Teófilo Stevenson

Teófilo Stevenson e Fidel Castro

Teófilo Stevenson e Fidel Castro

 

La Revolución sul ring

La vita di ogni uomo, così come quella di ogni atleta, è inevitabilmente legata dai tanti se che ne tracciano e ne segnano il percorso ad ogni bivio che si incrocia: il futuro può cambiare in un battito di ciglia, in un singolo istante.
Nel pugilato il primato, o comunque il caso più eclatante di come il fato abbia influito sulla carriera di un campione, spetta senza alcun dubbio a Teófilo Stevenson. Il pugile cubano, nato a Puerto Padre il 29 marzo 1952, è stato senz’altro condizionato da molteplici fattori che hanno cambiato il corso della sua epopea sportiva in maniera tanto netta quanto involontaria.
Partiamo dall’inizio: Stevenson nasce e cresce nella provincia di Las Tunas. Un posto da sogno, specie d’estate, preferibile per i turisti soprattutto per una sosta nei fine settimana grazie a spiagge e clima deliziosi e accoglienti. Teófilo mette subito a frutto il suo temperamento. Cresce sulla strada e impara i mille trucchi da sfruttare in quello che vorrebbe essere un giorno il suo mestiere: il pugile.

Un talento precoce

Il suo ingresso nei dilettanti è devastante: per gli avversari! Comincia subito a far parlare di sé; movenze fulminee, ganci e montanti azionati come martelli, le agili e scattanti gambe sembrano leve meccaniche e fanno subito drizzare i capelli agli appassionati. Forte, duro con quella faccia da cattivo ragazzo, sinuoso come una pantera nonostante sia un peso massimo. Insomma, un atleta completo e una forza della natura. In molti annusano, quasi percepiscono, una carriera di rilievo.
Nel 1972 rappresenta Cuba ai Giochi Olimpici di Monaco e lo fa nella maniera migliore: medaglia d’oro. Una vittoria in scioltezza, bella e meritata. Diventa subito un idolo per la sua nazione, ma ecco che il destino bussa per la prima volta nella sua carriera col conseguente primo se che Stevenson si porterà poi dietro. Perché non passare subito al professionismo? Sarebbero soldi e pubblicità a palate, ma la prima amara risposta è nel suo passaporto, che recita: Cuba! Già, la legge cubana purtroppo non prevede lo sport professionistico e bisogna farsene una ragione.

Stevenson protagonista a Montréal

Stevenson protagonista a Montréal (© AP)

 

Teófilo resta quindi nei dilettanti e nella successiva Olimpiade, quella del 1976 a Montréal, vince ancora l’oro. A Cuba ormai è venerato come i più grandi. La versatilità dei colpi, precisi e potenti nello stesso tempo, e l’estrema eleganza, sospinta dalla sobria e possente presenza sul ring, sono le sue caratteristiche migliori. A volte pare un clown gigante e disincantato, abile nello stravolgere un incontro nel giro di un secondo.

Col secondo trionfo olimpico sembra ormai scontato ingresso nel circuito professionistico. Segnali in merito arrivano infatti al suo ritorno da eroe a Cuba. Piombano sponsor e offerte a getto continuo; gli americani mettono nel piatto cinque milioni di dollari per organizzare l’incontro con Muhammad Ali: un’occasione davvero unica. Stevenson, oltretutto, può diventare campione al debutto fra i professionisti, avvenimento in precedenza accarezzato solo da Pete Rademacher.
Ancora una volta, però, Teófilo rinuncia all’incontro per la corona e resta dilettante. La cosa ancora più sorprendente è che stavolta è lui stesso a far sapere che si tratta di una scelta personale e non dovuta a pressioni politiche o strumentalizzazioni. La verità e il reale motivo del rifiuto danno il via ad un vortice di ipotesi che coinvolgono tutti, tifosi e giornalisti in primis. Alcune supposizioni sono addirittura stravaganti, altri parlano di vere e proprie minacce, ma l’ipotesi che preferiamo è quella romantica e che si riassume nelle sue stesse parole: «Cosa valgono cinque milioni di dollari, quando ho l’amore di cinque milioni di cubani?». L’orgoglio che vince sul denaro!

in trionfo anche a Mosca (© AFP)

in trionfo anche a Mosca (© AFP)

 

Si tratta di un’affermazione che lascerà una traccia, o meglio un solco, sulla sua carriera sportiva ma che fa riemergere con altrettanto impeto ancora qualcuno di quei se. Se Teófilo Stevenson non fosse stato cubano sarebbe diventato professionista? E, se si, sarebbe diventato campione del mondo dei massimi? Il suo orgoglio, il suo attaccamento viscerale alla patria hanno influito nella sua carriera?

Lasciando perdere le cause e i perché, non combattere contro Ali è stato un freno che il suo immenso talento non meritava, un dazio troppo oneroso da pagare alla sua classe. Certo, ci poteva benissimo stare una sconfitta, ma provarci era più che lecito. La scena e il contesto erano davvero entusiasmanti e gli stimoli abbondavano: oltre ad Alì basta ricordare Larry Holmes, Ken Norton, Joe Frazier e George Foreman. In questo succulento minestrone di super-campioni, Stevenson avrebbe certamente portato scompiglio e detto la sua.
Il pugile cubano, comunque, conquista la terza medaglia d’oro consecutiva all’Olimpiade di Mosca, nel 1980, un alloro che lo consacra come il miglior pugile di tutti i tempi della boxe dilettantistica. Infatti, solo lui e László Papp (e, nel 2000, Félix Savón) hanno vinto l’oro olimpico in tre edizioni diverse.

E pensare che i sigilli di Teófilo potevano essere quattro, visto che era dato in gran forma anche per i Giochi del 1984 a Los Angeles. Ma, ancora una volta, il destino beffardo, gli eventi, la fatalità colpiscono il nostro eroe. L’Unione Sovietica, infatti, decide di non partecipare all’Olimpiade per rappresaglia contro il boicottaggio statunitense di quattro anni prima e Cuba si accoda alla decisione di Mosca. Stevenson, suo malgrado, deve rinunciare al sogno del quarto oro.

Il ritiro

Così, nel 1986 decide che è giunta l’ora di ritirarsi. Del resto, ha vinto tutto il possibile: il suo palmarès riporta infatti molti altri successi significativi, tutti – o quasi – all’insegna del tre, un numero costante nel suo prestigioso curriculum. Insieme ai tre allori olimpici, Stevenson si aggiudica infatti per tre volte anche i campionati mondiali: nel 1974, all’Avana, nel 1978, a Belgrado, e nel 1986, a Reno, dove s’impone nella categoria superiore, quella dei supermassimi (oltre i 91 kg).

Teófilo e Ali (© Reuters)

Teófilo e Ali (© Reuters)

 

Spesso i numeri da soli non riescono a spiegare la grandezza di uno sportivo e quello che rimane ben inciso nella mente di tutti sono immagini, gesti e persino parole. Ecco perché Stevenson – che è morto nel 2012 a soli 60 anni – fu un pugile di assoluto livello, un maestro e un punto di riferimento. Ma è anche vero che sui binari paralleli della sua parabola pesano i tanti se che si sono accaniti nel suo cammino. Poteva davvero essere uno dei migliori boxeur di sempre?
Nominato allenatore del programma cubano di pugilato dilettantistico, Teófilo Stevenson nel 1999 si cacciò nei guai all’Aeroporto Internazionale di Miami. Prima di imbarcarsi su un volo charter, che doveva riportare in patria la nazionale cubana di pugilato, si trovò coinvolto da protagonista in una rissa che lo vide prendere a pugni un impiegato della compagnia e spaccargli i denti. Denunciato e arrestato, fu comunque rilasciato e rispedito a casa dopo poche ore.
Nostalgia dei vecchi tempi o rabbia accumulata nel tempo e mai sopita? Sta di fatto che, nel momento dei ricordi di gioventù e pur ammettendo di essere contento del suo passato, qualche tempo fa alcuni giornalisti attaccarono il carillon della malinconia e gli chiesero: «Teófilo, chi ti manca?». Ancora una volta la risposta del grande Stevenson stupì tutti.
«Mi manco io», rispose.

Lucio Iaccarino
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