Sara Magnaghi
Argento vivo
Quel pugno alto, levato in segno di vittoria, è entrato nella storia del canottaggio azzurro. Un gesto istintivo per dar sfogo a un’emozione potente; quante speranze, sogni e delusioni hanno d’improvviso preso voce nella stretta di quelle dita. A quella piccola mano, appena visibile al centro del lago, il pubblico dalle tribune rispondeva con un boato d’entusiasmo irrefrenabile: in tutti s’era acceso il desiderio di stringerla forte, non lasciarla andare, perché rappresentava la gioia e l’orgoglio dell’intera tifoseria tricolore. Il 27 luglio 2014 Sara Magnaghi, atleta della canottieri Moltrasio, si proclamava vicecampionessa mondiale conquistando una medaglia da primato, la prima italiana di sempre nel singolo femminile “under 23”.
Un argento che risplendeva sul podio fra i colori bianco-rosso-verdi della bandiera posata sulle spalle di Sara come lo scialle di una regina.
Nel ricordare quei momenti il suo volto si accende di un entusiasmo speciale, che solo chi ha provato una gioia altrettanto intensa può comprendere. È proprio questo che si vorrebbe capire, innanzitutto, e magari anche condividere. Si cerca di carpirle il segreto, ciò che le ha permesso di tagliare un traguardo unico, senza precedenti e poi di lasciarla procedere intatta con lo sguardo ancora rivolto avanti, appendendo una medaglia al muro.
«Dopo la vittoria mi capitava di svegliarmi a notte fonda con il cuore che batteva a mille,» confida Sara «avevo l’adrenalina in circolo nel corpo, come se stessi vivendo quell’istante ancora e ancora. Tagliare il traguardo è stata una sensazione unica, senza contare che, gareggiando in Italia, ho potuto vantare l’appoggio della tifoseria di casa. Ho sentito il calore di tutte quelle persone venute apposta per me che gridavano il mio nome. Sono rimasta lucida per tutta la gara, ma in quel momento l’emozione mi ha sopraffatta. Sono scoppiata in un pianto liberatorio.»
Il mondiale per te è sempre stato molto combattuto. Negli anni scorsi sempre in finale, ma mai sul podio. Qual era il tuo punto di vista sulla gara? Quando hai realizzato che stavolta la vittoria sarebbe stata tua?
«Esatto, dopo cinque mondiali una soddisfazione ci voleva. Premettendo che mi ero allenata molto duramente per questa gara, dopo la vittoria dei titoli italiani le aspettative erano alte. Ero parecchio motivata e sicura del fatto mio, sapevo quanto mi ero impegnata durante la preparazione. Questo mi ha aiutata ad essere più tranquilla, determinata. L’inizio della gara non è stato un granché, ma del resto le mie partenze non sono mai brillanti. Un’alga mi ha rallentato, ma dopo i primi cinquecento metri ho iniziato a guadagnare vantaggio. Ha giocato a mio favore il fatto di essere stata molto lucida, non ho mai perso la concentrazione per tutta la durata del percorso.»
Neppure quando hai realizzato che stavi per vincere?
«Me ne sono accorta, certo. Ma l’emozione non mi ha dato alla testa, per fortuna!»
La tua rivale, la lituana Milda Valciukaite, ha conquistato la prima posizione. Il vantaggio era minimo. Cosa pensi di lei? Era una tua vecchia conoscenza?
«La conoscevo di fama, sapevo che era un osso duro. Aveva vinto i campionati Senior, le sue capacità erano note, dicevano che aveva buone possibilità di piazzarsi nelle prime posizioni. Lei è molto grintosa, a differenza mia. Il mio allenatore, Alberto Tabacco, dice sempre che devo fare ‘gli occhi da tigre.’ Insomma, ero consapevole di avere a che fare con un’avversaria tosta. Durante la gara il testa a testa c’è stato e non è andato a buon fine. Ciò non mi vieta di pianificare una rivincita per il futuro.»
Il 2014 per te è stato un anno d’oro e non è ancora finito, chissà quali altre sorprese ti riserverà. In una sola stagione i primi due titoli italiani e l’argento mondiale. Hai trovato una spiegazione a tanto successo?
«Diciamo che ho vissuto tutti questi traguardi come una tappa intermedia per le Olimpiadi. Queste vittorie non sono il coronamento di un sogno, perché il vero sogno, la meta è Rio. Quasi fa paura dirlo ad alta voce per timore che non si realizzi. Le piccole conquiste di quest’anno sono state molto motivanti: è stato emozionante vedere tanta gente pronta a fare il tifo per me. Persone sconosciute mi hanno scritto dopo il mondiale, da ogni parte del mondo, la loro solidarietà mi ha commossa. Ottenere questi risultati è senz’altro stato gratificante dopo tanti anni di lavoro. Il segreto del successo è tutto lì, nel duro lavoro. Tanto allenamento, almeno tre ore, due volte al giorno. E’ stato un percorso funzionale. Mi sentivo pronta avendo superato positivamente le gare di prova, ma non immaginavo un simile risultato.»
Invece il risultato è arrivato eccome. Guardandoti indietro, è sempre stata in salita la strada verso questa medaglia? Gli allenamenti devono essere duri e impegnativi, ti hanno mai costretta a delle rinunce?
«Senz’altro dei periodi duri ci sono stati, arrivano sempre quei momenti in cui senti con più intensità la fatica fisica, lo sforzo. Comunque non parlerei di rinunce, piuttosto di piccoli sacrifici che più o meno ciascuno di noi è portato a fare. Non ho mai vissuto il canottaggio come un peso perché è il mio obbiettivo, a volte sì, ho avvertito la stanchezza, ma mai la tentazione di mollare. Se per rinunce si intende non fare tardi la sera perché al mattino ti aspetta una gara: sì, l’ho fatto. Ma non ho mai avuto il desiderio di fare altrimenti. Sono stata fortunata ad avere un forte supporto: da parte della mia famiglia, in primo luogo, e da parte degli allenatori. L’appoggio di mio padre, in particolare, è stato fondamentale. E’ come se fosse il mio allenatore psicologico, mi sostiene sempre nei momenti duri e mi capisce. Forse perché condividiamo la stessa passione, conosce lo stato d’animo di un canottiere. Il mondiale è stata una vittoria anche sua.»
Tuo padre con la sua passione ha dato avvio ad una stirpe di canottieri. Anche tuo fratello, Mattia Magnaghi, pratica questo sport a livello agonistico. Non c’è competizione fra voi? In famiglia parlerete sempre di canottaggio…
«Effettivamente, sì! In famiglia il canottaggio è il nostro pane quotidiano, le nostre conversazioni vertono sempre sull’argomento. Siamo fortunati a condividere la stessa passione. Mia madre, poverina, che non se ne intendeva, si è dovuta adeguare pur di sopportarci. Adesso perfino lei descrive le gare come un tecnico! Quanto alla competizione, no, affatto. Mio fratello è la mia spalla destra, ci intendiamo subito. Essendo la maggiore spesso lui mi vede come un punto di riferimento, a volte mi chiede consigli. Devo ammettere che Mattia è molto in gamba, ha vinto di recente la Coupe de la Jeunesse a bordo dell’otto azzurro. A scuola, poi, è molto più bravo di me. Gli ripeto sempre che è troppo secchione!»
Anche in questo campo non mi sembrate molto diversi. Nonostante l’impegno sportivo hai riservato del tempo per l’università e con obbiettivi non meno ambiziosi. Com’è nata la decisione di frequentare psicologia? È difficile conciliare sport e studio?
«Purtroppo l’alternanza serrata degli allenamenti non mi permette di frequentare direttamente l’università a Milano. Seguo il programma per non frequentanti che sicuramente è più difficile ed impegnativo, ma sono convinta della facoltà che ho scelto. Fin da bambina raccontavo del mio sogno di studiare psicologia, ho sempre avuto una specie di attitudine all’ascolto. Con gli anni poi ho scoperto anche quale sarebbe stata la mia specialistica: psicologia dello sport! Devo ammettere, però, che in quest’ambito in Italia siamo indietro. Nei paesi stranieri le università mettono a punto un programma su misura per gli sportivi. Ci sono addirittura università specialistiche per chi pratica il canottaggio che permettono di gestire contemporaneamente allenamenti ed esami. Da noi una prospettiva del genere non esiste, non c’è dialogo fra università e sport. Questo ci mette in una posizione di netto svantaggio anche a livello di prestazione.»
A proposito del nostro Paese, come vedi il futuro del canottaggio? Pensi che per una donna sia possibile praticarlo a livello professionale?
«Sicuramente no. Per una donna è molto più difficile. Un uomo ha la possibilità di entrare a far parte di un corpo militare . Mentre una donna parte già svantaggiata. Se pratica canottaggio è esclusivamente per passione.»
Parliamo di come ha avuto origine questa passione. Che bambina era Sara Magnaghi: eri competitiva anche da piccola? Quando hai capito che il canottaggio poteva essere più di un divertimento?
«Competitiva non lo sono mai stata, ancora adesso mi rimproverano dicendo che dovrei avere più grinta. Da bambina ho praticato alcuni sport, nuoto, danza, ma non a livello agonistico. Il canottaggio non l’avevo mai considerato, nonostante mio padre nel fondo del suo cuore pregasse perché lo praticassi con lui. Io proprio non volevo, non c’era modo di convincermi. Dicevo che era uno sport da maschi. Poi, quand’ero ormai in quinta elementare, ho attraversato un periodo piuttosto difficile. Fu duro soprattutto per i miei genitori. Ero una bambina iperattiva, la notte non c’era verso di farmi dormire. Dissero che la soluzione era farmi stancare, così papà decise che era giunto il momento di iniziarmi al remo. Funzionò. La notte dormivo come un sasso! E, sorprendentemente, il canottaggio mi piaceva. Ho continuato a praticarlo per divertimento, poi, crescendo sono passata alle categorie maggiori e a certi livelli la motivazione viene da sé.
Motivante deve essere stato anche partecipare agli Europei, nel 2012. A soli diciannove anni ti trovavi a bordo di un otto rosa circondata da vere big del canottaggio. Tu eri praticamente la loro mascotte, la piccolina del gruppo. E siete risultate anche un gruppo vincente, conquistando la medaglia d’argento. Forse era un preannuncio del tuo successo futuro. Quanto ti senti cambiata da allora?
«Per me la vera vittoria era essere in barca con loro. Non mi sarei aspettata minimamente una medaglia, contando che la gara fu tutta in rimonta, da cardiopalmo! A questo punto, visto anche il risultato dei mondiali, direi che il lago di Varese mi porta fortuna. Ricordo gli Europei come un’esperienza molto stimolante, mi hanno dato una spinta per gli anni a venire. Ho conosciuto Gabriella Bascelli, che stimo tantissimo. È una persona meravigliosa, l’ho sempre vista come un esempio. Mi ha dato molti consigli, la considero una guida per me, infatti siamo ancora in contatto. Ho ricevuto il suo in bocca al lupo prima della finale e, è proprio il caso di dirlo, mi ha portato fortuna!»
Purtroppo l’in bocca al lupo non è bastato per i mondiali assoluti di Amsterdam. Peccato parlare di una sconfitta dopo tante vittorie, un piccolo ammacco sul medagliere di un anno che sarebbe stato da record. Come hai vissuto quest’esperienza?
«Amsterdam è stata senz’altro una grande delusione, ma formativa. Non ci aspettavamo un risultato così deprimente, in effetti, perché la nostra preparazione era buona. Ma evidentemente qualcosa è andato storto e questo significa che dovremo cambiare tecnica. È stato utile sbagliare adesso, ci permetterà di arrivare più preparate alle qualificazioni per le Olimpiadi di Rio.»
Le Olimpiadi di Rio saranno l’obbiettivo principale, questo è chiaro. Ma oltre alle Olimpiadi come vedi il tuo futuro? Da psicologa sportiva o da sportiva affermata? Magari come allenatrice?
«Non credo che il canottaggio sarà il mio futuro. Non riesco ad immaginarmi a quarant’anni a remare, non a livello professionale, almeno. Per passione lo praticherò sempre. Di certo mi piacerebbe togliermi qualche altra soddisfazione, prima del ritiro. L’allenamento non lo escluderei, mi piacciono tanto i bambini, quando sono con loro mi sento un po’ come la chioccia circondata dai pulcini. Anche se mi rendo conto di non poter fare progetti a lungo termine. Ora dico così, magari col tempo cambierò idea.»
Proprio in questa incapacità di vedere il futuro è racchiusa la forza di Sara Magnaghi. In questi ventun anni non ancora compiuti che promettono tanto e tanto hanno ancora da dare. La sua incertezza denota tutte le possibilità per ora indistinte, sul punto di rivelarsi, le promesse non infrante che la nostra campionessa avrà l’opportunità di mantenere guardando sempre avanti perché, come sostiene lei stessa: «Io penso sempre di non essere arrivata. Per ogni traguardo tagliato, trovo sempre un nuovo obbiettivo da raggiungere.»
Alice Figini
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