Dalila Vignando
Nata per vincere
È venuta al mondo lottando, Dalila. E questa vita ha continuato a conquistarsela vincendo.
2 giugno 1990: due ore dopo la nascita si trovava già sotto i ferri della sala operatoria aggrappata con tutta la forza dei suoi gracili polsi a quel numero che i medici avevano sussurrato quasi in segreto, come un avvertimento o una promessa. In quelle cifra era racchiusa la sua volontà di sopravvivere: si trattava di un messaggio chiarissimo nella sua risolutezza, in realtà una percentuale. Venti contro cento. Una maggioranza tanto schiacciante avrebbe abbattuto qualsiasi speranza, Dalila era quel venti tondo tondo così minuscolo da suscitare un affetto spontaneo soltanto a sentirlo. Furono attimi sospesi: i medici i suoi primi sostenitori e lei già combatteva la sua lotta silenziosa per emergere, poter spalancare uno sguardo curioso sulla vita.
Quegli occhi verdi lucenti che tuttora si accendono vivaci a manifestare simpatia, un entusiasmo inesauribile nei confronti di tutto ciò che la circonda e, in particolar modo, della gente. Perché parla sempre degli altri e mai di se stessa, quasi volesse manifestare un amore incondizionato verso il mondo: per questo lega le sue vittorie alle persone, forse nel tentativo di dare a quelle conquiste un senso che vada oltre la fatica.
E ad ascoltarla pare che nulla sia dovuto solo a lei, ma il merito si trovi sempre in qualche sostegno nascosto. Perfino della singolarità di quegli occhi non ne fa un vanto, invece al complimento risponde con semplicità: «Sono uguali a quelli della nonna». E sottilmente è facile intuire che ringrazia la nonna per quella qualità. Purezza, innanzitutto, è il primo aggettivo che si può associare alla sua personalità. A ventitré anni compiuti non ha perso l’innocenza sconfinata che la visione adulta tende a spezzare: rimane sempre limpido il suo sguardo come l’acqua in cui si riflette ogni giorno. Dalila è affetta della sindrome di Down e curiosamente è stata proprio questa caratteristica ad avvicinarla al nuoto, ma la grinta necessaria per vincere è solo sua e indomabile. Ripete spesso nei discorsi la parola “cuore”, per indicare qualcosa di bello, di forte. Ecco perché sarebbe corretto dire che la campionessa che è diventata si trovava già lì, dentro il suo cuore, molto più di un muscolo a quanto sostiene lei stessa: «è il mio cuore che mi dice di andare avanti per vincere».
Ai campionati europei di Coimbra Dalila non ha avuto rivali: dieci gare, dieci ori sicuri. Delle nuotatrici della sua categoria è fra le più potenti al mondo, si contende il primato con un’australiana e una sudamericana. «Potremmo considerarla una professionista non retribuita» commenta il fratello Gianfranco Vignando. «Si allena tutti i giorni per nove ore, terminando alle dieci e trenta di sera. Lei non ha cognizione del tempo che trascorre in piscina, è come se si trovasse in una dimensione a sé stante. È indescrivibile quello che si prova guardandola nuotare».
Le sue medaglie ci mostrano un volto nuovo della competizione: una sfida alla pari in cui il premio non è calcolabile perché derivato soltanto da una ferma, inespugnabile volontà di mostrare il proprio valore. Dalila gareggia con la convinzione testarda di chi cerca il proprio posto nel mondo.
Alla domanda «Perché nuoti, Dalila?», lei risponde «Io faccio vedere chi sono!».
Il nuoto come riscatto
Le pareti di La Vecia Hosteria, il ristorante di famiglia, sono adornate dalle medaglie della piccolina di casa che in quel locale è cresciuta coccolata dall’affetto dei cinque fratelli e dalle vasta clientela fra visite occasionali e fisse, invariabilmente conquistate dalla sua presenza solare. Fra una nuotata e l’altra la campionessa cerca di improvvisarsi anche cuoca, ma le lusinghe del buon cibo non sono sufficienti ad allontanarla dalla sua dimensione reale: la piscina. In un susseguirsi di bracciate Dalila subisce una specie di metamorfosi, nell’acqua la sua forza assume un potere incontrastato rivelando un’anima capace di emergere solo a tratti nella placida quotidianità che la costringe a tenere i piedi per terra.
«È come sei lei fosse il cucciolo più debole, il riguardo nei suoi confronti nasce spontaneo. Proteggerla è una sorta di necessità». Racconta il fratello Gianfranco con cui Dalila ha un’intesa tutta speciale. «Sono anni che mi batto per diffondere la sua storia, lo merita davvero. Sono rimasto molto deluso dalle testate giornalistiche più celebri che se ne infischiano dell’impresa sportiva d’alto livello e cercano soltanto la notizia in grado di vendere più copie. Per la sua età Dalila può vantare un palmarés unico, eppure, per quanto sia duro da ammettere, la gente preferisce vedere la campionissima di turno che inaugura un supermercato. Dico questo perché sono amareggiato dai continui rifiuti ricevuti. Purtroppo le persone che hanno davvero valore vengono eclissate nell’ombra dell’indifferenza, quante volte mi sono chiesto ‘perché?’ Ma chi si occupa di affari è sordo a queste domande, ascolta richieste di tutt’altro genere».
Gianfranco segue la sorella con l’attenzione costante di un ammiratore accanito e, allo stesso tempo, con la premura cauta di chi vede ogni passo come un prolungamento del proprio. «La sua prima fan è stata mamma Grazia» si schermisce subito incitato da Dalila «è stata lei ad accompagnarla da subito in questo percorso. All’inizio con paura, non lo nascondo. Negli anni Novanta l’ignoranza a proposito della sindrome di Down era ancora forte. I suoi primi istruttori notando l’acquaticità di Dalila proposero a mia madre di iscriverla a un corso per normodotati. Lei non voleva esporre la bambina a pericoli, così rifiutò». Ben presto, però, l’occasione tornò a proporsi: «Una delle caratteristiche della sindrome di Down è la tendenza ad ingrassare, per ovviare al problema Dalila ha continuato a frequentare corsi di nuoto. Mia madre dovette così ricredersi a proposito della sua scelta iniziale. Le consigliarono di iscrivere la bambina all’associazione Osha Como e da lì tutto ebbe inizio. Venne subito indirizzata all’agonismo e fu un successo annunciato. La sua gara di debutto è stata la prima di una lunga serie di vittorie. Ormai nuota agonisticamente da più di sette anni e non ha mai tradito un’aspettativa, se dovessimo stillare un bilancio delle sue medaglie ne risulterebbe un 80% oro contro un 10% bronzo».
Ai Mondiali di nuoto DSISO svoltasi a Loano dal 15 al 23 novembre 2012 Dalila si è riconfermata come uno dei migliori talenti italiani conquistando un oro incredibile sui 100 misti. Il suo trionfo si è confermato sul record di 1’e 39’’ nettamente superiore ai tempi timbrati dalla giapponese Okammura e dalla messicana Camacho, rispettivamente argento e bronzo. «Un’emozione immensa» racconta Gianfranco mostrando il video amatoriale con cui ha immortalato il momento. «Continuavo ad urlare il suo nome e praticamente si sente soltanto la mia voce». E si nota la mano che trema nel reggere la telecamera conferendo una scossa ancora più realistica all’istante decisivo. A questo punto Dalila rivela, oltre all’entusiasmo che l’ha travolta fino alle lacrime, quale preoccupazione la opprimeva di fronte a quella vittoria: una scommessa sul cui effetto non si trovava proprio d’accordo. «Gli avevo detto» confida ridendo Gianfranco «che se avesse vinto i Mondiali mi sarei tagliato i capelli». Dalila sbarra gli occhi ancora con aria contrariata: «E io non volevo, gliel’ho detto subito!». Alla fine, per chi se lo chiedesse, il successo è stato totale: due medaglie conquistate e chioma fraterna incolume.
Emozioni condivise
C’è un altro aspetto nella competizione vista con gli occhi di Dalila che colpisce, una particolarità sempre collegata alla sua parola preferita “cuore”. È la dirompenza dell’emozione: l’entusiasmo vero, la commozione più sfrenata che solamente lei è in grado di esprimere. «Piango perché sono migliorata tanto» spiega per descrivere la sua gioia. Riguardo alla sua gara perfetta non ha dubbi: «Sono le gare che dovrò fare quelle che mi emozionano di più» rivela con le sue parole semplici capaci di sciogliere un nodo dentro. Seguendo la stoffa dei veri campioni il suo sguardo non si sofferma mai sui traguardi raggiunti, ma è puntato verso quelli in arrivo. Tra una settimana si troverà in Messico per i campionati italiani, mi confida che vuole tenere alta la sua bandiera e quando le chiedo di quale bandiera si tratta la risposta mi sorprende. Vuole portare in Messico la bandiera nazionale, avuta in dono dai suoi concittadini di Vertemate al termine di una festa organizzata in suo onore; è semplicemente il suo modo di dire grazie. Mi parla di uno striscione con la scritta “Ti vogliamo bene, Dalila!” e i suoi occhi si illuminano più di quando chiacchieravamo delle sue medaglie. Il sostegno della gente è fondamentale per lei e nell’esprimerlo commuove, perché un amore tanto disinteressato assume il significato raro di una perla ora che siamo abituati a contemplare solo belle conchiglie. Si parla spesso di amore in ogni modo, spesso abusando del termine, mentre basterebbe incontrare una persona come Dalila per rivalutare ogni prospettiva.
Dedica le sue vittorie alla gente perché è il suo modo di tenerla vicina a sé: quando pronuncia la frase «i miei morti» mi stupisco prima di capire che le sue medaglie sono un omaggio ai defunti, perfino ai famigliari che non ha mai conosciuto. Per dare la carica a se stessa innanzitutto ringrazia.
Mi svela anche i suoi riti scaramantici che, a suo dire, hanno una valenza quasi sacra prima di ogni gara: schioccare un bacio al blocco di partenza, perché la aiuta a bilanciare la forza, poi un pugno sul petto pronta per il tuffo dì avvio ed infine, a vittoria stabilita, mandare un’infinità di baci verso il cielo. Qualche mossa, però, ammette di averla copiata da Federica Pellegrini, l’idolo che vorrebbe tanto incontrare. «Non solo incontrare» specifica poco prima di salutarmi «anche battere». Fra stelle del nuoto, si sa, l’adrenalina scorre nell’acqua. Fra i bordi della piscina Dalila intravede i suoi giorni futuri: nuotare sarà la sua vocazione per sempre e si dichiara pronta un giorno a fare il salto di qualità da campionessa ad allenatrice.
Intanto il domani le riserva altre sfide, in un susseguirsi di giorni innumerevoli da riempire con la sua gioia e da padroneggiare con la sua grinta.
Nuove gare la attendono, anche se non sono le medaglie il suo obbiettivo: per la prossima vittoria Paolo Gieri, il suo allenatore, le ha promesso in regalo una maglietta ed un fischietto. E a quel bottino lei aspira con l’attesa impaziente che si dedica alle sorprese a lungo sospirate. «Il fischietto mi servirà per allenare» spiega. In effetti, a parte la sua lucentezza, chi può a quantificare l’utilità di una medaglia? Un fischietto, è risaputo, si presta ad un uso ben definito.
Nel 2016 i Giochi Olimpici di Rio de Janeiro per la prima volta saranno aperti alle persone affette da sindrome di Down. La nostra campionessa non mancherà all’appuntamento con la vittoria.
Forza, Dalila, potresti scrivere la storia.
Alice Figini
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