Steaua campione d’Europa

lo Steaua campione d'Europa 1986

la Steaua campione d’Europa 1986

 

Una finale a sorpresa

Affrontare in una partita secca un club già plurititolato a livello internazionale, annoverando tra i propri titolari diversi giovani calciatori che l’anno prima non sono andati oltre il primo turno della Coppa delle Coppe. Non sono certo queste le migliori premesse per giocare una finale europea.

Se a questo si aggiunge che il portiere avversario para i primi due rigori nella decisiva “lotteria” dopo i tempi supplementari, il quadro è ancora più fosco… O forse no.

L’impresa sportiva che raccontiamo oggi ha avuto luogo il 7 maggio 1986. Al Ramón Sánchez Pizjuán di Siviglia, la Steaua di Bucarest si presenta come apparente vittima sacrificale contro il super-favorito Barcellona all’appuntamento della finale della Coppa dei Campioni – così si chiamava ancora ai tempi il trofeo dalle grandi orecchie.

Nelle fila catalane militano star internazionali del calibro di Bernd Schuster e del capitano Alexanko, mentre dietro alla squadra spinge un’intera regione, perché il Barça, per la sua storia legata a doppio filo con quella della Catalogna, è més que un club, più di un semplice club. Si spiega così la massiccia preponderanza di tifosi blaugrana a Siviglia? Non solo. Il rapporto di cinquantanove a uno tra i sostenitori delle due squadre ha in realtà ragioni politiche, oltre che evidenti motivazioni geografiche. La Romania degli anni Ottanta è una dittatura guidata dal Conducător Nicolae Ceauşescu, il quale, forse anche per paura di richieste di asilo politico in massa, permette soltanto a mille funzionari rumeni di seguire la squadra a Siviglia. Intanto, è opinione comune, le speranze di vittoria sono pressoché pari a zero.

Pronostico sfavorevole

Tutto, davvero tutto, sembra giocare a sfavore della Steaua, orario della finale compreso. La squadra rumena, infatti, non è abituata a scendere in campo di sera: in patria si gioca soltanto con la luce naturale perché in tutto il paese soltanto uno stadio è dotato di un impianto di illuminazione artificiale.

Eppure, nonostante tanti fattori negativi, chi conosce in maniera più approfondita la Steaua non la dà così facilmente per spacciata. Ne sa qualcosa l’Anderlecht dell’allenatore Arie Haan, ex-centrocampista famoso in Italia per aver fatto gol a Dino Zoff con un tiro da quaranta metri durante i Mondiali del 1978. I belgi, nel ritorno della semifinale a Bucarest, sono stati letteralmente surclassati, non solo nel risultato, un rotondo 3-0, ma in quanto a tecnica e ritmo. D’altra parte, se i giocatori della Steaua mancano di esperienza internazionale, dall’altra possono compensare con un talento immenso.

una fase della finale

una fase della finale

 

A segnare i gol ci pensa la coppia composta da Gavril Balint e Victor Pițurcă, supportata dalle folate di Marius Lăcătuș, funambolica ala destra (oggi sarebbe definito “esterno offensivo”), potente quanto resistente. In mezzo al campo è László Bölöni a dettare i tempi, mentre il perno difensivo è Miodrag Belodedici, un centrale che per classe, fisicità, visione di gioco e capacità negli inserimenti offensivi non ha nulla da invidiare ad altri liberi della sua epoca, Franco Baresi incluso. In porta c’è Helmuth Duckadam, che della finale e del dopo-finale sarebbe diventato un protagonista assoluto.

Senza una dirigenza capace, però, anche un buon gruppo di calciatori difficilmente crea l’amalgama che permette di raggiungere grandi traguardi. Nel caso della Steaua, l’uomo-chiave fuori dal campo si chiama Valentin Ceauşescu. Non si tratta di una semplice assonanza: Valentin è proprio il figlio del dittatore. “Un raccomandato”, si potrà pensare, oppure: “Un arrogante dall’alto della sua parentela con il dittatore”. La realtà, però, è diversa. La famiglia non vede di buon occhio il suo impegno nel calcio, mentre a differenza del fratello Nicu – una sorta di fusione di Emilio Fede e Silvio Berlusconi dedito ad alcol, gioco e donne – Valentin, laureatosi in Inghilterra, non si comporta da figlio viziato, anzi, si fa ben volere dai calciatori e si distingue come esempio di serietà e di affidabilità. I giocatori lo stimano con sincerità e nel dicembre 1989, quando il dittatore e la moglie vengono giustiziati dopo un processo sommario durante la Rivoluzione rumena, è lo stesso Lăcătuș a offrire rifugio a Valentin fino al calmarsi delle acque.

Helmuth Duckadam, l'eroe della serata

Helmuth Duckadam, l’eroe del match

 

A completare il quadro delle persone giuste nel contesto giusto è Emerich Jenei, l’allenatore. È lui che, con una mossa a sorpresa, manda in campo il veterano trentaseienne Anghel Iordănescu a pochi minuti dal termine per riequilibrare la squadra, dare tranquillità ai compagni e traghettarli verso i rigori, un’autentica chimera prima dell’inizio della partita.

Lì, come si diceva, Francisco  Urruticoechea, detto comunemente Urruti compie un piccolo capolavoro e para i primi due tiri di Mihail Majearu e soprattutto di Bölöni, a dimostrazione del fatto che dagli undici metri anche la classe cristallina può non bastare. Tuttavia, Helmuth Duckadam non è da meno: José Ramón Alexanko e Ángel Pedraza calciano molto bene, ma il numero uno della Steaua è un gatto e respinge due volte con due interventi strepitosi.

L’eroe della partita

Il terzo lo tira Lăcătuș, che a differenza dei compagni va dritto e forte con un missile che tocca la traversa e gonfia la rete. A questo punto tocca di nuovo al Barcellona e Pichi Alonso sceglie ancora la destra di Duckadam, il quale addirittura blocca: la Steaua è in vantaggio. Gli azulgrana iniziano a temere il peggio e lo stadio, che era stato una bolgia per due ore, ora si fa più silenzioso, anche perché Balint è un cecchino e calcia il rigore migliore della serata spiazzando Urruti. Due a zero. Per rimanere in corsa, il Barça deve segnare il tiro successivo. Dal dischetto si presenta Marcos Alonso Peña in un silenzio irreale. Sceglie la sinistra di Duckadam, il quale però ha la stessa idea e in un attimo l’impossibile è diventato possibile: la Steaua è campione d’Europa e il suo numero uno ne è l’eroe… Ironia del fato: la partita della gloria sarà per l’allora ventisettenne baffuto portiere anche l’ultima; i maligni sostengono che sia stato punito fisicamente dalle autorità per aver affermato che l’automobile datagli in premio non fosse un riconoscimento adeguato a chi aveva contribuito a ricoprire di gloria la patria. La realtà, raccontata anche dall’interessato, parla invece di una grave trombosi alle mani che ne pregiudicò la carriera.

lo Steaua in trionfo

la Steaua in trionfo

 

Diverso, invece, il destino dei suoi compagni, destinati a vincere ancora in Romania e in Europa fino al 1989, quando il Milan degli olandesi riporta la Steaua sulla terra con un terrificante 4-0 in finale di Coppa dei Campioni, mentre la Rivoluzione rumena dà il via a una diaspora di campioni che porterà tra gli altri Lăcătuș alla Fiorentina, senza però grande successo, e la nuova stella Gheorghe Hagi al Real Madrid.

L’unico ad alzare nuovamente la coppa dalle grandi orecchie sarà Belodedici, naturalizzato jugoslavo con il cognome Belodedić, pilastro difensivo della grande Stella Rossa Belgrado vincitrice della Coppa dei Campioni nel 1991, l’ultima squadra dell’Est ad aggiudicarsi il trofeo più ambito e l’ultimo club a vincerlo prima che il torneo assumesse la forma dell’odierna Champions League, sancendo così la fine di un calcio meno danaroso, ma senza dubbio più romantico e imprevedibile, ma questa è un’altra storia.

Daniele Canepa
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