Maureen Connolly

Maureen Connolly

Maureen Connolly

 

L’età breve di una campionessa

Per esserci aveva lottato contro il suo corpo e licenziato un’allenatrice che le aveva fatto da madre: avrebbe battuto anche Louise Brough. Il pomeriggio del 30 giugno 1952 Maurice Connolly si presentò sul Central Court di Wimbledon decisa a strappare a morsi la vittoria. 7-5 6-3: due set per ipotecare il Grand Slam dell’anno successivo, il primo mai centrato da una donna. Aveva 18 anni e una potenza di fuoco. Non solo in quel diritto e in quel rovescio che qualcuno aveva paragonato alle pistole del “Big Mo”, la corazzata americana su cui era stata firmata la resa del Giappone. Anche nelle parole. Spietate quelle con cui “Little Mo”, così la giovanissima campionessa era stata ribattezzata, aveva liquidato in conferenza stampa Eleanor “Teach” Tennant, la migliore istruttrice di tennis della California del Sud, rea di volerle impedire di partecipare al torneo londinese per un’infiammazione alla spalla: «Miss Tennant non mi rappresenta più».

Allenata alla ferocia

Lo aveva detto a 10 anni, folgorata da una gara tra Gene Garrett e Arnie Saul, mentre la madre, ex ballerina e cantante, le faceva prendere lezioni di piano: «Tutto quello che mi serve è una racchetta con cui regolare ogni ragazzino dei dintorni». Ne ebbe una da un dollaro e 50, ma la sua carriera iniziò con una sconfitta in un torneo under 13 della sua città, San Diego. Da quel momento Maureen s’impose di vincere. Sempre. E la paura di non farcela divenne rabbia agonistica. Tentava di superare così l’abbandono del padre, che se n’era andato quando lei aveva 4 anni, lasciandole il ricordo di un gelato al cioccolato promessole una volta in cui si era ammalata, l’ultima che l’aveva visto.

Quand’era nata, il 17 settembre 1934, tutti si aspettavano fosse un maschio. Invece lei era cresciuta graziosa, cordiale e gentile come doveva essere una ragazza… finché non entrava in campo.

La sua aggressività piacque a Eleanor Tennant, già allenatrice di Alice Marble e Bobby Riggs, che in lei piantò il seme di una competitività più vicina alla ferocia. Per seguire le sue lezioni, Maureen prendeva ogni weekend il pullman che da San Diego conduceva a Beverly Hills. Un giorno incontrò l’attore Gilbert Roland, con cui se ne andò a Tijuana a vedere una corsa di cavalli disertando l’allenamento. Fu scoperta, rispedita a casa, perdonata. Sul campo non disobbediva mai: a 16 anni era già la numero 19 del ranking statunitense e nel 1951 trionfò inaspettatamente agli US Open.

Maureen Connolly in azione

Maureen Connolly in azione

 

Ad attenderla in semifinale c’era Doris Hart, una delle più forti tenniste americane del tempo. Eleanor Tennant pensò bene di stroncare sul nascere qualunque forma di timore reverenziale, mentendole: «Sai come ti chiama Doris? Ragazzina viziata». Maureen non odiò mai nessuno più di lei: davanti a sé non vedeva il suo idolo ma una giocatrice da umiliare. Perse i primi quattro game, poi rimontò vincendo il primo set. Nel secondo fu Doris a rimontarle il 5-1 iniziale, ma “Little Mo” mantenne i nervi saldi siglando il matchpoint.

In finale fu la volta di Shirley Fry, la migliore amica di Doris. 6-3 il primo set per Maureen, 6-1 il secondo per Shirley. Fu allora che Eleanor la guardò dritta negli occhi dicendole: «Devi essere più veloce! Sei nel tennis che conta, ora, dimentica la stanchezza, concentrati sul tuo gioco e vinci!».

Maureen Connolly divenne la più giovane vincitrice di sempre degli US Open. Qualche settimana dopo a Wimbledon avrebbe rotto con Eleanor: le due, nonostante il successivo pentimento di Maureen, non si sarebbero mai più rivolte la parola.

La svolta “gentile”

Il nuovo coach di “Little Mo” fu Harry Hopman, ex tennista australiano, che accettò di allenarla a patto che si liberasse di quelle che lei aveva erroneamente creduto le sue armi migliori: la rabbia e la paura. Maureen non era convinta, ma quando affrontò in partita l’amica Julie Sampson capì che avrebbe potuto amare il tennis con la stessa foga con cui aveva odiato le rivali. Si divertì per tutto il 1952. Vinse ancora Wimbledon e gli Us Open. Conobbe l’affetto della sua San Diego, che l’accolse trionfalmente regalandole un cavallo, Colonel Merryboy, e l’amore di Norman Brinker, un militare della US Navy, che prima di partire per la Guerra di Corea riuscì a infilarle un anello di fidanzamento al dito nonostante le divergenze religiose – lui metodista, lei cattolica.

Nel 1953, dopo aver conquistato gli Australian Open e il Roland Garros, Maureen ritrovò a Wimbledon Doris Hart, verso la quale non provava più che un sano antagonismo sportivo. Contro di lei disputò una delle finali più entusiasmanti della storia del torneo. Fu una guerra a colpi di cambi di ritmo, palleggi regolari e improvvise accelerazioni, incrociati da fondo e volley. Nessuna delle due voleva cedere. Finì 8-6 7-5 per Maureen grazie a due soli punti di vantaggio sull’avversaria: il primo set-point e il matchpoint. Doris chiosò: «Per la prima volta nella mia vita ho la sensazione di aver vinto una gara che ho perso».

Maureen insieme alla rivale di sempre, Doris Hart

Maureen insieme alla rivale di sempre Doris Hart

 

Quell’anno, trionfando anche agli US Open, Maureen entrò nella storia, prima tennista a conseguire il Grand Slam. Con dieci tornei in tasca, compreso il terzo Wimbledon, nel 1954 divenne la numero uno del ranking mondiale. Ma dietro l’angolo l’attendeva una terribile prova.

Passeggiando per le strade di Mission Valley in sella a Colonel Merryboy, il pomeriggio del 20 luglio fu investita da una betoniera, rompendosi tibia e perone; soccorsa da un’infermiera che assistette all’incidente, fu trasportata d’urgenza al Mercy Hospital e operata. Al suo risveglio, si vide davanti un uomo robusto, dai capelli grigi, in abito scuro: era suo padre. Il giorno che segnava il suo addio alla racchetta– non si sarebbe mai più ripresa dall’incidente – era anche quello in cui Maureen poteva finalmente riconciliarsi con il genitore di cui aveva perso le tracce.

A 19 anni avrebbe avuto ancora tutto il tempo per puntellare di nuovi successi una carriera già leggendaria, ma la vita dopo il tennis non fu meno appagante: “Little Mo” divenne una giornalista sportiva, sposò il suo Norman e si trasformò in una “Little Mom” dando alla luce le figlie Cindy e Brenda. Si laureò, vinse la causa contro la compagnia della betoniera che l’aveva investita, aprì un caffè a Dallas e stava per fondare la Maureen Connolly Brinker Tennis Foundation quando un cancro al seno se la portò via. Aveva 34 anni e neanche un rimpianto. Disse: «Mi sono data una vita incredibilmente eccitante. Ho detto una? Volevo dire dieci».

Sconfitte per sempre rabbia e paura, neppure la morte poteva essere più una nemica.

Graziana Urso
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