Antonella Ragno

Antonella Ragno

Antonella Ragno

 

Nel nome del padre

Per l’ennesima volta si spengono le luci, s’illumina la pedana, si azzera il tabellone. Tra gli spalti affollati della Fechthall di Monaco cala nuovamente il silenzio: sta per cominciare il dodicesimo round del barrage di finale del fioretto individuale femminile. Quello decisivo.
In realtà, a seguire, ce ne sarebbero ancora tre ma, qualunque sarà il loro esito, non potranno più incidere nell’assegnazione delle medaglie. Con questo, infatti, i giochi sono fatti. Ad assistere, nei pressi dell’area tecnica, c’è Antonella Ragno, stretta accanto al marito Gianni e al Maestro Pignotti.
Non sta più nella pelle, la schermitrice azzurra: ha da poco terminato i suoi cinque incontri previsti e si trova, contro ogni pronostico, in testa alla classifica provvisoria con uno score di 19-13. Un vantaggio importante che, male che vada, le garantirà comunque la medaglia d’argento.

un primo piano della Ragno

un primo piano della Ragno

 

Antonella, però, non può accontentarsi, non questa volta. Come darle torto? Si trova a un passo da quell’oro olimpico che le sfugge da ben dodici anni. Un oro che ha promesso anni prima a suo padre. Deve solo sperare che la francese Marie-Chantal Depetris-Demaille, di fatto fuori dalla zona medaglie, vinca contro la sovietica Galina Gorochova che, al contrario, è ancora in corsa per il podio più alto e, dunque, motivatissima.
Curioso, perché dopo la griglia eliminatoria nessuno, tra giornalisti e addetti ai lavori, avrebbe scommesso un soldo bucato su Antonella. Sconfitta nella poule eliminatoria da modeste avversarie, come la britannica Clare Henley-Halsted, la tedesca occidentale Brigitte Oertel e la polacca Halina Balon, la Ragno è riuscita a qualificarsi ai quarti di finale per il rotto della cuffia. Suo è infatti il terzo posto – l’ultimo disponibile – del girone, in virtù delle fortunose vittorie contro la svizzera Fabienne Regamey e la statunitense Ann O’Donnell, combinate a una fortunata serie di risultati ottenuti dalle altre avversarie (con cui, invece, ha perso).
Difficoltà niente affatto casuali. Ad Antonella, infatti, manca il giusto ritmo della gara, l’odore della sfida, l’adrenalina che scorre nelle vene prima di ogni stoccata decisiva. In questi ultimi mesi ha disputato troppi pochi incontri ad alto livello per poter affrontare le difficoltà di un torneo olimpico esibendo la necessaria condizione mentale.

Figlia predestinata

Eppure per lei, essere arrivata fin qua è già di per sé una specie di miracolo. Solo quattro anni prima, infatti, la brava schermitrice veneziana era, di fatto, un’ex atleta. L’ennesima delusione patita a Città del Messico, il dolore per la successiva scomparsa del padre-allenatore, e l’esigenza non più rimandabile di diventare finalmente mamma sembravano averla allontanata definitivamente dalla scherma.
E invece no. Qualche mese dopo la nascita del piccolo Lorenzo, nel 1970 la Ragno risale in pedana e torna ad allenarsi. A seguirla, dunque, non c’è più papà Saverio, oro olimpico a Berlino nel 1936 in quella squadra di spadisti che aveva avuto come punta di diamante Edoardo Mangiarotti. La Federazione, che crede ancora in lei, la invita così a trasferirsi al Circolo Raggetti, a Firenze, sotto le cure di Ugo Pignotti. Anche l’anziano Maestro vanta un oro alle Olimpiadi: è successo ad Amsterdam , nel 1928, nel concorso a squadra di fioretto.

a Monaco 1972

a Monaco 1972

 

Che destino, per la Ragno! Sembra che le circostanze della vita continuino, imperterrite, a obbligarla a conquistare per forza l’alloro olimpico, forse ancora di più della sua effettiva volontà. Prima papà, ora Pignotti: grandi atleti del passato, carichi di gloria e di vittorie, ma entrambi uniti dal cruccio di non essere riusciti a conquistare la medaglia più ambita nelle discipline individuali, ma solo in quelle di squadra. Già, il papà…
Antonella sembra nata apposta per riscattare quell’antica delusione. O almeno è quello che pensa suo padre mentre la vede crescere. E, tuttavia, non ha fretta, il Maestro Saverio, nel perseguire il suo disegno. Tanto è sicuro che l’obbiettivo prima o poi sarà raggiunto. Aspetta che la ragazza abbia compiuto quindici anni – e, dunque, abbia «il fisico a posto» – prima di metterle finalmente in mano una spada. È il 1955 e l’olimpionico di Berlino comincia, con pazienza, abilità e tenacia, la sua lenta costruzione di un’atleta formidabile e destinata al successo. In cambio le strappa la promessa di portare in casa Ragno quell’oro olimpico che a lui è sfuggito.
Saranno le qualità nascoste nei suoi geni, sarà che in casa ha sempre respirato aria di scherma, sarà la voglia di non deludere le aspettative paterne, fatto sta che Antonella apprende così bene i suoi insegnamenti da diventare, in breve, una delle schermitrici più forti a livello giovanile. La specialità che predilige è il fioretto, col quale conquista fin da subito titoli italiani e prestigiosi piazzamenti in giro per il mondo.

Delusioni olimpiche

Finché, nel 1960, le si schiudono le porte della Nazionale e, con essa, l’Olimpiade romana. E fa subito il botto: bronzo nel concorso a squadre di fioretto e semifinale sfiorata nella categoria individuale. Davvero niente male per una ventenne che ha iniziato a calcare le pedane solo da cinque anni.
Da qui in poi comincia una carriera ricca di vittorie e soddisfazioni. In Italia non ha praticamente rivali, all’estero non sempre raccoglie ciò che si merita, anche se è considerata tra le più forti fiorettiste in circolazione. Antonella, del resto, ha le qualità di una fuoriclasse: stile, classe, potenza, forza, tecnica e agilità. Ciò che le manca, forse, è solo la tranquillità necessaria per reggere fino in fondo lo stress delle competizioni internazionali.
Il suo chiodo fisso, del resto, si chiama oro olimpico. Sente di doverlo, prima ancora che a sé stessa, al padre Saverio che ha sempre creduto in lei e che aspetta paziente quel riconoscimento che a lui è inopinatamente sfuggito sulla pedana di a Berlino. Nel frattempo la ragazza si è fidanzata con Gianni Lonzi, pallanuotista della Pro Recco e, a sua volta, medaglia d’oro ai Giochi di Roma.
L’Olimpiade di Tōkyō diventa così il suo obbiettivo primario. Ogni competizione a cui partecipa, dopo il 1960, in Italia o all’estero, è solo una tappa di avvicinamento all’agognato traguardo.
Ma le cose, durante i Giochi nipponici, non vanno come sperato. Antonella si libera ben presto delle incertezze e dei timori patiti nella poule eliminatoria, approdando in finale dopo aver facilmente avuto ragione delle sue avversarie sia nei quarti che in semifinale. Ma durante il barrage finale qualcosa, purtroppo, va storto.
La veneziana parte col piede sbagliato, rimediando subito due sconfitte, poi fortunatamente si riprende e comincia a risalire la china, inanellando una minisequenza di vittorie. L’obbiettivo è lì, a portata di mano, ma allo scontro decisivo arriva scarica e nervosa. Per l’esperta magiara Ildikó Ságiné è uno scherzo conquistare la medaglia d’oro, mentre la Ragno scivola al terzo posto. Risultato prestigioso, è vero, ma insufficiente a placare l’amarezza dell’azzurra.

Saverio Ragno è il secondo da sx

Saverio Ragno è il secondo da sx

 

La delusione, per fortuna, passa alla svelta. Antonella, lungi dal darsi per vinta, si rimbocca le maniche e torna ad allenarsi con impegno ancora maggiore. In fondo è ancora giovane e l’Olimpiade in terra messicana sembra fatta apposta per soddisfare, una volta per tutte, la sua aspirazione. Il papà, in ogni caso, non la rimprovera, anzi fa di tutto per non farla sentire in colpa. Tanto sa, in cuor suo, che prima o poi l’oro olimpico sua figlia lo metterà al collo. È stato un atleta di valore, il Maestro Saverio, certe cose le sa, le intuisce. Alla sua ragazza non manca nulla per arrivare là dove lui ha fallito. Deve solo aspettare.
Antonella Ragno arriva alla vigilia dell’Olimpiade forte del secondo posto conquistato l’anno prima ai Mondiali di Montréal. Questo la rende, di diritto, una delle principali candidate alla vittoria finale e lei lo sa. Ma, ancora una volta, una circostanza imprevista rallenta il suo cammino prima ancora che sia iniziato. Poco prima dell’inizio dei Giochi, infatti, il padre di Gianni muore all’improvviso, gettandola nello sconforto. Davanti agli occhi della veneziana si profila ancora una volta lo spettro della sconfitta. Che, puntualmente, arriva.
Con le gambe molli e il morale rasoterra, Antonella esibisce fin dalle prime battute una scherma approssimativa, lontana mille miglia dalle sue possibilità, tanto che non va oltre i quarti di finale. I giornali, all’ennesima delusione, infieriscono sulla sua inguaribile mancanza di autocontrollo nei momenti che contano, sul non riuscire mai concentrarsi a dovere quando servirebbe. Ciò che le manca, invece, è solo la serenità e la consapevolezza di non sentirsi mai completamente padrona della sua vita.

Momentaneo ritiro

Ed ecco allora la svolta decisiva. Basta con la scherma, basta con fioretto, allenamenti, pedane, trasferte, avversarie che ti guardano dall’alto in basso. Basta con i sacrifici. La Ragno si guarda allo specchio e vede riflessa una donna di ventotto anni che ha rinunciato a tutto per inseguire un sogno che, nei fatti, si è rivelato impossibile. È arrivato il momento di entrare nella vita reale, costruirsi una famiglia, fare dei figli. Vivere, insomma. E così fa.
Nel 1969 Antonella sposa il suo amato Gianni e resta subito incinta. Ma niente, per Antonella, deve essere semplice. Il padre, infatti, la figura che fin lì ha dominato la sua vita, viene a mancare qualche mese dopo. Sarebbe facile, adesso, dire che il vecchio Maestro decide di arrendersi non appena si accorge che il suo sogno per interposta persona è svanito per sempre. Facile, ma ingiusto. Così come facile, ma ingiusto, sarebbe affermare che, liberatasi dal fardello emotivo costituito dalle aspettative del padre, Antonella decide, l’anno dopo, di tornare in pedana.
Perché non è così. O, comunque, non è solo così. Le dinamiche relazionali tra genitori e figli – si sa – sono per loro stessa natura estremamente complesse e spesso misteriose. Tutte le interpretazioni fatte su questo argomento non sono altro che delle mere congetture, potenzialmente lontanissime dalla realtà. L’indubbio peso che da sempre ha gravato sulle spalle dell’atleta azzurra può, dopo la scomparsa del padre, essersi invece aggravato per il senso di colpa di non essere riuscita a regalargli in vita quella medaglia d’oro inseguita per tanti anni. Non lo sapremo mai.

L’ultimo tentativo

Ciò che sappiamo, invece, è che nel 1970 Antonella si trasferisce a Firenze e, rimboccatasi le maniche, comincia l’ennesima scalata al sogno olimpico. L’obbiettivo massimo, questa volta, è la qualificazione per i Giochi di Monaco e classificarsi tra le prime dieci fiorettiste del mondo. Tutto ciò che eventualmente verrà in più sarà tanto di guadagnato.
Il Maestro Pignotti è bravo ed esperto, e sa come motivare i suoi atleti. In pochi mesi rimette in forma la ragazza, la sprona, la motiva tanto che, nel 1971, vince ancora una volta il Campionato Italiano. Il tempo, però, è poco e le occasioni per combattere ad alto livello non sono molte. Ma i progressi ci sono e l’atleta veneziana viene meritatamente convocata per la sua quarta Olimpiade. Ecco perché, per lei, essere arrivata fin qua è già di per sé una specie di miracolo.
Ed ecco perché ora Antonella non sta più nella pelle. Per una volta che è partita senza i favori del pronostico si trova inaspettatamente a un passo da quella maledetta medaglia d’oro. I suoi cinque incontri del barrage di finale, di cui tre contro delle atlete mancine – che ha sempre sofferto oltre ogni logica –, si sono conclusi con quattro vittorie e una sola sconfitta, rimediata proprio contro la Gorochova. Guarda caso una “destra”.
È stato durante il duello contro Elena Belova sua autentica bestia nera, che la Ragno ha capito che le cose stavano girando per il verso giusto. Serena e attenta come non mai ha condotto i suoi assalti con grande efficacia, per una volta senza timore dell’avversaria. Nemmeno quando la squadra sovietica al completo ha invaso la pedana per un punto contestato, Antonella ha perso la concentrazione. Dopo diversi minuti di interruzione, tra strepiti e imprecazioni, ha semplicemente ripreso a combattere come niente fosse. Fino alla stoccata finale.
Il dodicesimo match, quello decisivo, sta dunque per cominciare. Da una parte, come detto, la francese Depetris-Demaille, reduce da una vittoria e da una sconfitta e, anche se la matematica non la condanna – dal momento che è solo al suo terzo turno – di fatto fuori dai giochi principali. Il suo 6-6 complessivo non lascia, infatti, alcuna speranza.

Antonella Ragno in trionfo

Antonella Ragno in trionfo

 

Dall’altra c’è l’esperta Gorochova, giunta invece al suo ultimo assalto. La sovietica è terza in classifica, grazie a uno score di 13-10, frutto di tre vittorie e una sola sconfitta contro la fortissima magiara Ildikó Farkasinszky-Bóbis, che la precede al secondo posto con un buon 15-10.
Il match è dunque fondamentale per la schermitrice di Mosca. L’argento infatti è a portata di mano, ma anche l’oro non è un sogno impossibile, per quanto difficile. Solo se batte 4-0 l’atleta transalpina, infatti, la Gorochova scalzerà dal gradino più alto del podio Antonella.
Un’eventualità che non si verifica. Combattendo come mai in vita sua, la Depetris-Demaille, alla fine di un incontro drammatico e tiratissimo, inchioda l’avversaria sul 4-3. La sovietica scende dalla pedana piangendo per la delusione: il terzo posto, certo, non la soddisfa. Antonella Ragno, invece, può finalmente liberare tutta la sua gioia repressa per troppi anni. Ubriaca di felicità abbraccia il marito, abbraccia il Maestro e le compagne di squadra, abbraccia il grande Mangiarotti che, emozionato come un bimbo, ha seguito l’incontro della figlia del suo vecchio amico come corrispondente della Gazzetta dello Sport.
Alla fine Antonella rivolge il suo sguardo verso le tribune gremite della Fechthall. Sembra quasi che in mezzo alle gente che invoca a gran voce il suo nome cerchi di scorgere il suo papà. Durante il duello con la Belova – sarà lei stessa a rivelarlo qualche anno dopo – è infatti sicura di aver sentito provenire dagli spalti un «Forza Lollo!». Lo stesso incitamento, la medesima voce, l’inconfondibile accento veneziano con cui suo padre era solito spronarla quando gareggiava.
Quello sguardo commosso alla ricerca di un’impossibile presenza chiude il cerchio e fa calare per sempre il sipario su una storia che ha distribuito – da entrambe le parti – amore e rancore, riconoscenza e sensi di colpa, sentimento e ragione, dolcezza e crudeltà. Sentimenti, questi, sempre sopiti, quasi sfumati, mai esibiti, ma non per questo meno laceranti.
Una storia, quella di Antonella Ragno, complicata, dura, difficile perfino da raccontare. Una storia in cui lo sport e la vita si sono mescolati, rincorrendosi per molti anni e provocando ferite profonde. Guarite solo grazie alla caparbietà e alla forza d’animo di una giovane donna che alla fine è riuscita a mantenere quell’antica promessa e a conquistarsi la sua libertà, per troppo tempo ostaggio di un sogno infranto molti anni prima sulla pedana olimpica di Berlino.

Marco Della Croce
© Riproduzione Riservata

 

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