Newport 1983

Azzurra

Azzurra

 

Quando l’Italia s’innamorò di Azzurra

L’America’s Cup entrò nella vita degli italiani nel 1983. Non che prima non la si conoscesse, sia chiaro, ma solo pochi addetti ai lavori si erano addentrati in vicende che avevano riguardato esclusivamente i paesi di lingua inglese e poche nazioni europee, come Francia e Svezia.

Eppure la Coppa delle cento ghinee, barocca e bellissima, cesellata in argento da Gallard di Londra, alta ottantuno centimetri e pesante tre chili e mezzo, era considerata il Sacro Graal della vela. Il trofeo era stato assegnato il 22 agosto 1851 ad America, uno schooner statunitense che aveva battuto 14 barche inglesi in una regata attorno all’Isola di Wight. In seguito, la Coppa di America (e non la Coppa America, come nel nostro errato uso comune) non aveva mai lasciato la bacheca del New York Yachting Club, cui nel luglio 1857 era stata donata. Per centotrentadue anni gli inglesi avevano provato a riprendersela e, con loro, canadesi, australiani e francesi. Ci si erano messi d’impegno anche figure leggendarie, come Sir Thomas Lipton, il celebre industriale del tè, o Marcel Bich, quello delle penne a sfera. Invano: la brocca d’argento sembrava stregata.

L’Italia era sempre rimasta a guardare, tutto sommato senza neanche un grosso interesse. In realtà Gianni Agnelli, appassionato velista, nel settembre 1962 aveva seguito le regate della XVIII Edizione a bordo dello yacht del presidente John Fitzgerald Kennedy in compagnia di Beppe Croce, uomo di punta dell’organizzazione velica italiana. Purtroppo il regolamento di allora prevedeva un challenger unico (fu solo nel 1970 che il barone Bich riuscì a far approvare la possibilità di più sfidanti) e l’Italia non era certo in grado di competere con i colossi di lingua inglese. Agnelli si era perciò limitato a segnalare a Kennedy, con il sostegno di Henry Kissinger, il nome di Agostino Tino Straulino. La possibile partecipazione del nostro olimpionico alla successiva Coppa sfumò però con l’assassinio del presidente americano.

La “Sfida” è servita 

Vent’anni dopo, i tempi erano radicalmente mutati. Ricorda Cino Ricci: «Fui chiamato dal Gruppo Vallicelli, nel dicembre 1980, che aveva idea con Mario Violati di lanciare la Sfida all’America’s Cup, ma non sapeva come e dove trovare le risorse. Per mezzo di Valter Mandelli […] ottenni un incontro con Agnelli e, nel febbraio 1981, mi recai a Torino in Corso Marconi, con Mario Violati e Rolly Marchi, giornalista amico dell’Avvocato. Dopo un’ora di colloquio, Agnelli mi disse che avremmo lanciato la Sfida, chiamò Luca di Montezemolo e gli chiese quali potevano essere i marchi del gruppo che avrebbero potuto sostenerla. Poi telefonò subito, davanti a noi, a Karim Aga Khan, Pietro Barilla e qualcun altro». All’incontro seguì una riunione degli sponsor (paritetici, con una quota fissa di centocinquanta milioni di lire, idea inedita e mai più replicata) a Milano, alla Fabbri in Via Mecenate. Ricci, che nel frattempo aveva acquistato da Dennis Conner l’Enterprise (sparring-partner di Freedom, vincitrice nel 1980) in qualità di barca lepre, assunse ufficialmente la guida del futuro team e il 31 marzo 1981 il consorzio italiano lanciò finalmente la Sfida al New York Yachting Club.

Nell’ottobre 1981 Andrea Valicelli, Nicola Sironi, Vittorio Mariani e Patrizia Ferri iniziarono i progetti per Azzurra, nome suggerito da Luca di Montezemolo. Nel gennaio 1982 i disegni furono consegnati al cantiere Yachts Officine di Pesaro, da cui, dopo cinque mesi di lavoro, uscì un’imbarcazione non innovativa, ma molto ben costruita nelle linee armoniche e nell’elegante chiglia corta. Il varo avvenne a Pesaro il 19 luglio 1982, con l’Italia ancora in festa per la vittoria nel Mundial calcistico, e l’Aga Khan dichiarò soddisfatto: «Affronteremo queste regate […] con l’umiltà degli ultimi arrivati, ma con la convinzione di essere degni di partecipare a questo evento».

Cino Ricci (da Il Sussidiario)

Cino Ricci

 

Cino Ricci, dopo un’accurata selezione, aveva costituito un team formidabile, i cui uomini di punta erano senza dubbio il timoniere Mauro Pelaschier, grande interprete del Finn, e il tattico Tiziano Nava, proveniente dai Laser. Dato però che nessuno aveva esperienza dei match race dell’America’s Cup, gli undici uomini di equipaggio e le riserve dovettero fare miracoli di inventiva nella preparazione, perfezionata regatando contro Enterprise. Tuttavia, dopo che la Veleria Nord Italia ebbe consegnato le speciali vele in laminato, tutto fu pronto per la grande avventura.

Nella tarda primavera 1983, a Newport, nel Rhode Island, ebbe inizio la prima edizione della Louis Vuitton Cup. Il torneo – una novità assoluta nella storia della Coppa – era strutturato in tre round robin eliminatori, in cui ogni imbarcazione si sarebbe confrontata singolarmente con tutte le altre, con un punteggio crescente ad ogni round. Le prime quattro avrebbero avuto accesso alle semifinali ad eliminazione diretta: il duello finale tra le vincenti avrebbe infine designato il challenger ufficiale della XXV America’s Cup.

Il comportamento di Azzurra fu eccellente. L’imbarcazione italiana vinse ventiquattro regate su quarantanove disputate, giungendo terza dietro Australia II KA 6 (che il 26 settembre avrebbe compiuto l’impresa impossibile di conquistare la Coppa delle cento ghinee) e l’inglese Victory ’83 K 22, ma davanti a Canada One KC 1. L’eliminazione toccò agli australiani di Advance e di Challenge 12 e ai francesi di France 3. Un trionfo per i nostri colori, che tra l’altro (unici a riuscirci) avevano addirittura battuto Australia II nella decima regata del secondo round robin.

“Febbre” di Azzurra

Con il progredire della competizione, in Italia crebbe e si affermò la febbre di Azzurra. Il torneo acquistò ogni giorno consensi, un po’ per il suo intrinseco interesse, un po’ sull’onda lunga del Mondiale spagnolo, che aveva portato l’entusiasmo per gli eventi sportivi ai massimi storici. La vela, sport considerato sino ad allora d’élite, conobbe una rapida diffusione, acquisendo simpatizzanti e praticanti. Per qualche settimana, Azzurra diventò l’argomento principale delle conversazioni e milioni di persone, a partire dall’11 agosto, seguirono con passione le regate della storica semifinale con Victory ’83.

Mauro Pelaschier

Mauro Pelaschier

 

Purtroppo gli inglesi erano davvero troppo forti per un team esordiente, e per giunta furono aiutati dalla sorte. Nel primo match race un jumper, revisionato e rimontato su una piastra d’acciaio di non eccelsa qualità, cedette di schianto al primo sforzo. Nella seconda regata Azzurra era riuscita a portarsi in testa dopo un avvincente sorpasso, ma nell’ultima bolina la rottura del paterazzo regalò ai britannici la finale della Vuitton Cup.

Il sogno era terminato: non così la vita di Azzurra, che negli anni seguenti fece da illustre sparring-partner ad Azzurra II e III, meno brillanti protagoniste della Coppa 1987.

Oggi la gloriosa imbarcazione è conservata con ogni cura presso il centro sportivo dello Yacht Club Costa Smeralda, a Porto Cervo.

Danilo Francescano
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