Eraldo Pizzo
Tutti i colpi del Caimano
I suoi capelli sono ormai completamente bianchi, ma il fisico è rimasto quello poderoso del più grande pallanuotista italiano (e non solo) di tutti i tempi. Non per nulla lo chiamavano il Caimano. Eraldo Pizzo ci aspetta al tavolino di un bar sulla via Aurelia, proprio di fronte alla sede della sua gloriosa, titolatissima Pro Recco.
«Mio fratello Piero, di quattro anni maggiore di me, giocava a pallanuoto verso la fine degli anni Quaranta» esordisce . «In quel periodo, qui a Recco, o giocavi a pallanuoto o giocavi al calcio… Non esistevano altri sport. Andavamo in spiaggia assieme, con Piero, e proprio tra la spiaggia e la diga c’era il campo. La Pro Recco esisteva già, era stata rifondata da un gruppo di giovani dopo la guerra, nel 1946, e faceva il campionato equivalente alla A2 di adesso. Allora si chiamava la B: non c’erano tante squadre, già metterne assieme un gruppo era un’impresa. La Pro Recco vinse un campionato Riserve (quello destinato ai rincalzi e ai giovani), e nel 1952 balzò in serie A. Peccato solo che non poté disputarla, perché la Federazione, giustamente, imponeva un molo fisso per gli arbitri. A quei tempi, qui l’arbitro arrivava in barca e arbitrava dal battello ancorato.” Sorride, il Caimano: «Finalmente, nel 1954, giunse davvero la massima divisione: quest’anno iniziamo il sessantesimo campionato in A, una cosa davvero importante».
Poi è arrivato un certo Eraldo Pizzo e sono cominciati gli scudetti… «Beh, è arrivato Eraldo, sono arrivati Angelo Maraschi, Mario Cevasco, Franco Lavoratori, Eugenio Merello. Non basta un solo giocatore, anche bravissimo (sempre ammesso che io lo fossi). Servono una squadra, un tecnico, una società di primo livello, tutte le componenti, insomma, sennò non si vince per tanti anni come abbiamo fatto noi. La Pro Recco era una squadra fantastica, con alcuni giocatori bravissimi, altri bravi e altri ancora gregari intelligenti, che sapevano dove potevano arrivare e non pretendevano di fare i fuoriclasse. Un mosaico eccellente, guidato con grande merito da un allenatore come mio fratello Piero, che con i suoi venticinque anni era di poco meno giovane di noi».
Scudetti in serie, dunque. Nella carriera del Caimano, ben sedici, tutti con la Pro Recco, tranne uno, il penultimo, vinto con il Bogliasco nel 1981. Sarebbe troppo lungo parlare di tutti, ma dovendone ricordare uno, Pizzo sceglie il primo. «Incredibile, per noi, per Recco e per la Liguria. Una squadra di ventenni che batteva i Canottieri Napoli, la Lazio, il Camogli. Quando siamo rientrati, qua attorno (indica i portici e la via Aurelia, ndr) non trovavi un posto in piedi: gente da tutta la riviera, da Nervi, dai paesini dell’entroterra. Eravamo stati festeggiati lungo il tragitto, a Bogliasco, a Sori. Davvero indimenticabile. È stata una vittoria ligure, una rivincita sugli anni difficili che ci stavamo lasciando alle spalle, quelli del dopoguerra. E l’anno dopo, ancora scudetto, poi l’oro all’Olimpiade».
Roma 1960
Ecco, l’Olimpiade romana, il trionfo del Settebello: parliamone, Caimano. Si illumina, il leggendario numero 2, e entra in un argomento che, si sente anche dalla voce, ama ancora sessant’anni dopo: «Allora non ce ne siamo neanche ben resi conto, credo. Noi venivamo dal paese, sapevamo poco di Olimpiadi, perché non c’era tutta la pubblicità che c’è ora e su quelle precedenti, di Melbourne, avevamo letto solo qualche articolo. Oggi tutti sanno tutto, si segue ogni gara, si sa come si vive al villaggio. L’hanno chiamata la Grande Olimpiade, quella del 1960. Vero: la prima diretta televisiva, i grandi ristoranti cinese, indiano, sudamericano, italiano, il villaggio olimpico… Prima gli atleti erano sparpagliati in alberghi o in posti di fortuna. Mi raccontava per esempio Majoni, il mio allenatore, medaglia d’oro a Londra nel 1948, di giorni bellissimi, ma difficili, con poco mangiare e sistemazioni precarie. E si capisce, poveracci. Londra era ancora distrutta per la guerra, e comunque era già meglio di quello che avevano avuto qui in patria sino a pochi anni prima. Noi invece vivevamo tutti assieme, e tutti i giorni incontravamo per strada gente come Cassius Clay o la Wilma Rudolph, i personaggi che hanno fatto la storia dello sport. E poi Roma: potranno fare l’Olimpiade a New York o dovunque, ma vivere un’Olimpiade a Roma è unico, irripetibile. Ora abbiamo dovuto rinunciare a quella del 2020. Scelta dolorosa, ma giusta, in fondo. Un peccato davvero però, sia perché significa che in questo momento non siamo in grado di organizzarle, sia per me personalmente, perché, come vincitore nel 1960, speravo di potervi in qualche modo prender parte…».
Se la Grande Olimpiade è il ricordo più emozionante, è stata però la Coppa dei Campioni del 1965 a portare la Pro Recco al livello di team mitici come il Milan di Nereo Rocco, la Grande Inter di Helenio Herrera, la Simmenthal Milano, l’Ignis Varese: «La Coppa è nata per volere della Federazione Slava nel 1963, imitando quello che succedeva nel calcio e negli altri sport. Noi abbiamo vinto la seconda edizione, nel 1964-65, per combinazione proprio a Milano. Mi ricordo che in tribuna a vederci c’era anche Angelo Moratti: finì 1 a 0 per noi. Era un punteggio più unico che raro, persino allora che la palla potevi tenerla quanto volevi. Oggi, con il tempo limite dei 30 secondi, è virtualmente impossibile. Bella partita, due grandi squadre, noi e il Partizan Belgrado».
E oggi, il Caimano che rapporto mantiene con la pallanuoto? «Sono ancora Direttore Tecnico della Pro Recco, anche se è un momento difficile per noi. Il presidente Gabriele Volpi ha lasciato. È stata una cosa un po’ drastica, che ha sorpreso tutti, ma credo che, se ne avessi ragionato con lui, glielo avrei consigliato pure io di lasciare, anche se magari con più gradualità. Volpi è stato deluso da Recco, per cui avrebbe fatto tutto, e dal mondo della pallanuoto. Quando è diventato Presidente, avrebbe voluto cambiare tante cose, per diffondere questa disciplina, per renderla più popolare. Aveva anche tutti i mezzi per farlo. Poi ha capito che anche qui c’è gente attaccata alla poltrona, interessata a mantenere un profilo basso per conservare la carica. È significativo che pure se negli ultimi tre anni abbiamo vinto un argento europeo nel 2010, un Campionato del Mondo nel 2011, un argento all’Olimpiade di Londra due mesi fa, la pallanuoto resta sempre una cenerentola degli sport, anche a livello televisivo: partite in differita, servizi pochi e brevi. Non è possibile che la nazionale più titolata d’Italia, con tre Olimpiadi vinte, più altrettanti titoli Mondiali ed Europei, sia così poco considerata. È la dimostrazione che Volpi ha ragione, e ora c’è solo da sperare che nelle imminenti elezioni federali vinca qualcuno che abbia un po’ a cuore il nostro sport».
La pallanuoto del futuro
Pizzo non fa nulla per mascherare il suo evidente malcontento per la gestione attuale della pallanuoto: «L’Olimpiade di Londra è il solito miracolo italiano. Abbiamo vinto anche l’Europeo Under 20, in Francia un paio di settimane fa. Siamo la prima o seconda nazionale al mondo, ma non si fa nulla per portare gli spettatori nelle piscine. Vincere o non vincere è la stessa cosa: se la pallavolo o la pallacanestro avessero simili risultati, nei palazzetti non ci potrebbe neanche più entrare. Qui manca la promozione, manca una programmazione. Se non cresciamo adesso, il giorno che non vinceremo (e prima o poi deve accadere) cosa succederà? Certo la pallanuoto non morirà, perché gente a praticarla e dirigenti che lavorano con passione ce ne saranno sempre, ma ci saranno enormi problemi di gestione da affrontare. Già ora mancano le piscine e quelle che ci sono è difficile mantenerle… Qua a Recco, per esempio, non abbiamo neppure una piscina e dobbiamo giocare a Sori».
Ci alziamo dal tavolino. Il Caimano si interrompe, saluta un paio di amici, si china per fare qualche coccola ad un meraviglioso bimbo biondo in un passeggino, e poi conclude: «Questo è il figlio di un grandissimo giocatore ungherese, due o tre volte olimpionico. I bambini… Anche se è più difficile di prima e ora soffriamo la concorrenza di squadre molto forti in altri sport, il rugby, il judo o la pallavolo per esempio, bambini che arrivano alla pallanuoto ce ne sono ancora. Molti sono davvero bravi, poi però, se non trovano qualcuno più bravo di loro a guidarli, si fermano lì, non progrediscono. Se non ci sistemeranno alla svelta la piscina, sarà un dramma, ed è un peccato, perché potremmo davvero tornare grandi con le nostre forze. Qui la pallanuoto ce l’abbiamo nel sangue. Per davvero».
Danilo Francescano
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