibizioni: in un’epoca in cui non esisteva ancora la televisione, ognuno voleva constatare con i propri occhi la realtà dei racconti e molte volte Levratto non deluse le aspettative. Gli annuari calcistici riportano un incredibile score di porte distrutte ed avversari abbattuti, una realtà (pur favorita dal peso del pallone di cuoio e dalla minor resistenza del tessuto della rete) che oggi fatichiamo ad accettare.

Una carriera prestigiosa

Levratto rimase con i Grifoni per sette stagioni e 188 presenze, collezionando la bellezza di 84 gol. Il Genoa tuttavia, pur con il fascino della squadra più titolata d’Italia, non fu in quegli anni in grado di consentirgli uno scudetto, anche se vi andò vicino in almeno due occasioni: nel 1928, preceduto di un niente dal Torino, e due anni dopo, battuto allo sprint dall’Inter, nel primo Campionato a girone unico.

Proprio all’Inter, divenuta Ambrosiana per volere del regime, Levratto fu ceduto nel 1932, per poi passare alla Lazio nel 1934. Purtroppo il periodo migliore era ormai alle spalle e un brutto infortunio, all’età di 32 anni, lo costrinse verso le serie minori, dove fece in tempo a togliersi ancora qualche soddisfazione con Savona e Cavese. Non fu invece troppo felice la carriera di allenatore, anche se si trovò ad essere il secondo di Fulvio Fuffo Bernardini nel 1955-56, stagione del primo scudetto della Fiorentina.

Levratto ebbe maggior fortuna in Nazionale, con la cui maglia giocò 28 volte, segnando 11 reti. L’esordio avvenne all’Olimpiade di Parigi, cui il ligure partecipò come titolare, a soli 19 anni e nonostante militasse in Seconda Divisione nel Vado. In quei Giochi l’Italia arrivò quarta, ma la fama del ragazzo di Carcare si diffuse in tutto il mondo per un episodio che ebbe dell’irreale, accaduto allo stadio Général John Joseph Persingh il 29 maggio 1924.

un gol di Levratto

un gol di Levratto

 

Si giocava l’ottavo di finale contro il Lussemburgo e gli azzurri conducevano già per 2-0, quando un passaggio di Adolfo Baloncieri lanciò Levratto solo davanti al portiere. Il seguito lo apprendiamo dalle memorie di Vittorio Pozzo, il leggendario CT che a Parigi tornava per la seconda volta alla guida della Nazionale. Racconta Pozzo che la terribile legnata del centravanti colse al mento il malcapitato Étienne Bausch, il quale fece un balzo verso l’alto e ricadde a terra come un pugile atterrato. Poiché non sembrava riprendersi e un filo di sangue gli usciva dalla bocca, tutti gli si fecero attorno, mentre Levratto, in genovese, ripeteva disperato «U l’ho matou!» («L’ho ammazzato!»). La realtà era per fortuna molto meno grave. Semplicemente, la tremenda bordata aveva colpito il povero portiere mentre teneva la lingua tra i denti, e il contraccolpo ne aveva tagliato un pezzo.

Poiché non esistevano ancora le sostituzioni, Bausch, sommariamente medicato, dovette tornare tra i pali. Il caso volle che dopo soli cinque minuti si trovasse nuovamente di fronte lo smarcato Levratto. Evidentemente deciso a non ripetere la recente e traumatica esperienza, il portiere con un balzo si allontanò dalla porta, si accucciò per terra e si coprì il volto con le mani. Come dargli torto? Levratto, ragazzone bonario e di ottimo spirito, rimase così divertito dalla scena che un po’ per il gran ridere, un po’ per non umiliare l’avversario, tirò fuori dalla porta vuota, tra gli applausi del pubblico.

La ribalta olimpica

Quattro anni dopo, ad Amsterdam, il centravanti ligure confermò che l’Olimpiade gli era particolarmente congeniale, e trovò il modo di far nuovamente parlare di sé i quotidiani di tutto il mondo. Durante la semifinale del 5 giugno 1928 contro l’Uruguay, un suo sinistro da venti metri distrusse la rete alle spalle del portiere avversario, tra lo sbalordimento del pubblico non abituato, come quello italiano, a simili prodezze. Purtroppo il suo gol (quarto in quattro partite) e quello di  Baloncieri non furono sufficienti per consentire agli azzurri il passaggio alla finale. La squadra sudamericana, futura vincitrice del torneo, vinse per 3-2, ma Levratto divenne un idolo degli olandesi e fu eletto miglior giocatore.

Levratto con la maglia della Nazionale

Levratto con la maglia della Nazionale

 

Gli azzurri si classificarono terzi, e quel bronzo fu l’unico premio tangibile (assieme alla Coppa Italia con il Vado) che il centravanti riuscì a centrare. La Grande Italia di Pozzo era ormai alle porte, ma l’anagrafe impedì a Felice la partecipazione a quel ciclo memorabile, tenendolo lontano da vittorie mondiali e ori olimpici.

Tuttavia, Levratto era Levratto e, a dispetto dei pochi allori raccolti in una carriera lontana da quanto avrebbe meritato, la sua leggenda è arrivata intatta ai nostri giorni. Negli Anni Quaranta il Quartetto Cetra cantava le sue gesta nel popolarissimo ritornello «Sei meglio di Levratto – ogni tiro va nel sacco – oh, oh, oh, oh, che centrattacco!!!» e ancora nei Settanta il grande Paolo Villaggio citava più volte il centravanti del Genoa in una tra le più divertenti pagine del mitico Fantozzi. Riconoscimenti non da poco, per il ligure Sfondareti.
Levratto morì a Genova il 18 settembre 1968, rimpianto dall’intera città e da tutti gli sportivi italiani.

Danilo Francescano
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