Spasskij-Fischer 1972

Spasskij - Fischer, il match del secolo

Spasskij – Fischer, il match del secolo

 

Sfida all’ultimo pedone

Forse non è un fatto noto a tutti, ma gli scacchi sono uno sport. Non solo perché una felice definizione li qualifica come sport della mente, ma anche – e soprattutto – perché il movimento scacchistico è sovrinteso da una Federazione riconosciuta dal CIO, esattamente come il nuoto o la scherma. La FIDE (acronimo del francese Féderation Internationale Des Échecs) fu fondata a Parigi durante un torneo parallelo all’Olimpiade del 1924 e assunse subito la gestione del campionato del Mondo, dichiarando ufficialmente detentore del titolo il mitico cubano José Raúl Capablanca. Potrà poi apparire sorprendente a qualcuno, ma lo sport che più si avvicina a un incontro di scacchi è proprio quello più praticato nel mondo: il calcio. Tattiche difensive e offensive, possesso del centro, capacità di cogliere l’errore dell’avversario.

Il “match” del secolo

Nel 1972 un confronto coinvolse l’opinione pubblica in maniera sorprendente. “Il match del secolo”, come con scarsa fantasia – ma buona aderenza alla realtà – fu definito l’incontro tra il campione mondiale, il sovietico Boris Spasskij, e lo sfidante, l’americano Bobby Fischer, portò per settimane la tranquilla Reykjavik al centro dell’interesse planetario. Nell’atmosfera inconsueta di quei giorni divenne normale intavolare animate quanto improbabili discussioni sulla variante Najdorf o sulla partita Spagnola.

Il dominio scacchistico era da decenni appannaggio sovietico. Il titolo mondiale era passato dal grande Aleksandr Alekhin a Michail Botvinnik nel 1948, poi a Tigran Petrosjan nel 1963 ed infine a Boris Spasskij nel 1969. Non solo: negli stessi anni erano saliti alla ribalta altri assi come, Vasilij Smyslov e Michail Tal’, che per breve tempo avevano tolto la corona a Botvinnik. Facile quindi capire come in piena Guerra Fredda la supremazia sulla scacchiera costituisse un fiore all’occhiello per il regime di Leonid Brežnev. A sua volta l’America di Richard Nixon, malconcia per il conflitto vietnamita, vedeva nel gioco un possibile terreno di rivincita e di recupero d’immagine. Furono queste due esigenze contrapposte a conferire al match di Reykjavik le caratteristiche improprie di un confronto est-ovest, non certo la volontà dei contendenti. Si può invece dire che le schermaglie tra il pacato Spasskij e l’istrionico Bobby nascondessero una forte simpatia. È per altro difficile immaginare personalità umane e sportive più diverse.

Boris Spasskij

Boris Spasskij

 

Spasskij, nato a Leningrado il 30 gennaio 1937, rivelò sin da giovanissimo un immenso talento e si guadagnò presto l’assistenza di ottimi allenatori. Candidato Gran Maestro dell’URSS a soli dodici anni, divenne campione mondiale giovanile nel 1955. Mentre si laureava in giornalismo, si impose come un formidabile scacchista d’attacco. Il suo gioco, nei momenti migliori, sapeva rivelarsi universale quanto duttile ed elegante: qualcosa di molto vicino ad una fusione perfetta tra la costruzione logica di Botvinnik, l’organicità di posizionamento di Smylov ed il gusto del paradosso caro a Tal’.

Un giocatore completo, insomma, che faceva della flemma e dell’imperturbabilità un punto di forza assoluto, tanto che Fischer osservò con ammirazione «Boris riesce a mantenere la stessa espressione sia quando dà scacco che quando lo subisce». Non che tutto questo rendesse Spasskij un grigio burocrate della scacchiera di stampo brezneviano. Il russo sapeva trasformarsi nella vita di ogni giorno in un simpatico animatore, divertendo chi lo circondava con spassose imitazioni degli avversari che aveva incontrato.

Robert James Fischer nacque a Chicago il 9 marzo 1943, da un fisico di origine tedesca e madre svizzera. Il suo carattere introverso e polemico fu influenzato dalle incomprensioni tra i due genitori che si separarono nel 1945. Bobby crebbe trovando negli scacchi, fin da piccolo, una compensazione alle evidenti carenze affettive. Orgoglioso autodidatta e poliglotta capace di leggere i trattati in originale, si impadronì di un immenso bagaglio teorico con cui pose una base solidissima ad un’intelligenza implacabile e a un intuito che ricordava Capablanca. Fu nominato Gran Maestro Internazionale a quattordici anni e iniziò a farsi un nome nei tornei, unito alla fama di insofferente rompiscatole. Restano famose le sue polemiche con i sovietici, accusati di combine, e con la stessa FIDE. Nel 1967 abbandonò, mentre era in testa, il torneo mondiale di Sousse, in Israele, accusando la Federazione di favoritismi verso i russi.

Bobby Fischer

Bobby Fischer

 

Nel 1971 l’americano affrontò tutti i più quotati rivali, battendoli uno ad uno. Mark Tajmanov e il danese Bent Larsen furono distrutti 6-0, rispettivamente a Vancouver e a Denver. Un po’ meglio andò a Petrosjan, battuto 6,5-2,5 a Buenos Aires in un incontro che qualificò Fischer sfidante ufficiale di Spasskij.

L’organizzazione dell’attesissima sfida non fu facile. Bobby voleva gareggiare a Buenos Aires (sgradita ai sovietici) e rifiutò tutta una serie di proposte, tra cui Belgrado che avrebbe garantito un’organizzazione perfetta. Alla fine fu scelta Reykjavik, con in palio una borsa complessiva di 138.000 dollari. Alla vigilia del match ci fu però un colpo di scena: Fischer non voleva più giocare. Ci vollero l’aumento del montepremi (250.000 dollari) e una telefonata di Henry Kissinger in persona per sbloccare la situazione. Storico l’esordio del Segretario di Stato: «Hello? Sono il peggior scacchista del mondo e voglio parlare con il migliore».

Ottenuto anche l’invio dall’America della poltrona personale, l’incontro ebbe infine inizio l’11 luglio 1972. Spasskij vinse la prima partita e Bobby non si presentò alla seconda. Dal terzo incontro in poi Fischer iniziò però a fare sul serio. Battuto Spasskij sul piano nervoso (l’americano pretese non solo di cambiare la stanza di gara, ma anche che le mosse fossero comunicate all’esterno mediante un vetro e non con il passaggio degli addetti nel salone attiguo), Bobby sconfisse il suo avversario anche sulla scacchiera, inducendolo ad un errore fatale alla diciottesima mossa.

L’epilogo

Fu l’inizio della fine. Per Boris le partite seguenti furono un calvario: ne perse quattro, impattandone due, mentre nell’XI turno riuscì a vincere con una perfetta Siciliana. Ma ormai era tardi: altre sette patte dopodiché, nella XXI sfida, la gara – prevista al meglio delle sei vittorie – arrivò all’epilogo. Alla quarantesima mossa l’incontro fu sospeso e il giorno successivo Spasskij non si presentò, ammettendo la sua sconfitta per telefono. Fischer era il nuovo campione del Mondo.

Fischer muove e dà scacco matto

Fischer muove e dà scacco matto

 

Il suo regno non durò a lungo. Le sue richieste economiche e logistiche portarono alla rottura con la FIDE e il 2 aprile 1975, con una decisione mai riconosciuta dallo scacchista, il titolo fu assegnato d’ufficio ad Anatolij Karpov.

Fischer sparì dalla scena, tranne che per una vittoriosa rivincita con l’amico-rivale Boris, in Serbia nel 1992. Il 17 gennaio 2008 un’insufficienza renale lo condusse alla morte, proprio in quella Reykjavik che aveva visto il suo trionfo e in cui si era, da anni, ritirato. Boris Spasskij, invece, decise di andare a vivere a Parigi, senza più riuscire a riconquistare il titolo.

Danilo Francescano
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