Oronzo Pugliese

Oronzo Pugliese

Oronzo Pugliese

 

Il “Mago di Turi”

Eppure esistono, nonostante tutto. Anche nel più mediatico dei mondi possibili, il calcio, in cui i vincenti, i perdenti ma belli, le giovani promesse che non crescono mai e poche altre tipologie che fanno cassetta occupano stabilmente (a volte con merito, altre meno) il centro della scena, esistono le eccezioni. Personaggi che vincenti non sono e neanche eccessivamente belli, che le promesse le mantengono sempre e cassetta ne fanno poca. Eppure, tutti li conoscono, quasi tutti li amano, molti li ammirano. Qualcuno segue persino i loro consigli. Ecco, Oronzo Pugliese fu una di queste eccezioni.

Un uomo semplice, schietto e poco acculturato, dalle solide radici popolari, che si tolse lo sfizio di fare da contraltare ad uno dei miti calcistici dei favolosi anni Sessanta, l’inarrivabile, vincente e strapagato Helenio Herrera. Già, perché se don Helenio fu per tutti il Mago, don Oronzo fu altrettanto universalmente, con definizione meno esclusiva, o, se vogliamo, più autarchica, il Mago di Turi.

Un provinciale, insomma, già nel soprannome. E infatti fu nella provincia di Bari, nel grosso villaggio agricolo adagiato proprio sui primi contrafforti dalla Murgia, che Oronzo nacque, il 5 aprile 1911. Famiglia contadina, la sua: il padre Matteo era commerciante di mandorle, di quelle squisite mandorle che da sempre costituiscono, assieme alle più recenti ciliegie Ferrovia, la vera ricchezza di Turi. Sua madre si chiamava Francesca. Donna pratica, di stampo antico e solido, che teneva in ordine la casa e faceva quadrare i conti, non lesinando all’occorrenza qualche scappellotto né ad Oronzo, né al fratello Vito. Il quale peraltro da bambino proprio un santo non lo doveva essere, se stampò sulla fronte del futuro Mago una pietra e una cicatrice permanente.

Dal campo alla panchina

Come tanti coetanei, il giovane Oronzo vide nel calcio una via di fuga all’ordinarietà quasi sonnolenta di quell’Italia agricola e chiusa. Purtroppo per lui, non divenne mai un campione, o non ne ebbe la possibilità. Al contrario, la sua carriera si trascinò nella provincia da cui forse avrebbe voluto evadere. Così le sue squadre ebbero i nomi non altisonanti di Gioia del Colle, Casamassima, Benevento, Frosinone e infine, nella Sicilia aspra e passionale di anni alquanto turbolenti, Siracusa e Messina. Compagini dignitose, ma niente di più.

Del resto, Oronzo non trovò mai neppure un ruolo fisso in campo, e passò senza particolari bagliori da centravanti a terzino. Sudando sui campetti sterrati, o nei piccoli stadi di un’Italia minore ebbe però modo di comprendere a fondo la psicologia del calciatore non di primissimo piano. Lo fece senza particolare studio, ad un livello lontano dalla conscia volontà, facendo piuttosto ricorso all’arguzia contadina e alla pragmaticità che gli derivava da generazioni e generazioni di lavoratori forti e silenziosi. Una vera scuola di vita, che per tutto il resto della sua avventura nel mondo del calcio lo avrebbe sorretto e ispirato, oltre a fare di lui un unicum irripetibile.

la tipica esultanza di Oronzo Pugliese (© L'Unità)

 

Nell’autunno del 1939 iniziò la carriera di allenatore di Oronzo Pugliese. Non si trattò di una partenza folgorante, in realtà, almeno sul piano economico: il primo stipendio fu una cassetta di arance di Lentini, pagata con puntualità al ventisette di ogni mese della dirigenza della Leonzio, in seconda divisione. Buone di sicuro, ma pur sempre arance.

Purtroppo, presto arrivò l’immane tragedia della Seconda Guerra Mondiale, e di calcio ci si occupò molto meno: le priorità erano altre. Le tracce di Oronzo le ritroviamo così nella stagione 1949-1950, quando il giovane allenatore riuscì a condurre il Messina in Serie B. Poteva sembrare l’inizio di una rapida ascesa, e invece, quasi inspiegabilmente, a Pugliese non fu possibile districarsi da un anonimo cabotaggio tra le serie minori.

Fu solo nella stagione 1958-1959 che si intuirono i prodromi di una svolta, con il suo Siena ad un passo dalla A, persa sul filo di lana. E l’attesa svolta finalmente arrivò, in coincidenza con il ritorno nella natia Puglia. Tra il 1961-62 e il 1963-64 il Foggia da lui allenato compì un insperato, quasi incredibile balzo dalla C alla A. Pugliese si guadagnò il Seminatore d’oro, premio riconosciuto al miglior tecnico dell’anno.

L’impresa contro Herrera

Ora Oronzo poteva confrontarsi con la realtà del calcio metropolitano. Lo fece senza paura, senza complessi di inferiorità paralizzanti, ma con sano e onesto realismo.

Il giorno dei giorni arrivò il 31 gennaio 1965. Al Zaccheria di Foggia si presentò la Grande Inter di Helenio Herrera. L’altoparlante annunciò le formazioni. Helenio era immobile, con le mani in tasca e il viso rilassato. Oronzo, a pochi metri da lui, ricordava un vulcano prossimo all’eruzione, il cipiglio truce e i pugni chiusi sui fianchi. Una posa molto popolare sino ad un quarto di secolo prima.

Pugliese aveva compreso che i campioni d’Europa e del mondo erano troppo forti per una sfida a viso aperto, e  impostò una partita di attesa, ordinando strettissime marcature a uomo. Alternando una mimica plateale ad incitamenti urlati in barese stretto, quel pomeriggio guidò i suoi uomini ad una partita indiavolata. L’incontro terminò con un incredibile 3-2 per il Foggia. Don Oronzo era riuscito dove avevano fallito il Real Madrid, il Benfica, il Liverpool: il Mago di Turi era nato.

Oronzo Pugliese con Helenio Herrera (© L'Unità)

 

Le sue sfide con Herrera entrarono presto nell’immaginario popolare, rinnovandosi per anni anche dopo il passaggio alla Roma di Pugliese, con risultati non di rado positivi per quest’ultimo. Era chiaro a tutti, e  al grande HH per primo (anche se ovviamente non lo ammise mai), che il Mago argentino soffriva il confronto con quell’istrione, abituato ad allenare i suoi uomini con urla come «Date, pigghiate… fescite, fescite. Acciaffat’ a cudde… Vedite, Vedite. Uagliò, la palle: ca se no ji t’accide» perché «la psicologia è roba da ricchi, la grinta è roba da poveri».

E fu tutto un fiorire di aneddoti sull’allenatore che prima delle partite spargeva sul campo sale contro il malocchio, che controllava da sotto le porte se la luce delle camere dei suoi giocatori si era spenta all’ora giusta, che nella vita di ogni giorno era tanto avaro da polemizzare all’infinito prima di pagare un conto al panettiere. Del Mago di Turi si riempirono le prime pagine dei quotidiani, e ad Oronzo questo non dispiaceva certo.

Poi, poco prima della metà dei Settanta, arrivarono l’Ajax di Johan Cruijff e l’Olanda del calcio totale. Il gioco all’italiana e il catenaccio furono additati alla pubblica esecrazione e per Pugliese, ormai anziano, ebbe inizio un lento, dignitoso declino. Bologna, Bari, Fiorentina, Lucchese, Avellino, sino al Crotone della tagione 1977-1978. Finì qui.

Avrebbe di sicuro meritato altri palcoscenici, il Mago di Turi. O forse fu meglio così. Chissà dove sarebbe potuto arrivare, don Oronzo, alla guida dell’Inter e del Milan o del Bologna dei primi Sessanta, squadroni che tutta Europa rispettava e temeva. Avrebbe vinto, probabilmente. Altrettanto probabilmente, avrebbe vinto a scapito di quella carica di immediatezza e di genuina umanità che persino un grande come el Paròn Nereo Rocco aveva incanalato in ancorché amabili compromessi lessicali italo-triestini, e aveva finito per stemperare talvolta in qualche frase di circostanza.

Molto più bello ricordarcelo così, il buon Pugliese. Personaggio tanto pittoresco da ispirare ancora ai nostri giorni una parodia affettuosa e di successo sul grande schermo, e allenatore tanto intelligente da saper contrastare qualsiasi squadra avversaria, per quanto blasonata fosse.

Perché alla fine, è vero: «Undici gambe abbiamo noi, undici gambe hanno loro». Che poi saranno anche state ventidue, le gambe in questione, ma tant’è. Alla fine, quello che conta è sempre il concetto.

Danilo Francescano
© Riproduzione Riservata

 

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Comments To This Entry
  1. Articolo bello e documentato, come tutto il sito. Mio nonno conosceva bene Oronzo Pugliese (e la sua famiglia) e mi diceva che era un uomo con grande volontà

    Silvano Truzzi on February 4, 2013 Reply
    • Il Mago di Turi è stato un grandissimo personaggio e un ottimo allenatore. Io ero bimbo, ma ricordo che mio padre (interista DOC) ne era affascinato. Un calcio diverso, più umano… Grazie per i complimenti!(df)

      admin on February 4, 2013

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