Il Moro di Venezia

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Il sogno interrotto di Raul Gardini

Gli anni Novanta determinarono l’ennesima rinascita di quell’araba fenice che è la Coppa America, molte volte data per morta molte volte riemersa dalle sue stesse ceneri, il duello più lungo, contestato e amato della storia della vela.
Era appena finita “la sfida folle”. La  27ª edizione (1988) era stata una riedizione del duello tra Davide e Golia con una lotta impari tra una enorme barca neozelandese (lenta) e un piccolo ma velocissimo catamarano americano. L’evento sembrò per un lungo attimo segnare la fine della competizione grazie al suo lunghissimo strascico di cause e di polemiche, ma nel gennaio 1989 fu presentata una nuovissima classe di barche con cui la Coppa poteva rinascere sotto il segno della innovazione tecnologica, del design nautico di eccellenza e naturalmente del denaro. L’international America’s Cup Class o IACC era una classe di barche completamente nuova destinata a durare per cinque edizioni, molto vicina a quei maxi yacht con cui già da qualche tempo i “velisti che contano” regatavano nelle competizioni internazionali di più alto livello.
D’altronde la Coppa da sempre ha a che fare con “big toys for big guys”, giocattoloni di lusso per i ricconi del pianeta, ma anche strumenti di marketing capaci di portare in primo piano brand, uomini, prodotti, grandi firme e anche grandi idee.

Una sfida tra magnati

Un nuovo Paperon de’ Paperoni era sceso in campo per difendere la Coppa detenuta dagli americani. Bill Koch, petroliere miliardario del Kansan non badò a spese, comprò velisti, progettisti e incamerò tutti i consorzi rivali per poter stringere la Vecchia Brocca delle 100 Ghinee messa in palio per la prima volta nel 1851 dall’Inghilterra, vinta e ribattezzata dalla goletta America. La barca di Koch, neppure a farlo apposta si chiamava America³ (ancora una America, ma “al cubo”).

Raul Gardini

Raul Gardini

 

Tra gli sfidanti un altro personaggio, altrettanto aggressivo e con un budget altrettanto illimitato, aveva tuttavia cominciato a mostrare i muscoli. Raul Gardini, il patron della Montedison, velista appassionato, e manager deciso a dimostrare che la chimica italiana sapeva navigare nel mondo. Non era sfuggito al manager italiano che i nuovi giocattoli con altissimo contenuto in tecnologia ed innovazione con cui si sarebbe vissuta nel 1992 la sfida velica più emozionante del mondo potevano essere la chiave per imporre nel mondo la chimica italiana.
Bill Koch da una parte e Gardini dall’altra, finirono con l’investire nella competizione centinaia di miliardi. Gardini arrivò addirittura a realizzare un interno nuovo cantiere a Porto Marghera per le sue barche (ne costruì cinque) dove lavorarono i migliori tecnici italiani e stranieri. Non era una follia. Era una scommessa addirittura in anticipo con i tempi: Gardini puntò infatti sullo sviluppo di un campo in grande ascesa, quello dei nuovi materiali. C’era in questo uno sguardo imprenditoriale lucido e aggressivo che vedeva nella ricerca tecnologica la chiave per il successo. Gardini non voleva partecipare, voleva vincere. Anzi stravincere. E con questa vittoria voleva assicurare alle sue imprese ben più della visibilità: il mercato mondiale.

Paul Cayard

Paul Cayard

 

Ma la sua barca dallo scafo rosso e dal Leone di San Marco stilizzato in oro, per l’Italia divenne qualcosa di più: un mito. Una bandiera. Era dai tempi di Azzurra (1983) che il bel Paese non “strambava” più.
Il Moro di Venezia fu varato l’11 marzo 1990 sul Canal Grande, in una scenografia sfarzosa curata dal regista Franco Zeffirelli, con musiche di Ennio Morricone e figuranti in costume. A organizzare il team velico c’era un giovane skipper, Paul Cayard, naturalizzato italiano come voleva il regolamento. Cayard era bello, simpatico, determinato, metà americano e metà francese ma con un sorriso molto “italiano”. Quando finalmente iniziarono le regate, il 25 gennaio 1992, a San Diego, in California, la diretta televisiva su Telemontecarlo (rete televisiva proprietà della Montedison) portò l’avventura italiana in Coppa America in tutte le case e mezza Italia stette alzata la notte per seguire il “suo” Moro. Per diventare sfidante ufficiale al detentore della Coppa occorre vincere una serie di regate di selezione che vanno sotto il nome della Louis Vuitton Cup. Nel 1992 c’erano ben otto contendenti al ruolo, ma presto si capì che la barca da battere era New Zealand, l’altra vela con lo scafo rosso (a dispetto delle dicerie marinaresche). In finale infatti andarono proprio due scafi rossi. E fu una battaglia dura e lunga che il Moro giocò sia dentro sia fuori dall’acqua. La barca neozelandese infatti aveva il bompresso: una estensione della prua. Nelle andature portanti (con il vento che viene da dietro) l’uso del bompresso facilitava parecchio le manovre con lo spinnaker e il gennaker.

il Moro sullo sfondo

il Moro sullo sfondo

 

Sul 4 a 1 per i neozelandesi, quando ormai tutti i giochi sembrano fatti e i Kiwi catapultati in Coppa America ci fu il colpo di scena. Già sotto pressione per le accuse di imbroglioni che più volte erano rimbalzate sulla stampa e in TV a causa del bompresso (lo stesso Gardini bollò gli avversari come “antisportivi”), arrivò sui neozelandesi il macigno della decisione della Giuria. Il verdetto sanzionò l’uso illegale di quell’estensione della prua durante le strambate con il gennaker. Per questo i Kiwi ebbero una penalità e il risultato venne riportato sul 3 a 1, ma il danno psicologico fu profondo.
Orgogliosi quanto aggressivi e determinati, i neozelandesi persero concentrazione. La nazione che più ama la vela al mondo si sentì schiacciata da una così pessima reputazione. I risultati si ribaltarono. Paul Cayard vinse quattro regate, una dopo l’altra con una rimonta storica superata solo da quella che farà Spithill nella edizione del 2013. La Louis Vuitton Cup era sua. Ora Gardini poteva sognare in grande.

Una America “al cubo”

Il Moro di Venezia prese il posto della Nazionale di calcio in tutti bar d’Italia e il suo ben timoniere dal baffo intrigante alla Clarke Gable, divenne un eroe. Le scuole di vela si popolarono, ci fu una vera ubriacatura collettiva: mai l’Italia si era spinta tanto avanti. Dal 1964 nessun scafo europeo aveva più duellato per la Brocca vincendo la finale della Louis Vuitton Cup. A Gardini parve ormai di avercela fatta. Nessuno, in un primo momento, considerò il team di America³ un ostacolo insormontabile. Ma Bill Koch era un altro corsaro, anche lui deciso a vincere letteralmente “a qualunque costo”. Finì con il conquistarsi la Coppa America anche grazie a una puntigliosa attività spionistica a danno degli sfidanti di cui riuscì a sapere ogni mossa, ogni debolezza e ogni punto di forza. La sua quarta barca fu disegnata e costruita solo per vincere il Moro. E lo batté. America³ era leggermente più veloce, aveva per timoniere un mito della vela, Harry Buddy Melges. La barca italiana era più lenta, ma aveva l’equipaggio più preparato. Furono tuttavia gli americani a imbroccare tutte le regate con un definitivo 4 a 1 finale.

Paul Cayard al timone del Moro di Venezia (© ANSA)

Paul Cayard al timone del Moro di Venezia (© ANSA)

 

Raul Gardini disse e scrisse che avrebbe tentato ancora. Non era da lui darsi per vinto. Accusò il difensore si essersi fatto l’ultima barca proprio per contrastare il Moro mentre per lo sfidante il regolamento non consentire di cambiare barca. E promise. Promise che non sarebbe finita lì. Ma solo un anno dopo, travolto dallo scandalo di Tangentopoli, Raul Gardini si uccise. E il sogno del Moro morì con lui.

Nicoletta Salvatori
© Riproduzione Riservata

Nicoletta Salvatori, giornalista professionista e grande appassionata di vela, nonché collaboratrice di Storie di Sport, è l’autrice di Coppa America1851-2013, l’incredibile storia dalle origini all’ultima vittoria di Oracle (Edizioni Felici, Pisa – 15o pagg. – 15 €).

 

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