Vito Resse
La spada della giustizia
È una domenica romana del 1930 e i giocatori della Lazio nel dopopartita si ritrovano come di consueto in Piazza Colonna per leggere su un tabellone i risultati delle altre gare di Serie A. Ezio Sclavi, il portiere, riconosce tra la folla il giornalista Eugenio Danese, a suo dire reo di aver stigmatizzato in un articolo senza firma – il cui vero autore si rivelerà solo in seguito Ennio Mantella – la decisione di Vittorio Pozzo di convocarlo in Nazionale. Risentito, lo raggiunge e lo schiaffeggia, rimediando per tutta risposta una sfida a duello da parte dello stesso Danese, che per l’appunto è anche un abile schermidore. Qualche giorno dopo Sclavi, pur non avendo mai affrontato un duello prima di allora, incredibilmente vince la contesa. Merito di un lieve taglio procurato al polso dell’avversario, ma soprattutto delle poche lezioni di sciabola prese dall’uomo cui il dirigente biancoceleste Giorgio Vaccaro ha affidato la tutela dell’onore laziale.
Si chiama Vito Resse e ha prestato la sua figura alla dimostrazione fotografica delle posizioni di guardia alla voce “scherma” della prima edizione dell’Enciclopedia Treccani. È uno dei campioni più rappresentativi della Società Scherma Lazio, ne diventerà il primo presidente. Atleta, giornalista, avvocato. Una vita segnata dalla spada e dalla penna, parafrasando il titolo della biografia scritta dal figlio Francesco Maria, anche lui schermidore.
Vito Resse viene alla luce il 27 febbraio 1900 a Cerignola, nel cuore del Tavoliere delle Puglie, ma all’indomani della Grande Guerra, quando la furia dei diseredati si abbatte anche sui campi di grano e sui vigneti della masseria di famiglia, suo padre, il notaio Michele Resse, lo spedisce a Roma perché completi gli studi di giurisprudenza. Qui Za la Mort, come lo soprannominano i suoi colleghi universitari paragonandolo a un celebre duro del cinema muto interpretato da Emilio Ghione, coltiva la sua passione per la sciabola iscrivendosi alla sezione scherma della Società Podistica Lazio, fondata nel 1921 nei locali del Convento dei Frati Cappuccini di via Vittorio Veneto.
Duelli e mondanità
Sono gli anni in cui lo sport diventa un fenomeno sociale e i circoli nei quali si pratica veri e propri salotti mondani. L’ambiente della scherma romana, che annovera tra le sue fila militari, avvocati e scrittori, ruota intorno alla Sala d’Armi di Agesilao Greco, il “Giaguaro d’Italia” secondo la definizione di Filippo Tommaso Marinetti, che la frequenta insieme a Gabriele D’Annunzio, Trilussa e Giuseppe Ungaretti in un’epoca in cui le vertenze d’onore, incluse quelle intellettuali, sono ancora rigidamente regolamentate dal codice cavalleresco di Jacopo Gelli. La palestra, aperta anche alle donne, è anche luogo d’incontri galanti e affettuose amicizie, una zona franca in cui il gentil sesso sperimenta una libertà di costumi bandita altrove.
È un clima pionieristico, esuberante e vivace, nel quale Vito, a dispetto di un equipaggiamento inadeguato – in assenza di protezioni la lama della spada arriva a penetrare le carni – , affina le proprie doti di schermidore, laureandosi più volte campione di sciabola e spada del Lazio-Umbria. Di scherma scrive anche, collaborando con testate quali il Guerin Sportivo, Il Popolo di Roma, Il Littoriale. Davanti alla sua Lettera 22 cura rubriche di satira sportiva, ricorrendo allo pseudonimo “Lo stoccatore”. Lo schermidore Enzo Musumeci Greco, nipote di Agesileao e Aurelio, che più tardi reciterà in colossal come Hercules e Ben-Hur, nel 1927 gli invia una dedica ringraziandolo per averlo fatto «conoscere, attraverso la stampa, nel campo dell’arte».
Dirigente di successo
Sul finire degli anni Venti la Sezione Scherma della S.S. Lazio va incontro a una fase di stallo, finché nel 1932 non si ricostituisce all’interno dello Stadio Flaminio proprio sotto la presidenza di Resse, che si avvale della direzione tecnica di Nedo Nadi, stella dei Giochi Olimpici di Anversa.
La sua gestione è un successo: nel 1936 gli utili del bilancio sociale contribuiscono a coprire le spese della Lazio Nuoto; nel 1937 persino quelle della Lazio Calcio. E quando arriva il giro di vite del regime, è Resse, da dirigente federale, a garantire al movimento l’autonomia di cui necessita: in piena guerra il suo rifiuto di far indossare al direttore degli incontri e ai giurati la regolare divisa durante i campionati nazionali gli costa l’ammonizione formale di Arturo Michelini, presidente del Coni Roma e in seguito fondatore del MSI; all’indomani dell’armistizio, riceve l’incarico di segretario della F.I.S. contribuendo, nel difficile inverno del 1944, a traghettarla verso l’Italia democratica.
Pur essendo un autorevole rappresentante della scherma capitolina, Vito Resse non recise mai il suo legame con la terra natale. Anzi, tra le sue prime prove si annovera un torneo che ebbe luogo proprio nella sua Cerignola, nel 1923.
Quell’anno i festeggiamenti per la Madonna di Ripalta prevedevano anche un’Accademia di scherma presso il Teatro Mercadante. Venti lire per i palchi di prima e seconda fila, una lira e mezza per i palumm, i loggioni. Vi partecipò anche il campione internazionale di fioretto Candido Sassone, reduce dal Duello del Secolo con Aurelio Greco, nato, pare, dalla contesa per il favore di una bellissima ballerina di cabaret. Fu uno scontro tra romani e cerignolani in cui Resse si distinse, secondo la definizione della Gazzetta di Puglia, quale «sciabolatore brillante, pieno d’audacia e di promesse per un avvenire schermistico di prim’ordine». Nel maggio scorso Cerignola ha commemorato il suo concittadino con il primo Memorial a lui intitolato.
L’ultima sfida
Vito Resse morì a Roma nel 1988 con la spada in pugno, la stessa con cui aveva attraversato un secolo nato con lui, dal quale non lasciò insidiare i suoi valori. Nemmeno nel settembre del 1943, quando, tornando dal Palazzo di Giustizia nella sua casa romana di via Dardanelli 13, scorse un’auto nera parcheggiata vicino al suo condominio e degli uomini parlare con il portiere: cercavano una famiglia di ebrei che abitava al sesto piano. Dopo aver controllato che le imposte dell’appartamento fossero chiuse, si avvicinò ai gendarmi fascisti convincendoli che i suoi vicini si erano già dati alla fuga. Li salvò.
Oggi l’istituto israeliano di ricerca Yad Vashed ha istruito una pratica per il conferimento post mortem del titolo di “Giusto tra le nazioni” a Vito Resse. Lo schermidore che a Sclavi aveva insegnato a riconoscere l’attimo in cui abbandonare la posizione di guardia, alla sua coscienza non lo permise mai.
Graziana Urso
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Grazie infinite dott.ssa Urso per lo splendido articolo intiolato al mio adorato nonno di cui sono fiero di portare il nome.
Gent.ma dott, Graziana Urso
La ringrazio per questo suo preziosissimo ” affresco ” storico su mio padre Vito. Un articolo che, con la sua grande puntualità connotativa, contribuirà a far conoscere, ad un vasto pubblico di lettori, il nome di questo grande uomo dello sport italiano ” di una volta”.
La lettura di questo articolo , nel contempo, si conforma quale un utile e significativo ” esercizio della memoria ” specialmente al riguardo delle giovani leve sportive perchè svolge il nodale compito educativo di porre ai giovani degli ” esempi probanti ” di come poter intendere e svolgere le attività sportive.
La informo che l’ Associazione ” La Cicogna= dei Cerignolani in Roma ( di cui mio padre è stato il co.fondatore ) nella loro Festa Sociale del 11 gennaio p.v. assegneranno a mio padre Vito una pergamena quale ” Menzione di Onore alla Memoria “
ERRORE NEL MESSAGGIO PRECEDENTE di Arnaldo Resse . ….. Il sito web è : http://www.cerignolaninroma.com
Grazie mille a voi tutti per aver fornito al nostro giornale le informazioni utili a ricostruire la figura di Vito Resse. Sono pochi gli sportivi che possono vantare una vicenda personale così intrecciata ai grandi fenomeni sociali e politici di un periodo storico così lungo. Per qualunque altra notizia al riguardo restiamo a disposizione, e naturalmente facciamo il tifo per il conferimento del meritato titolo di “Giusto tra le Nazioni”.
(G. U.)