Mazinho e Thiago

Thiago e Mazinho

Thiago e Mazinho

 

Nel nome del padre

Nei primi anni Novanta c’erano un calciatore e un ragazzo che sapevano farsi voler bene di vero cuore, e potrebbero testimoniarlo tutti i compagni e gli allenatori che si sono alternati nella sua carriera. Incuriosivano anche per questo, oltre alle qualità tecniche e agonistiche. Chi, bambino, cominciò allora a tenere d’occhio questo ragazzo di colore, non molto alto e che portava dei curiosi baffi stile primi anni Ottanta (poi spariti), poteva giungere a una prima incredibile conclusione: Iomar do Nascimento, alias Mazinho, al posto del cuore aveva una torta di burro. Simpatico, cordiale, sorridente e disponibile anche con la stampa e i tifosi. Deteneva un record singolarissimo: era sempre il primo ad abbracciare il compagno di squadra che aveva segnato il gol. Mazinho gioiva come un bimbo per ogni gol di Roberto Dinamite per la squadra del Vasco da Gama; per Pedro Pasculli che giocava nel Lecce; per Gabriel Batistuta che segnava nella Fiorentina o Romario nella nazionale brasiliana.

Giusto per fare un esempio: Brasile-Olanda, quarti di finale di Coppa del mondo 1994, finita 3-2. Bebeto segna il secondo gol per i carioca, e festeggia cullando un neonato in fasce coi compagni. Suo figlio è nato da poche ore. L’esultanza ha un seguito enorme, è imitata anche ai giorni nostri. Chi l’ha ideata? E chi è il primo a gioire con Bebeto? Proprio il numero 17: Iomar do Nascimento in arte Mazinho.

Il campione nacque l’8 aprile del 1966 a Santa Rita e il calcio fu la sua ancora di salvataggio dall’indigenza. Allattato nelle giovanili del Vasco da Gama, si scoprì un ottimo e versatile elemento. Mediano o terzino destro, capace di giocare egregiamente sia in cabina di regia che in fase di copertura: un jolly preziosissimo per qualsiasi club. Coi primi soldi guadagnati aiutò la famiglia e molti amici, senza mai sbandierare la sua generosità: proprio come gli suggeriva Gesù. L’accostamento con gli Atleti di Cristo fu un passaggio naturale, addirittura scontato per uno come lui. Tale associazione, fondata nel 1984, riunisce calciatori e atleti professionisti nel nome e nel messaggio di Cristo, con progetti sempre orientati a fare del bene verso il prossimo. Kakà, Legrottaglie e Radamel Falcao sono solo alcuni dei nomi più conosciuti qui in Italia. Gli Atleti di Cristo regalano Bibbie agli avversari, aiutano con i premi partita le associazioni bisognose e provano a migliorare il mondo.

La famiglia

La famiglia è il fondamento di un cristiano, e Iomar sposa la bella e dolce pallavolista Valeria Alcántara: il primogenito Thiago (11 aprile 1991, San Pietro Vernotico, provincia di Brindisi), vide la luce proprio quando il papà giocava nel Lecce, nella sua prima esperienza europea. Con dei genitori così, doveva per forza essere un campione… Il padre giocò un’ottima stagione nel Salento (34 gettoni con 2 gol), con Boniek allenatore, ma non riuscì ad evitare la retrocessione in serie B. Passò così alla Fiorentina di Cecchi Gori, che sborsò 8 miliardi delle vecchie lire.

I viola del carioca Lazaroni ambivano a posizioni di vertice ma fu una stagione balorda, fra errori tecnici e strutturali; dodicesimo posto finale e tifosi sul piede di guerra. Mazinho fu fermato da tanti piccoli infortuni, compresa un’operazione al menisco: il suo rendimento fu comunque mediocre, con appena 21 presenze. Il nuovo allenatore Gigi Radice, manco a dirlo, parlò di lui come di una persona seria e professionalmente perfetta, ma sfortunata. La cessione divenne inevitabile, ma a questo punto la dea bendata ripagò Iomar con gli interessi. Mazinho tornò in patria, al Palmeiras, dove ritrovò la forma fisica e aiutò il club di San Paolo a vincere due campionati nazionali.

Thiago gli era sempre alle costole e, anche se probabilmente ricorderà pochissimo dell’Italia, ha un record singolare. In due anni, i primi della sua vita, era stato a Lecce e Firenze: due fra le città più belle del mondo. Nel frattempo papà Mazinho, grazie a Dio, ebbe un altro colpo di fortuna: rientrò nel giro della nazionale brasiliana, la leggendaria Seleçao, e grazie a qualche defezione d’ultimo momento trovò posto nella comitiva mondiale guidata da Carlos Alberto Parreira nel 1994, negli Stati Uniti. Doveva essere ultimo dei panchinari, si ritrovò titolare a centrocampo insieme all’amico Carlos Dunga e a Mauro Silva del Deportivo la Coruna. Una linea mediana di mastini e con direttive prettamente difensive, proprio come chiedeva il ct Parreira; tanto a inventare e segnare gol ci pensavano Bebeto e Romario.

Mazinho alza la Coppa del Mondo

Mazinho alza la Coppa del Mondo

Quel Brasile non era probabilmente spettacolare, ma di certo era vincente: Iomar si vestì con gioia da pretoriano e con umiltà giocò 6 partite tiratissime, sudando e portando acqua con gran sacrificio. Il piccolo Thiago aveva circa 3 anni e mezzo quando Mazinho si laureò campione del mondo, il 17 luglio del 1994 a Pasadena: il papà aveva giocato tutta la finale contro l’Italia di Arrigo Sacchi, compresi i supplementari. Ai rigori gli errori di Baresi, Massaro e Roberto Baggio regalarono il successo ai verdeoro: il Brasile era campione del Mondo per la quarta volta.

Il figlio

Thiago aveva tifato come un matto per il suo papà ed era felicissimo, anche perché poi dall’America arrivarono un mucchio di giocattoli tutti per lui! Dopo la Coppa del Mondo, Mazinho tornò in Europa e si stabilì per molti anni in Spagna: due al Valencia, quattro al Celta Vigo ed uno all’Elche. Solito impegno e ottimo profitto con tutti questi club, se si esclude un brutto infortunio nel 2000. «Vigo è la città che ho amato di più da bambino; è la mia città natale», sono parole di Thiago di poco tempo fa. I primi amici, la scuola con continuità e la tranquillità della Galizia furono indispensabili per la sua crescita. Ormai si sentiva iberico a tutti gli effetti; Thiago, così come i genitori e il fratello Rafinha, ha infatti anche il passaporto spagnolo. Mazinho, che concludeva la sua carriera nel 2001, provò a lanciare i suoi ragazzi nelle scuole calcio della zona. All’inizio era un gioco, poi qualcosa di più serio.

Uno dei migliori settori giovanili, dove Mazinho aveva anche lavorato, è quello del Barcellona e l’equazione fu presto fatta: Thiago si buttò a capofitto nella sua nuova vita, seguendo con puntiglio tutti i preziosi consigli del padre. Un passo alla volta, da piccola promessa diventò un elemento su cui fare affidamento. Dal Barcellona B alla prima squadra in pochissimo tempo, Thiago Alcántara diventa un nome su cui puntare. È centrocampista come il padre, ma in chiave moderna. Ha spiccate doti di regia e una velocità di gambe impressionante: gli assist per i compagni e i tiri dalla distanza sono solo alcuni dei suoi pezzi forti. Debutta nella Liga a 17 anni e segna il primo gol ufficiale a 18, sempre con la maglia del Barcellona, dove nel suo ruolo ci sono campioni assoluti come Iniesta e Xavi. Nonostante l’età e la gran concorrenza, si ritaglia spazi importanti e contribuisce alle tante vittorie dell’era Guardiola: 4 titoli spagnoli, 2 Coppe del Re, 2 Coppe dei Campioni e 2 Mondiali per Club.

Thiago esulta in campo

Thiago esulta in campo

Strepitoso, poi, il suo ruolino nella nazionali giovanili della Spagna: campione d’Europa under 17 e due volte campione d’Europa under 21. In più, nell’edizione di Israele 2013 è stato nominato miglior calciatore della manifestazione. Ha già debuttato anche nella nazionale maggiore, e proprio a Bari (ancora la Puglia, incredibile) in Italia-Spagna del 10 agosto 2011.

Mazinho, intanto, è forse il padre più orgoglioso del mondo: «Lo sapevo: Thiago è più bravo di me! Oddio, non è che poi ci voleva molto…», ammette sorridendo. Nell’estate del 2013 il ragazzo è stato acquistato dal Bayern di Monaco di Pepe Guardiola, fresco campione d’Europa in carica: un altro tassello importante per una carriera già ricchissima. E nelle gesta del figlio, il ricordo indelebile del padre.

Lucio Iaccarino
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