Josefa Idem

Josefa Idem (© ANSA)

Josefa Idem (© ANSA)

 

Quando l’eccezionalità diventa normale

Di solito, a quarantotto anni, chi ha praticato lo sport e ha alle spalle una carriera costellata di successi e trionfi storici, ha da tempo abbandonato l’attività.

A quell’età, quando vecchi non lo si è davvero, ma è ormai diventato difficile competere con le forze fresche ed intatte delle generazioni più giovani, è ormai un diritto entrare nei territori piacevoli e un po’ romantici dell’affabulazione, del ricordo quando.

Così ci si può permettere di rievocare nelle serate con gli amici  le lunghe ore di allenamenti e il tempo trascorso a misurare le proprie forze in una sfida che si rinnova ogni giorno, e che ogni giorno si ripropone più ardua e più faticosa. Ci si può permettere di raccontare con una sorta di nostalgia malinconica ed esaltante la commozione di momenti unici, come solo una prova vittoriosa può regalare. Ché in fondo poco importa se la vittoria sia sugli avversari o su sé stessi.

la Idem in azione

la Idem in azione

 

Si dirà: è giusto e normale che sia così. La vita ha i suoi tempi e le sue leggi. Regole cui chiunque deve sottoporsi e sottostare inesorabilmente. Vero.

Poi però ci sono casi in cui la normalità sembra stravolgere i suoi canoni, in cui l’accezione del termine assume connotati insospettabili e diventa, giorno dopo giorno, gara dopo gara, Olimpiade dopo Olimpiade, qualcosa di diverso. Diventa leggenda.

Josefa Idem, sposata Guerrini, forse a tutto questo non ha mai pensato. O se lo ha fatto, lo ha fatto solo per un divertissement passeggero. Per rispondersi subito dopo che normalità può anche voler dire macinare per tutto il quarto decennio della propria vita migliaia di chilometri a bordo di una canoa, adoperando la pagaia per disegnare sull’acqua un’esuberante voglia di esistere. Senza per questo rinunciare alla gioia di una famiglia, alla felicità di crescere da madre presente ed affettuosa  i due figli che la adorano. Senza rinunciare insomma ai piaceri di una vita come ogni altra, di quelle che tutti noi viviamo. In cui riesce persino a ritagliarsi il tempo per un impegno sociale e politico genuino, sul quale costruire saldamente tutta una personale philosophia vivendi.

Gli inizi

Di sicuro non prevedeva tutto questo, Sefa, quando, biondissima undicenne nata il 23 settembre 1964 a Goch, una cittadina di trentamila abitanti nella Renania Settentrionale-Vestfalia, proprio ai confini con l’Olanda,  iniziava timidamente a pagaiare.

E non lo prevedeva neppure quando a Los Angeles 1984, vide per la prima volta accendersi la fiamma di Olimpia, vestendo la maglia della Germania. Quella Ovest, perché nessuno poteva ancora sapere che di lì a poco si sarebbe realizzato il sogno della riunificazione tedesca.

L’avrebbe vista altre sette volte accendersi, la fiamma olimpica. Per ora. Perché poi, con Sefa, non si può mai dire. Un record che condivide con i fratelli Guido e Raimondo D’Inzeo, o se vogliamo andare un po’ più indietro negli anni, con un certo Milon di Kroton, che, per la verità, vinse persino più di lei. Tra il 540 e il 512 a.C., non proprio ieri.

In questi ventotto anni della vita di Josefa, tra Los Angeles 1984 e Londra 2012, ci sta dentro un po’ di tutto. Il bronzo americano nel K2 500 m, in coppia con Barbara Schüttpelz, per esempio. Una medaglia conquistata in quelli che sono passati alla storia come i Giochi del Figlio del Vento, i Giochi di Carl Lewis. E la delusione di Seoul 1988, dove la tedeschina, passata all’imbarcazione singola, finisce lontana dal podio, al nono posto nel K1 500 m e al quinto con la squadra di K4, sempre nei 500 m.

la Idem con una delle sue tante medaglie (©SIPA)

la Idem con una delle sue tante medaglie (© SIPA)

 

Ventotto anni che hanno la loro svolta decisiva nel 1989, quando, appunto dopo la grigia Olimpiade coreana, la giovane decide di stabilirsi in Italia, e (per destino, per fortuna o forse solo per la sua sana saggezza nordica) si sceglie come allenatore proprio l’uomo che è destinato a diventare il suo compagno, Guglielmo Guerrini. I due si innamorano in una fatale serata a Praga, ed è la storia che vale l’esistenza intera.

Ecco allora un altro cambio epocale per la ragazza di Goch. Sposa Guglielmo nel 1990, e la maglia che indossa in gara assume il colore del cielo. Entrata nella Nazionale Italiana, Sefa inizia a vincere con una regolarità impressionante. I mondiali dello stesso anno sono già nel suo segno, un oro nel K1 500 m  e un bronzo nel K1 5000 m, medaglie che curiosamente (ma neanche poi tanto, data l’incredibile classe della Idem) si invertono ai mondiali successivi.

Nel 1992, finalmente la signora Idem in Guerrini diventa a tutti gli effetti cittadina italiana, e a Barcellona è pronta a difendere i colori del paese adottivo. Ci arriva tra le favorite, Sefa, avendo dominato la preolimpica dell’anno precedente, ma l’attende un’altra mezza delusione. Un quarto posto, non disprezzabile, certo, ma che lascia l’amaro in bocca a lei che si attendeva qualcosa di più dall’avventura spagnola.

Gli anni che seguono non sono brillantissimi, e la bionda canoista paga forse il contraccolpo psicologico dei Giochi catalani, ottenendo solo un terzo posto iridato. Il 30 aprile 1995 nasce Janek, il suo primo figlio. «Ho gareggiato ai mondiali tre mesi e ventiquattro giorni dopo il parto. La mattina delle semifinali eravamo al pronto soccorso perché Jonas aveva la febbre. Sono arrivata quinta», racconterà anni dopo in un’intervista.

Atleta e mamma

E del resto, Janek l’aria della canoa è destinato a respirarla sin da piccolo, quando papà Guglielmo lo carica in un marsupio e lo conduce con sé, in bicicletta, a seguire dal bordo del campo di gara le imprese della mamma. Un giorno potrà pure raccontarlo ai suoi figli, Janek, di quando mamma Sefa, ad Atlanta 1996 lo allattava tra una prova e l’altra. Riuscendo anche a portare a casa un ricordo color del bronzo, conquistato dopo un’esaltante prova che la vede cedere solo alla fortissima ungherese Rita Coban e alla canadese Caroline Brunet. Due mostri sacri della canoa. Piange sul podio, Sefa, quel giorno di agosto del 1996. Piange per la medaglia, per l’inno che suona, per la bandiera che sale sventolando sul pennone. Ma piange soprattutto per essere riuscita a fare ciò che aveva promesso a sé stessa: dedicare una medaglia olimpica a Guglielmo e a Janek, i due uomini che le sono vicini.

Il terzo posto olimpico è ben lontano da rappresentare il culmine di una carriera che, a trentadue anni, potrebbe già avviarsi ad una dignitosa conclusione. Ne è anzi un trampolino di lancio, perché Josefa inizia a inanellare una serie di successi assolutamente unica. Nel quinquennio tra il 1997 e il 2002 sale tre volte sul gradino più alto nelle competizioni iridate, con altri dieci piazzamenti da podio, e vince cinque titoli europei.

Josefa Idem mamma

Josefa Idem mamma

 

I Giochi della XXVII Olimpiade, quella di Sydney 2000, le consegnano finalmente l’oro più ambito: a trentasei anni suonati, la Idem diventa campionessa olimpica. A questo punto, la bionda canoista pensa di regalarsi per la seconda volta la gioia della maternità, e il 19 maggio 2003 nasce Jonas, uno splendido bimbo, biondo come la madre.

La quale madre non pensa neanche per un attimo di abbandonare lo sport. Quindici mesi dopo il parto, rieccola con al collo una medaglia olimpica. D’argento, questa volta, ma il sapore che ha vale quello dell’oro, perché testimonianza di un carattere e di una volontà forgiate nel più duro degli acciai. E sede migliore non poteva esserci, per questa vera lezione di vita, della Grecia da cui gli ideali agonistici cominciarono ad illuminare la storia dell’uomo.

Quattro millesimi. Un tempo che è difficile perfino concepire. Eppure è il tempo con cui Sefa perde l’oro all’Olimpiade seguente, Pechino 2008. In una gara di K1 500 m, quanto sono quattro millesimi? Un centimetro, due, chi può dirlo con precisione… La ragazza di Goch è ancora sul podio e una volta di più si commuove per l’inno e la bandiera che sale.

Pensa di smettere sul serio, ma l’amore per la canoa, per quel mondo fatto di fatica, di umile costanza, di dialogo con la propria anima è ancora troppo forte. Va avanti. A Londra, a quarantotto anni di età, è ancora in acqua a competere con le figlie delle sue avversarie di un tempo. Niente podio, questa volta, nella passerella (forse) finale. Un quinto posto che per soli tre decimi non si trasforma in bronzo.  Un piazzamento che la fa comunque entrare definitivamente nella leggenda, a fianco dei grandi di ogni tempo.

Non che dopo il ritiro, annunciato subito dopo i Giochi, la voglia di fare subisca un arresto. Si è solo spostata dall’acqua ad un altro campo, quello sociale, dove già da molti anni Sefa ha profuso il suo impegno e la sua figura cristallina.

Il desiderio di fare dello sport una scuola per i giovani, la speranza che gli ideali più nobili dell’etica agonistica possano servire al risanamento morale e politico del Paese. Iosefa è entrata in politica, dopo una lunga, positiva esperienza nell’amministrazione della sua città, Ravenna.

la Idem politica (©AP-La Presse)

la Idem politica (©AP-La Presse)

 

Ci è entrata dalla porta principale, e oggi siede nel Senato della Repubblica, dove ha contribuito a portare, nelle elezioni del ricambio generazionale, una ventata di aria pulita. Ministra per le Pari Opportunità, lo Sport e la Gioventù, avrà l’opportunità di operare positivamente per lo sport italiano, con quell’assoluta onestà che tutti, amici ed avversari politici, le riconoscono. Qualsiasi giudizio diano poi sul Governo nato il 27 aprile 2013.

Perché, come la neo-ministra Idem ha detto in un’intervista ad un settimanale, all’inizio del 2012 «Siamo tutti su una giostra che gira forte, troppo forte. Stiamo correndo il rischio di andare fuori orbita. Dobbiamo renderci conto che così non si può andare avanti. Dob­biamo fare tutti un passo indietro! La “politica” deve tornare a essere pol-etica: hanno fallito perché hanno perso l’etica, non fanno quello che sono chiamati a fare, non lavorano per il bene co­mune. E purtroppo il mio commento è trasversale…».

Danilo Francescano
© Riproduzione Riservata

 

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Comments To This Entry
  1. Tutto giusto, tutto bello.
    Ma, per completezza d’informazione, ricordiamoci anche dei valori di GH superiori di 30 volte quelli di una persona normale, riscontrati nel 2000 nella campagna “Io non rischio la salute”…

    giovanni on April 28, 2013 Reply
    • Il giusto rilievo di Giovanni è di importanza tale da richiedere una precisazione. La vicenda accennata nasce da un articolo apparso sul Corriere della Sera il 14.10.2000. Nell’articolo si segnalava come i valori del GH (ossia l’ormone della crescita) di un gruppo di atleti azzurri di primissimo piano presentassero risultati molto superiori alla norma. In particolare, riguardo a Josefa Idem, il valore era risultato di 34 ng di GH per ml, contro un valore medio per donne sane intorno ad 1 ng. Pur essendo in seguito confermata la correttezza dell’informazione, va altresì ricordato quanto dichiarato dal medico federale, dottor Antonio Spataro: “E’ noto dai dati della letteratura scientifica come un solo valore del livello ematico GH non è sufficiente per prospettare un quadro diagnostico di disfunzione ormonale, o far sospettare il ricorso all’assunzione di sostanze dopanti, essendo tale livello influenzabile da numerosissimi fattori endogeni (assunzione di grandi quantità di carni rosse, ecc.) ed esogeni”.
      Ancor più importante è sottolineare che la Idem, il 20 maggio 2000, si era sottoposta volontariamente alle analisi in questione, proposte dall’altro medico federale Stefano Dragoni nel quadro della campagna “Io non rischio la salute”. Il quale dottor Dragoni, in seguito precisò: “…La commissione ha richiesto un ulteriore approfondimento relativo ad un più ampio screening ormonale: tale controllo è stato eseguito il 25 maggio sullo stesso campione di sangue ed ha mostrato valori del tutto normali. Successivamente, la Idem, oltre ai controlli antidoping, è stata sottoposta ad altri accertamenti (il 16/6 e il 30/8) richiesti dalla commissione scientifica e nulla di anomalo è emerso dai risultati”.
      In definitiva nella quasi trentennale carriera di Sefa la vicenda è rimasta del tutto isolata e non ha assunto dimensioni tali da offuscarne in nessun modo la limpidezza. Citarla nell’articolo, come sarebbe stato forse giusto, avrebbe di contro appesantito la narrazione, richiedendo appunto la lunga digressione che è stata fatta ora. (df)

      admin on April 28, 2013

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