Nadia Comăneci
La Numero Dieci
Sulla Romania non si è ancora allungata la mano di Nicolae Ceaușescu (al potere dal 1965), quando ad Onești, cittadina industriale all’ombra dei Carpazi, in un piccolo appartamento tra i fumi delle fabbriche, nasce Nadia Comăneci, l’incarnazione ginnica della perfezione. Nadia come Nadežda, la protagonista del film russo al quale papà Gheorghe e mamma Ştefania-Alexandrina si ispirano per regalare alla figlia un nome che significa speranza. Lei non deluderà le attese. Quel 12 novembre 1961 s’invola verso la leggenda. Sette volte il punteggio di dieci all’Olimpiade di Montréal 1976: Nadia riscriverà la storia della ginnastica artistica.
Che la ragazzina fosse una predestinata lo intuisce prima di tutti, osservandola nella palestra della scuola, il coach Béla Károlyi. Nadia ha un temperamento vivace, corre e salta. Soprattutto salta. A forza di farlo, in casa ha già rotto quattro divani. Karolyi, che ha aperto in città un centro sportivo con la moglie Marta, non vuole lasciarsela sfuggire, ma la perde di vista quando termina l’intervallo e lei rientra in classe. La cerca aula per aula, chiedendo alle scolare a chi piaccia la ginnastica. La trova poco dopo: «A me, a me!».
Il provino nella palestra di Károlyi Nadia lo supera con una naturalezza sbalorditiva. Le viene chiesto di saltare dopo una rincorsa di quindici metri sulla trave alta un metro e venti. Nadia non ha paura – «non conosceva la paura» dirà di lei Károlyi – e balzata sulla trave, dieci centimetri di larghezza, vi cammina sopra come lungo un marciapiede. A sei anni le si aprono le porte di una carriera folgorante che costruisce immolando la sua giovinezza.
Talento e tenacia
Nadia si allena quattro ore al giorno, sei giorni alla settimana; ripete e ripete gli esercizi, senza mai invocare una pausa. Passano pochi mesi ed è già pronta per i campionati nazionali juniores, in cui si piazza al tredicesimo posto. Non male per una bambina di sette anni, ma Károlyi non è soddisfatto, le regala una bambola portafortuna e le ordina: «Mai più un tredicesimo posto!». Sa di avere tra le mani un gioiello, lo plasma, lo forgia e l’anno dopo arriva la medaglia d’oro. Nadia, otto anni e la bambola di Károlyi sotto il braccio, trionfa per la prima volta nella sua vita: la prima di tante.
Nel 1971 entra nella Nazionale di ginnastica, con cui partecipa alla Coppa dell’Amicizia in Bulgaria, dove conquista due medaglie d’oro che le valgono altrettante nuove bambole. Una collezione che cresce proporzionalmente ai suoi successi, facendo presagire un imminente salto nel firmamento professionistico. A 13 anni, la pupilla di Károlyi si misura con la ginnastica che conta, sfidando il suo idolo Ludmilla Ivanovna Tourisheva agli Europei del 1975. Risultato: una medaglia d’argento, quattro medaglie d’oro. Nadia è la regina di Skien, ma cerca la consacrazione internazionale.
I Giochi Olimpici di Montréal del 1976 sono dietro l’angolo, se pure dopo un’infuocata vigilia di scontri politici, che sfociano nel boicottaggio di Taiwan e di molti stati africani. Sarà proprio lei a riscattare l’Olimpiade canadese. Quattordici anni sono pochi, ma non per i suoi sogni. L’allieva di Károlyi – 153 centimetri per 39 chilogrammi – si presenta alle parallele asimmetriche con un body bianco a strisce rosse sui fianchi e il numero settantatré. Ha i capelli raccolti in una coda di cavallo, e una frangia che si apre su due occhi concentratissimi, che guardano gli staggi e poi per terra, verso la pedana da cui spicca il volo, dopo un breve respiro, la ginnasta totale. La Comăneci esegue movimenti precisi, rapidi, librandosi con leggerezza da uno staggio all’altro. Nel suo corpo, la forza del leone e la grazia della farfalla: Nadia sembra nuotare, così dice un cronista, in un oceano d’aria.
Quando conclude la sua performance, il pubblico, che l’ha seguita in estatico silenzio, l’accoglie con un’ovazione. Attende col fiato sospeso il voto, e improvvisamente sul display compare un 1.00. Uno per dire dieci, perché il computer è stato programmato per registrare votazioni solo fino a 9.99: Nadia è la prima ginnasta di sempre ad ottenere il massimo punteggio che, in seguito, consegue altre sei volte mandando in visibilio un Forum mai così gremito. In totale, vince tre medaglie d’oro, una d’argento e una di bronzo.
La ragazzina diventa una stella mondiale, ma è anzitutto una stella rumena e Ceaușescu approfitta della sua popolarità per ripulire l’immagine del regime. Il dittatore riceve Nadia e le conferisce la medaglia d’oro di Eroe del Partito Socialista, invitandola a trasferirsi a Bucarest. Lei perde la testa – complici anche l’allontanamento di Károlyi dalla Federazione e il divorzio dei genitori –, si allena poco e grida la sua solitudine ingerendo della candeggina.
Ma si rialza e centra due ori e un argento agli Europei del 1977 e un oro e due argenti ai Mondiali del 1978. Un anno dopo, ritrovato il riabilitato Károlyi, Nadia sigla con tre ori e un bronzo gli Europei e vince con la Romania il titolo mondiale a squadre. Non la ferma neppure un misterioso avvelenamento e il conseguente ricovero in ospedale. C’è tempo per recuperare. Ora l’obiettivo è a due passi da casa: Mosca 1980, l’Olimpiade del boicottaggio americano.
Nadia/Nadežda punta a un nuovo traguardo: ripetersi ai Giochi, impresa ai limiti dell’impossibile in una disciplina che brucia le sue atlete nel giro di pochi anni. Ma lei è una fuoriclasse, e si presenta in URSS all’apice della forma. Tramuta in oro il bronzo di Montréal nel corpo libero, ottiene il podio più alto nella trave e lo conquisterebbe anche nel concorso generale individuale se la giuria non le preferisse la campionessa di casa Yelena Victorovna Davydova, con un verdetto assai discutibile. Nadia fa spallucce, e chiude con un altro argento, inanellando la sua nona medaglia olimpica.
Fuga dal regime
È a questo punto che decide di mollare, provata nel fisico e nello spirito da anni di ostinato lavoro. I cinque ori alle Universiadi del 1981 sono la sua ultima perla. Nadia viene arruolata tra gli allenatori della nazionale rumena all’Olimpiade di Los Angeles, ma già sogna di lasciare la Romania. Sfuggirà alla morsa del regime, che non vuole privarsi di un simbolo nazionale, e di Nicu Ceaușescu, il figlio del Conducător con cui intreccia una pericolosa liaison, solo alla vigilia della Rivoluzione, scappando a piedi verso l’Ungheria una notte del novembre del 1989.
Oggi Nadia Comăneci vive in Oklahoma, dove gestisce col marito ed ex campione olimpico Bart Conner una scuola di ginnastica. È madre di una bambina, attiva promotrice di numerose iniziative benefiche e ambasciatrice dello sport della Romania. Riconciliarsi con il suo paese e il suo passato è stata forse la vittoria più sofferta, ma le ferite non guariscono d’incanto e Nadia lo ha capito col tempo: la perfezione è una categoria dello sport, non della vita.
Graziana Urso
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