Giovanna Trillini

Giovanna Trillini

Giovanna Trillini

 

Nostra signora delle Olimpiadi

La scherma, storia antica come è antico l’uomo. Lo strumento principe della guerra, certo, ma allo stesso tempo una manière d’être tanto nobile che non poteva che sublimarsi ai nostri giorni in uno sport appassionante e raffinato. Di quelli che una volta provati ti calzano addosso e non ti mollano più per il resto della vita, per giunta.

E proprio in quanto disciplina sportiva ai limiti dell’arte, la scherma ha trovato nel nostro paese la sua patria d’elezione, e nel nostro paese ha generato una nutrita schiera di campioni e assi della lama, ma soprattutto fenomeni assoluti come Nedo Nadi o la dinastia dei Mangiarotti. Basta scorrere gli albi d’oro per rendersene conto. Trionfi a ripetizione, miti nati e cresciuti sul rosa della Gazzetta, pagine epiche che si sono aggiunte per oltre un secolo al grande libro dello sport italiano.

Il fioretto femminile ha portato il suo contributo di eleganza e di prestigio con la vittoria di Irene Camber a Helsinki 1952 e con quella di Antonella Ragno a Monaco 1972.  Dopo la quale, tuttavia, per lunghi anni il tricolore è sembrato non voler salire sul pennone più alto, almeno nei Giochi Olimpici, accarezzandolo e sfiorandolo in un paio di occasioni senza mai poterlo raggiungere.

Predestinata

E poi arrivò Giovanna Trillini da Jesi: Nostra signora delle Olimpiadi.

Giovanna impara presto a riconoscere i rumori della palestra, il suono secco degli acciai  che si incrociano, le urla di affondi riusciti o andati a vuoto, gli incitamenti e i rimproveri dei maestri. Impara presto a riconoscerli e ad amarli. A farli suoi.

«Sono arrivata alla scherma grazie al maestro Ezio Triccoli, che ha fondato il Club Scherma Jesi e che era mio zio, e ai miei fratelli, che andavo a vedere in palestra sin da piccola. Poi mi è capitato di rompermi una clavicola e dovendo scegliere uno sport che mi aiutasse a recuperare i movimenti, abbiamo abbinato le varie cose» racconta Giovanna riandando ai suoi esordi, vissuti sotto la guida di Triccoli, un gentiluomo di altri tempi, che aveva iniziato a tirare di scherma nel campo di prigionia inglese di Zonderwater, in Sudafrica. Usando dei bastoni, anche se a raccontarlo oggi sembra una fiaba.

Giovanna Trillini (a destra) in azione (© Olympic.org)

 

La ragazzina è dotata di un talento naturale incontenibile e si rivela subito una potenziale fuoriclasse. Nel 1986, a sedici anni (è nata il 17 maggio 1970), entra già nella storia della scherma come la più giovane campionessa italiana assoluta di fioretto, piazzandosi poi seconda nel Campionato del Mondo giovanile di Stoccarda. Passano tre anni ed è finalmente oro, ma è solo l’inizio. Nel 1991, a Budapest, Giovanna vince Coppa del Mondo e titolo mondiale individuale e a squadre. Ora l’obbiettivo diventa l’Olimpiade di Barcellona, ma nel febbraio a Torino, a cinque mesi dai Giochi, un incidente sembra vanificare ogni speranza.

«Lesione del legamento crociato anteriore sinistro» ricorda la fiorettista jesina, che alla fine, grazie alle cure e alla forza di volontà, riesce a partecipare, sia pure con la gamba bloccata e irrigidita da un tutore. «Un’esperienza molto bella e particolare, Barcellona. Poter prender parte per la prima volta ad un’Olimpiade, vivere tutto quello che un’Olimpiade rappresenta è stato indimenticabile. Dacché non si prospettava neanche la semplice partecipazione al vincere due medaglie d’oro…». Sì, perché Giovanna stringe i denti, ignora il dolore e conquista un oro storico battendo la cinese Wang Huifeng dopo un incontro al cardiopalma in cui, in netto vantaggio, si era vista raggiungere dall’avversaria a sette secondi dalla fine.

L’urlo di Barcellona

Nella torrida nottata di giovedì 30 luglio 1992, il Palau de la Metalurgia di Barcellona risuona del suo urlo di vittoria, la Plaça de Catalunya si riempie come per magia di tricolori e il suo volto sorridente compare nelle cronache televisive di mezzo mondo.

Qualche giorno dopo, il miracolo si ripete e Giovanna trascina all’oro olimpico la squadra intera: la prima di quelle formidabili formazioni che tuttora dominano la scena mondiale. E l’ingresso nella storia dello sport italiano avviene in maniera irripetibile: mai nessuna atleta azzurra era riuscita a bissare l’oro nella stessa edizione dei Giochi, estivi o invernali che fossero.

Atlanta 1996. La due volte olimpionica è chiamata al ruolo di portabandiera nella Cerimonia di Apertura. La voce di Giovanna muta leggermente di tono. Nascosta sotto la leggera cadenza jesina, si intuisce l’emozione con cui la fuoriclasse ancora ripensa agli attimi in cui, elegantissima nel tailleur bianco e nella polo azzurra della divisa, sfilava al Centennial Olympic Stadium reggendo il tricolore: «Essere il portabandiera, l’alfiere, non è da tutti. Sono orgogliosa di essere stata scelta… È stata un’emozione grandissima che, come dico sempre, paragono ad una medaglia olimpica, se non di più. Un grandissimo riconoscimento che lo sport mi ha dato».

l’urlo di vittoria di Giovanna Trillini

l’urlo di vittoria di Giovanna Trillini

 

In quelle Olimpiadi del Centenario, Giovanna conquista l’oro a squadre e il bronzo individuale: non scenderà dal podio olimpico sino al 2008, quando, dopo un bronzo a squadre e un quarto posto personale, annuncerà il ritiro. Complessivamente, otto medaglie ai Giochi (di cui 4 d’oro), oltre a 9 titoli mondiali e 4 Coppe del Mondo. Senza dubbio, una delle atlete più titolate dello sport italiano. Qualche motivo di rammarico sugli arbitraggi, specie a Pechino, e la necessità di stare vicino alla famiglia non bastano però a tenere la jesina lontano dalla pedana. Tornata alle gare, arriva terza in Coppa del Mondo e sfiora la convocazione alla sua sesta Olimpiade. Il fatidico fioretto al chiodo lo appende solo nella primavera di quest’anno: «Ho finito con le gare a maggio» racconta a Storie di Sport. «Ho fatto la mia ultima apparizione per il Gruppo Sportivo della Forestale, e adesso ho cominciato ad allenare i bambini. L’avevo già fatto prima e quindi ora vorrei proseguire con questa cosaMi piacerebbe restare nel campo della scherma, perché ci sono nata e amo questo sport, a prescindere da tutto quanto…» continua Giovanna, che è spesso coinvolta in attività benefiche. «Mi piacerebbe continuare ad essere quella che sono, una persona tranquilla, che ha due bambini e una bella famiglia. Continuare quindi a vivere giorno dopo giorno, tranquillamente».

Sul futuro della scherma italiana è molto ottimista: «Viste le ultime Olimpiadi, visti i risultati e soprattutto gli atleti che li hanno portati, cioè tanti atleti giovani, si prospetta un futuro molto roseo. È vero poi che si sono viste medaglie anche importanti vinte da nazioni che prima non riuscivano neppure a qualificarsi. Vuol dire che la scherma si sta espandendo in tutto il mondo. Secondo me è bello per il nostro sport, è bello che il movimento continui a crescere… ma speriamo che lo faccia in modo più ampio in Italia!».

Sì, decisamente il mondo della scherma ce l’ha nel cuore, Giovanna. Trenta anni di vita vissuti con intensità, assaporando emozioni incancellabili e spesso condividendole con altre persone che questo stesso mondo frequentano e amano. Se gli si chiede di fare un nome sugli altri, di qualcuno che per un motivo o l’altro ha avuto un particolare rilievo nella sua inarrivabile avventura sportiva, Giovanna dopo un solo attimo di riflessione conclude: «Mah, fare il nome di una persona, andrebbe a togliere tanti che uno ha conosciuto sia come colleghi, sia come compagni di squadra o compagni di maglia azzurra. Ci sono tante persone con cui si è instaurato un bellissimo rapporto anche al di fuori dello sport, e non me la sento di nominarne una sola: escluderei qualcuno senza volerlo…».

E allora aspettiamo di rivederla un giorno o l’altro vicino ad una pedana, la Nostra signora delle Olimpiadi, mentre accompagna qualcuno dei suoi allievi verso qualche vittoria prestigiosa.

Danilo Francescano
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