Ottavio Missoni – Un ricordo

un giovanissimo Ottavio Missoni

un giovanissimo Ottavio Missoni

 

Racconto in esclusiva di Franco Faggi

Londra, 1948. Nella capitale del Regno Unito, ancora devastata dai bombardamenti della Luftwaffe e dalle V2 di Wernher von Braun, il ciclo delle Olimpiadi moderne riprende il suo cammino. In quei Giochi di ritorno alla vita e rinascita dello sport, l’Italia, uscita a pezzi dal conflitto, cerca faticosamente di riprendere il posto tra le nazioni sorelle che una guerra sciagurata le ha portato via, e di riconquistare partendo dallo sport la dignità di paese libero e unito. Giochi memorabili per i nostri colori, quelli londinesi. I Giochi di un’Italia orgogliosamente quinta nel medagliere, degli otto ori strappati alla miseria, alla devastazione e alla tragedia di un popolo. I Giochi di Adolfo Consolini e Giuseppe Tosi, i Giochi della pallanuoto. I Giochi degli invincibili canottieri della Guzzi.

È proprio uno dei mitici quattro di Mandello sul Lario (assieme a Giuseppe Moioli, Elio Morille e Giovanni Invernizzi), Franco Faggi, a tracciare per Storie di Sport un ricordo di Ottavio Missoni, che di quell’Olimpiade è stato uno dei protagonisti.

«Già. facevamo entrambi parte di quella grande rappresentativa italiana, io e Ottavio» racconta Faggi «Però… non ci siamo conosciuti, a Londra. Gareggiavamo in posti diversi, noi sul Tamigi, lui allo Stadio di Wembley.

Appena arrivati alle sei di sera io e gli altri del canottaggio siamo saliti subito sul treno per Henley, dove siamo rimasti isolati da tutto il resto della squadra azzurra. Non c’era un villaggio olimpico. Londra era ancora troppo distrutta dalla guerra per poterselo permettere, e vivevamo in alloggi di fortuna, lontani l’uno dall’altro. Noi della Guzzi siamo rimasti a Henley sino al giorno dopo la gara, e quando poi abbiamo raggiunto Wembley, loro erano rientrati a casa. C’erano ancora quelli della pallanuoto, i pugili, ma Ottavio e gli atleti erano già in Italia.

Franco Faggi (a sinistra) con Giuseppe Moioli (© Red)

Franco Faggi (a sinistra) con Giuseppe Moioli (© Red)

 

L’ho conosciuto invece bene dopo i Giochi, perché ci siamo incontrati in tante premiazioni. Un buon parlatore, che amava raccontare la sua vita, anche prima della guerra, quando era studente. Era già forte come atleta a quei tempi, poi fu chiamato militare e venne fatto prigioniero [ad El Alamein nel 1942 n.d.r.]. Rimase nel campo di prigionia in Egitto per quattro anni, poi finalmente riuscì a tornare in Italia e si rimise a fare atletica, nei 400 m hs, dove era fortissimo.

Ai Giochi di Londra arrivò sesto, e su questo sesto posto, quando ci trovavamo, raccontava spesso un aneddoto che riguardava suo padre. Dopo essersi comportato così bene raggiungendo la finale, lo aveva comunicato tutto contento appunto al papà, che si trovava a Londra su una nave, come capitano, mi pare. Il bello fu che questi, un  triestino purosangue, invece di congratularsi con lui, gli rinfacciò in dialetto stretto: “Beh, insomma, Ottavio… in fin dei conti ti te xe arrivato ultimo!”. Riportato poi in triestino, come faceva Missoni, l’episodio era davvero spassoso.

l'incontro a Brighton tra Ottavio e Rosita (1948)

l’incontro a Brighton tra Ottavio e Rosita (1948)

 

A Londra ha anche conosciuto la moglie. Mi raccontava Carlo Monti, il velocista padre del giornalista Fabio che scrive sul Corriere della Sera, che la sera cercavano di uscire dagli alloggi, ma c’erano le guardie, e dovevano mettersi bene d’accordo per riuscire a scappare… Ma alla fine, Missoni ci ha trovato moglie, in Inghilterra, la Rosina che era lì per lavoro o per imparare l’inglese, non so.

un disegno eseguito da missoni per le sue nozze di diamante

un disegno eseguito da Missoni per le sue nozze di diamante

 

Una persona schietta, Ottavio, un uomo davvero simpatico. Un grande amico. È sempre rimasto molto in gamba, anche se l’ultima volta che ci siamo visti, in Marzo al Pirellone per una premiazione, faceva fatica a camminare, e per fare i gradini dovevano sostenerlo. Purtroppo, l’età c’era. Comunque era sempre gioviale, aveva sempre la parlantina sciolta, raccontava sempre le sue storie da buon triestino. Disgraziatamente, negli ultimi tempi ha risentito molto della morte del figlio, poveretto. Quello è stato davvero un gran brutto colpo».

Un racconto bello, a tratti commovente, quello di Franco Faggi. Un racconto di anni lontani, più umani, più veri. Di anni in cui Ottavio Missoni non era ancora un grande stilista, ma era già un grande sportivo.

E un grande uomo.

A cura di Danilo Francescano
© Riproduzione Riservata
(testimonianza raccolta nel mese di maggio 2013)

 

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