La Coppa Davis 1976

la maglietta rossa di Adriano Panatta

la maglietta rossa di Adriano Panatta

 

Sfida a Pinochet

«Paolo, oggi ci mettiamo le magliette rosse».
Adriano Panatta ha deciso: per il doppio decisivo della finale di Coppa Davis vuole giocare con la maglia scarlatta. Non vuole né la verde né la blu, con cui ha vinto al Foro Italico in finale su Guillermo Vilas e al Roland Garros su Harold Solomon dopo aver battuto Björn Borg ai quarti.

Il colore non è affatto casuale. Non è nemmeno un capriccio estetico: Ascenzietto, il figlio del custode del Tennis Club Parioli, segue il suo cuore, da sempre a sinistra, e la sua indole, e provoca. Provoca Augusto José Ramón Pinochet Ugarte, il dittatore che ha cancellato la democrazia nel primo “11 settembre”, quello del 1973, con un colpo di Stato che ha spinto il presidente socialista Salvador Allende al sacrificio estremo.

Premesse: la Coppa Davis dell’Italia

L’esordio in Davis è piuttosto agevole, due successi per 5-0 contro Polonia e Jugoslavia. A luglio a Roma arriva la Svezia; Borg, fresco vincitore del suo primo Wimbledon, dà forfait e l’Italia si lancia verso la finale europea, contro gli inglesi, cui spetta la scelta della superficie. Prevedibilmente optano per l’erba. Si gioca nella cattedrale del tennis: il capitano azzurro, Nicola Pietrangeli, preferisce Tonino Zugarelli a Corrado Barazzutti. La scelta è vincente. Zugarelli vince su Roger Taylor, Panatta supera John Lloyd e, dopo la sconfitta in doppio nonostante tre match point sprecati e un quarto set-maratona, dà all’Italia il punto decisivo su Taylor.

A settembre, per la semifinale dell’Inter-zona c’è da affrontare l’Australia di John Alexander e John Newcombe, che forma anche una formidabile coppia di doppio con Tony Roche. Barazzutti batte Newcombe, Panatta perde da Alexander. Il doppio è azzurro, senza troppe difficoltà. Ma Alexander supera Barazzutti, Panatta deve aspettare il lunedì per vincere il suo singolare con Newcombe, sospeso per oscurità.

La finale diventa un affare di Stato. L’Unione Sovietica, della stella Alex Metreveli, che ha vinto l’edizione ’73 di Wimbledon caratterizzata dal boicottaggio che ha avuto un ruolo decisivo nella nascita dell’ATP, ha infatti rinunciato a ospitare il Cile. Una scelta motivata da ragioni esclusivamente ideologiche, coerente con quella messa in atto il 21 novembre 1973, quando la nazionale di calcio dell’URSS non si recò a Santiago per il ritorno dello spareggio qualificazione per i Mondiali di Germania. Le autorità decisero di iniziare lo stesso, e il gol farsa del capitano Francisco Valdés, senza avversari, prima del triplice fischio, sancì una gioia a metà.

In Italia dicembre arriva a chiudere un anno nero, passato attraverso il terremoto in Friuli, lo Scandalo Lockheed, gli omicidi del giudice Vittorio Occorsio, che si stava occupando della strage di Piazza Fontana, del vicequestore Francesco Cusano e del brigatista Walter Alasia. Ma la politica, e non solo, si mobilita per una partita di tennis.

Il Cile dopo il colpo di stato

Il generale Pinochet, nominato capo dell’esercito, pochi giorni prima del golpe, aveva preso il potere, con l’aiuto delle tre forze armate e dei carabineros, mirando a restaurare “la cilenità, la giustizia e l’onore”. Il 25 settembre gli USA riconobbero il governo della Giunta, che ricorre alla violenza fisica come strumento organico della propria azione politica. A conferma, il 25 luglio del 1975 la stampa argentina e peruviana pubblica un elenco di centodiaciannove cileni desaparecidos, uccisi tra le pampas: erano tutti stati catturati in Cile.

da sinistra: Adriano Panatta, Antonio Zugarelli, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Nicola Pietrangeli

da sinistra: Adriano Panatta, Antonio Zugarelli, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Nicola Pietrangeli

 

Nell’azione della Giunta, gli USA hanno giocato un ruolo essenziale, come emerso dopo l’arresto di Pinochet, a Londra, nel 1988. Henry Kissinger e Richard Nixon sono le menti dell’Operazione Condor, una campagna di repressione dei socialisti e dei comunisti nei Paesi più meridionali del Sudamerica. Un’operazione costata la vita, tra gli altri, al generale Carlos Prats e sua moglie, uccisi dalla DINA, la polizia cilena, con un’autobomba mentre erano esili a Buenos Aires, il 30 settembre 1974; e a Orlando Letelier, ex ministro del governo Allende, assassinato con lo stesso metodo a Washington il 21 settembre 1976. Pochi giorni dopo, il 5 ottobre, Bernardo Leighton, esile a Roma, viene sparato con sua moglie: ne esce ferito ma vivo. Secondo l’avvocato Giovanni Salvi, l’omicidio sarebbe stato programmato a Madrid, l’anno prima, in un incontro tra Stefano Delle Chiaie e Virgilio Paz Romero, con l’aiuto della polizia segreta di Francisco Franco.

Le reazioni in Italia

Come ogni regime totalitario, anche la dittatura di Pinochet si basava su un messaggio ideologico e politico poco razionale, che pertanto richiede un investimento emotivo maggiore per essere accettato. Non è stato il primo, e certamente nemmeno l’ultimo, a cercare di trasformare lo sport in uno strumento di propaganda. Una strada avviata in epoca romana, con il sistema del panem et circenses, ripresa da Benito Mussolini con i Mondiali di calcio del ’34, da Adolf Hitler con il peso massimo Louis Schmeling, che divenne l’eroe del Terzo Reich battendo l’americano nero Joe Louis, perdendo però il rematch; in mezzo c’era stato anche il terremoto Jesse Owens. Una storia che avrebbe vissuto un nuovo capitolo nel 1978, nell’Argentina di Jorge Rafael Videla, che aveva ereditato l’onore e l’onere di organizzare i Mondiali, e ne avrebbe fatto un’occasione per migliorare l’immagine pubblica della nazione cercando di nascondere la povertà e l’orrore dei desaparecidos.

Pinochet cercava lo stesso effetto osmotico con la finale di Coppa Davis. E in Italia, che ha vissuto di dualismi lungo tutto l’arco della sua storia, la polarizzazione delle posizioni sembra insanabile. Cortei e manifestazioni si susseguono al grido “Non si giocano volée con il boia Pinochet”, Panatta viene accusato di essere miliardario e fascista; lui, diventato benestante col talento ma che mai si è identificato con i progetti della destra liberale, figurarsi con quella estrema. Per Bettino Craxi c’e una partita più importante da vincere, quella della democrazia, e anche Domenico Modugno canta in favore del boicottaggio.

Adriano Panatta in azione

Adriano Panatta in azione

 

Il governo di Giulio Andreotti intanto non prende posizione, aspetta. L’estrema sinistra spinge per il rifiuto. Ma Pietrangeli e i tennisti vogliono giocare. Andreotti fa decidere al CONI. Il CONI si affida al parere della Federazione. La Federazione, che ha da poco nominato Paolo Galgani nuovo presidente, aspetta di vedere da che parte tira il vento e alla fine si fa convincere da Enrico Berlinguer, l’ideatore dell’euro-comunismo, che si muove in direzione contraria rispetto all’Unione Sovietica. Il segretario del PCI matura la decisione dopo essersi in qualche modo consultato con il leader comunista cileno Luis Corvalán, che gli suggerisce di non procedere con un boicottaggio che si sarebbe potuto rivelare vantaggioso per Pinochet, verso il quale il consenso nazionalistico cresceva. Ignazio Pirastu, allora responsabile della Commissione Sport della Direzione del PCI, lascia cadere lì un messaggio-invito in un dibattito televisivo alla presenza anche di Nicola Pietrangeli. A quel punto il Rubicone è passato, si va in Cile.

Il racconto della finale

Non hanno molte speranze, i sudamericani, ma l’entusiasmo è altissimo, tanto che la capienza dello stadio viene aumentata da quattromilacinquecento a seimila spettatori. C’è anche Renato Vallanzasca, che dovrebbe essere latitante. Ma il bel Renè, secondo quanto afferma il giornalista Mario Campanella dopo una serie di interviste nel carcere di Voghera, si imbarca a Parigi sotto falso nome per trattare con le autorità cilene una latitanza mai concretizzata.

Luis Ayala, capitano del Cile, fa giocare Jaime e Alvaro Fillol, Patricio Cornejo e Belus Prajoux Nadjar. Chiama anche il giovane Juan Pedro Hans Gildemeister, che aveva fatto molto bene poche settimane prima in un torneo internazionale a inviti a Santiago (semifinale in singolare, vittoria in doppio con Cornejo. In tabellone anche Alvaro Fillol, fuori al secondo turno, ma vittorioso al primo su Bertolucci).

Nel primo singolare, sotto gli occhi dell’arbitro unico, l’argentino Enrique Morea, che dirige tutte le partite con la coppa sempre al fianco, Fillol parte meglio con Barazzutti, che va sotto prima 0-4 poi 3-5 nel primo set, ma chiude 7-5. La regolarità dell’azzurro ha la meglio: finisce 7-5 4-6 7-5 6-1. Non c’è storia tra Panatta e Cornejo: 6-3 6-1 6-3 e due terzi di coppa prendono la via dell’Italia.

Quella del doppio, per tradizione, è la giornata della presentazione ufficiale: scambio di gagliardetti, inni nazionali. Sugli spalti non c’è un posto libero. Panatta convince Bertolucci, un po’ restio inizialmente per timori di possibili ritorsioni, a iniziare in rosso. Il cambio cromatico sembra, però, non funzionare. I cileni danno tutto, e vincono facile il primo set. Ma secondo e terzo sono italiani. Dopo il riposo Italia avanti 5-3, 40-0, servizio Panatta. Paolo sbaglia il primo match point, Filiol e Cornejo annullano secondo e terzo. La tensione è al massimo. Altro match point: servizio profondo e risposta a rete di Fillol. Dopo tre ore di battaglia e paura, è finita. La prima Davis italiana diventa realtà.  Dopo la pausa, alla fine del terzo set, Panatta e Bertolucci si erano cambiati, abbandonando la maglietta rossa.

Il trionfo imminente andava celebrato in azzurro.

Alessandro Mastroluca
© Riproduzione Riservata

 

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