Sara Morganti
Danza con i piedi nelle staffe
Ha sfiorato il podio al primo mondiale personale ma si è presa l’oro al mondiale 2014; è campionessa mondiale e campionessa italiana di paradressage, medaglia di bronzo agli Europei 2013 nell’individuale tecnico e nel freestyle, ha ricevuto nel 2014 il Pegaso per lo sport come “sportivo toscano dell’anno” dal presidente della Regione Enrico Rossi, è stata ricevuta al Quirinale dal presidente del Coni Giovanni Malagò, dal Presidente del CIP Luca Pancalli, dal Presidente della Repubblica da Giorgio Napolitano ed è stata festeggiata da un intero paese. Originaria di Barga, Sara Morganti ha vissuto 11 anni a Pisa, dove continua a montare, e risiede a Lucca dove lavora part time in un’azienda privata come segretaria –«Purtroppo non si vive di solo sport!» – e vive col marito –«il mio primo sponsor!».
E meno male che qualche altro sponsor esiste, per questa “toscanaccia d’oro” a cui nel Natale del 1995, a 19 anni, viene diagnosticata la sclerosi multipla.
«Vedevo doppio, ero sempre stanca. C’è voluto un mese di visite e analisi per capirne la causa. Mi è crollato un mondo addosso. Praticavo equitazione sin da bambina, salto a ostacoli e cross country. È crollato un mondo. La reazione della mia famiglia è stata perfetta. Non hanno mai fatto trasparire in modo eccessivo la preoccupazione, mi sono stati vicini senza esserlo troppo, mi hanno lasciata provare sbagliare, senza eccessive reazioni né per la diagnosi iniziale né quando è peggiorata».
E quanto è peggiorata?
«Parecchio. Dal 1998 la patologia ha preso un decorso progressivo. Il primo tracollo è avvenuto poco prima del mio matrimonio. Ho smesso di camminare a un mese dalle nozze. Al tempo non si parlava degli sport paralimpici. Ho ricominciato ad andare a cavallo solo molti anni dopo, nel 2005.
Specifico che la mia patologia non è SLA.
C’è un po’ di confusione a volte e a me dispiace perché non sono sicura che il paradressage sia compatibile con la SLA. Io ho cercato per anni di accettare la malattia, poi mi son accorta che è naturale che io non l’accetti. Ci convivo. Mi fa comunque rabbia e nei momenti in cui sto peggio ho parecchia rabbia, non tristezza: rabbia che a volte incanalo nella competizione. Non mi domando più “perché io”, perché guardandomi intorno mi accorgo che tutti han qualcosa che non va. Quella rabbia deve trasformarsi in qualcosa di positivo, non deve ledere a me o agli altri (specialmente agli altri, provare rabbia verso chi sta bene è una cosa che non condivido)».
Qual è il sintomo più difficile da gestire?
«Io uso la sedia da tantissimi anni, è diventata una sostituzione e mi rende indipendente in tutto (la smonto, guido, faccio la spesa, etc); è una mancanza a cui si sopperisce. La stanchezza cronica invece non è facile da gestire: purtroppo è un sintomo della malattia e non esiste alcun farmaco di supporto, uno deve imparare a conviverci. Quella e il dolore neuropatico sono sintomi con cui non riesco a convivere bene. Siccome la stanchezza non dipende da ciò che faccio ma dalla mia patologia, tanto vale fare. Lavorare. Cavalcare. Idem per il dolore neuropatico. Dal 2006 al 2008, poco dopo aver esordito nel campionato italiano assoluto prima nel tecnico poi nel freestyle, ho smesso di montare perché non gestivo più il dolore neuropatico. In questi due anni di fermo non è scemato. Per cui tanto vale fare.
Rimettere i piedi nelle staffe.
Se devo vivere con dolore privandomi di ciò che mi da’ piacere non va bene.
È difficile, ci sono anche giorni peggiori. Ma arrivano i risultati».
Qual è il tuo programma di allenamento?
«Dipende dal programma lavorativo della cavalla: a volte monto un giorno sì uno no, altre volte tutti i giorni. Prima dei mondiali andavo a montare tutti i giorni e nuotavo in piscina.
In acqua in assenza di gravità riesco a muovermi abbastanza bene, a rinforzare il tronco, a tenere la circolazione attiva, a rinforzare braccia,… il deficit è diffuso ovunque, soprattutto nelle gambe ma anche sopra».
Dicci delle Paralimpiadi. Qual è il tuo ricordo più vivido di Londra 2012?
«Io vengo da Barga, un paese di 4400 abitanti, dove ho vissuto fino a 26 anni. Al Villaggio Olimpico quello era il numero di atleti in gara. Mi ricordo i tantissimi colori, ognuno portava la propria divisa, era bellissimo. Il momento dei pasti era quello in cui ci si trovava tutti assieme, anche quelli provenienti da discipline diverse ma accomunati dallo stesso amore per lo sport e dallo stesso sogno: bisogna immaginare una mensa di dimensione infinita dove c’erano prodotti e cibi di vari continenti. Pensare a una mensa con un numero di atleti paralimpici uguale a quello dei cittadini del mio paese d’origine mi da’ i brividi..».
In quell’occasione il podio è sfumato per poco…
«Quel quarto posto in realtà l’ho vissuto bene, ero con la cavalla più giovane, Royal Delight. Gareggiavamo insieme da poco. Fino al 2010 ho gareggiato con Dollaro di Villanuova, il cavallo di un’amica, Giulia Parenti. Nel 2010 ho acquistato Royal Delight che aveva solo 5 anni e nel suo percorso di crescita lavorativa addestrativa era agli inizi. Mi faceva ben sperare nel futuro e infatti le speranze sono state soddisfatte: l’anno scorso il doppio bronzo e quest’anno i risultati meravigliosi a cui ancora non riesco a credere. Ma dico, l’oro mondiale!».
Andrai a Rio con Royal Delight?
«Spero assolutamente di sì. Le qualifiche partono da novembre 2014 a gennaio 2015 e Rio dovrebbe esser per lei momento migliore: c’è ancora margine di miglioramento delle percentuali. Certo, come son cresciuta io cresceranno anche gli altri, quindi l’obiettivo è cercare di migliorare ulteriormente. Ho la sensazione che possiamo ancora crescere insieme».
Come l’avevi scelta?
«In precedenza non sono stata fortunatissima con i cavalli perché non hanno avuto una salute forte, hanno interrotto sempre l’attività agonistica. La mia prima cavalla si chiamava Venere stava con me dalla nascita, aveva problema agli arti ed è andata in pensione prestissimo e a settembre 2013 è morta di vecchiaia. Quando ho avuto davanti Royal quindi il mio pensiero era che se avesse avuto una genealogia forte almeno avrei potuto farle fare un figlio».
Hai sempre scelto femmine
«Sì anche se i castroni sono più semplici perché non hanno problemi del ciclo. Royal nei giorni di estro ha proprio problemi ovarici e… come dire… non è molto volenterosa!».
Come si crea la complicità con un equino?
«Avendo io dei deficit fisici devo usare ausili diversi da quelli del mio istruttore, (di solito gamba e assetto, posizione in sella e mano su redini). Nel mio caso tutto è ridotto per la mia patologia, quindi ho ausili aggiuntivi, per esempio due fruste per supportare la gamba, aiuti per un tempismo migliore. Io in sella riesco a muovere la gamba ma non ho il tempismo giusto, mentre l’azione per essere efficace deve avere un tempismo perfetto. Quando io tiro dentro l’aria con intensità le chiedo di aumentare il ritmo o di cambiare l’andatura dal passo al trotto, e lei capisce. Ma la comunicazione tra me e lei deve diventare sempre più invisibile e perfetta: la cavalla deve apparire come se cavaliere non chiedesse nulla».
Tecnico o Freestyle?
«Preferisco il freestyle. C’è la musica, ci metto anche qualcosa di mio, la coreografia viene elaborata con gli obbligatori ma nell’ordine che più piace, collegati da figure a volontà. Nel mio caso abbiamo deciso di aggiungere il trotto che è più difficile per il mio grado di stabilità, con una musica assemblata per l’occasione dal professor Gabbiani Claudio. Ha optato per il musical: My Fair Lady e Tutti Insieme Appassionatamente, brani molto azzeccati per Royal. La grafica è stata studiata con il tecnico federale di squadra che ha aggiunto originali figure di collegamento molto apprezzate. L’oro che è arrivato sul prato della Normandia durante i World Equestrian Games è dunque frutto di un lavoro di squadra e non è un caso che lì sia arrivata la medaglia nel Paradressage, la prima d’oro conquistata dall’Italia nella storia dei WEG».
Ascolti musica anche prima di una gara?
«Non ho canzoni i gesti scaramantici, in gara cerco di vuotarmi totalmente, non voglio sapere i risultati degli altri concentrarmi solo su quel che devo fare, attenta alle istruzioni del mio istruttore e dei tecnici federali».
La tua numerosa famiglia ti segue?
«Le mie due sorelle erano ai mondiali in Francia; la maggiore era la prima volta che mi vedeva in gara e mi ha seguita anche a campionati italiani ai primi d’ottobre. Anche i miei nipoti e mio suocero sono venuti in Francia. I miei tre fratelli e i miei genitori invece, hanno fatto gli abbonamenti ai canali televisivi dove mi possono seguire in diretta».
Ma Royal Delight l’hai premiata?
«Certo! Chicchi, carote, zuccheri e tante coccole per la mia cavalla d’oro! In Normandia sono rimasta per la cerimonia di chiusura mentre lei è rientrata in Italia; per la prima volta in quattro anni siamo state dieci giorni senza vederci. Non appena sono atterrata dall’aeroporto sono andata direttamente al maneggio: lei appena mi ha sentita mi ha veramente chiamata».
Speriamo dunque che questa coppia vincente continui a chiamarsi, a cercarsi, a completarsi nel suo linguaggio danzante tutto personale, fino alle Paralimpiadi di Rio 2016 e oltre: un chicco, una carota, uno zucchero più in là.
Melania Sebastiani
© Riproduzione Riservata
(intervista raccolta nell’ottobre 2014)
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