1944: lo scudetto dei pompieri spezzini

i Vigili del Fuoco spezzini

i Vigili del Fuoco spezzini

 

Un giorno di allarmi aerei

Come al solito, fu Valentino Mazzola l’ultimo ad arrendersi. A tempo ormai scaduto, il capitano del Torino, recuperata la palla, fece partire con la forza della disperazione un vero e proprio missile verso la porta avversaria. Sugli spalti non proprio gremiti calò un improvviso silenzio carico di apprensione. La sfera, scagliata con violenza e precisione, seguì una strana traiettoria: inizialmente tesa, salì all’improvviso nell’ultimo tratto, andandosi a stampare sulla traversa a portiere ormai battuto.

Neanche il tempo di rammaricarsi e l’arbitro Cipriani fischiò la fine dell’incontro, gettando nella costernazione i giocatori piemontesi che mai avrebbero immaginato quell’epilogo che li escludeva inaspettatamente dalla corsa per la vittoria finale.

In effetti, almeno sulla carta, il match contro i Vigili del Fuoco della Spezia non avrebbe dovuto presentare grandi difficoltà per i campioni d’Italia in carica. È vero che i liguri erano un’ottima compagine (erano pur sempre riusciti a qualificarsi per il girone finale a tre), ma non potevano certo competere con il Toro per classe ed esperienza.

La partita, giocata domenica 16 luglio 1944 all’Arena di Milano, finì tuttavia in modo imprevisto. Con quel 2-1, i bianchi, reduci da un pareggio con il Venezia – la terza finalista di quell’incredibile torneo – , balzarono in testa alla classifica. Restava un ultimo incontro, tra i Lagunari e il Torino, e poi quello strano campionato sarebbe finito in archivio. Una competizione iniziata a gennaio e che si era svolta quasi tutta sotto le bombe. Un torneo di guerra, insomma, l’unico che era stato possibile organizzare in quella situazione.

Un campionato sotto le bombe

Già alla fine dell’estate del 1943 si era infatti capito che in quella stagione non ci sarebbe stato alcun campionato. Con l’Italia divisa in due dal fronte di guerra, i normali tornei nazionali non potevano certo partire. La nascita della Repubblica Sociale Italiana, poi, aveva anche mandato in frantumi l’unità stessa della Federazione.

Fu così che, mentre nel sud già liberato dagli Alleati alcuni ex dirigenti della FIGC allestivano in piena autonomia tornei regionali, a nord tutto era fermo. Uno sbandamento organizzativo a cui la Federcalcio (o ciò che ne restava), pensò di rimediare annunciando a novembre la nascita di un campionato nazionale di divisione misto. Squadre di serie A, B e C del nord e, possibilmente, di Toscana e Lazio, avrebbero giocato in gironi preliminari a carattere regionale e, in seguito, interregionale, per disputarsi poi lo scudetto in uno spareggio finale a tre squadre.

il mitico allenatore Ottavio Barbieri

il mitico allenatore Ottavio Barbieri

 

Le adesioni non tardarono ad arrivare e, pur tra mille difficoltà dovute agli eventi bellici, la macchina organizzativa si mise in moto, definendo, in riunioni successive, i regolamenti relativi a oneri d’iscrizione, punteggi, tesseramenti e trasferimenti.

All’inizio del nuovo anno si cominciò finalmente a giocare. Al via sessantaquattro squadre, inserite in cinque grandi gironi regionali: Piemonte e Liguria, Lombardia, Veneto, Venezia Giulia, Emilia e Romagna. Tra le partecipanti società plurititolate, come la Juventus, il Torino, l’Ambrosiana Inter, il Milano (ex Milan), e altre meno note, come il Marzotto Valdagno, il Pellizzari Arzignano e il Panigale.

Tra gli outsider, i Vigili del Fuoco della Spezia. Un nome curioso, figlio di quella drammatica situazione. Dopo l’armistizio, molti calciatori dello Spezia FBC si erano infatti ritrovati oltre la Linea Gotica, impossibilitati a rientrare. Tra questi Riccardo Carapellese, Eusebio Castigliano e Alfonso Borra, tra i maggiori artefici del sesto posto conquistato nel campionato di serie B 1942-43.

Con la città sotto le bombe, priva dei calciatori migliori e con il presidente Coriolano Perioli deportato in Germania, la società cedette in prestito il proprio patrimonio atletico ai locali Vigili del Fuoco che si assunsero l’onere di proseguirne l’attività. Ad allenare la squadra fu confermato Ottavio Barbieri che chiese e ottenne dei rinforzi. Arrivarono il portiere Giovanni Tavoletti dal Genoa, il difensore Bruno Gramaglia dal Napoli, le punte Renato Tori e Sergio Angelini dal Livorno e Vinicio Viani sempre dal Napoli. Tutti, nuovi e vecchi, furono arruolati come pompieri effettivi, con tanto di divisa.

Barbieri, ex nazionale ai tempi di Vittorio Pozzo, si mise subito al lavoro proponendo ai suoi ragazzi il mezzo sistema, una sua personale interpretazione del WM (il Sistema, appunto) allora in gran voga. Il nuovo modulo tattico prevedeva un terzino senza compiti di marcature e un cursore sulla fascia destra, all’occasione sia attaccante che difensore. Come dire il libero e il tornante.

una fase della finale contro il Torino

una fase della finale contro il Torino

 

I risultati arrivarono subito. Inseriti nel raggruppamento emiliano per ragioni di comodità geografica, i bianchi passarono agevolmente i primi due turni, precedendo, nella prima fase, Suzzara, Fidentina Parma e Orlandi Busseto e, nella seconda, ancora Suzzara, Carpi e Modena. Un’unica sconfitta – contro il Carpi – a dimostrare la validità del modulo di Barbieri.

In semifinale con il Bologna accadde un pasticcio. Durante l’andata, disputata nella città felsinea, un contestato gol dello spezzino Paolo Rostagno scatenò un putiferio che coinvolse giocatori, pubblico e Brigate Nere e che finì a schiaffi, calci e manganellate. Un caos punito con la sconfitta a tavolino dei rossoblù che, per protesta, non si presentarono alla gara di ritorno, qualificando automaticamente i liguri al girone finale a cui erano approdati anche Torino e Venezia.

Così, il 9 luglio lo Spezia incontrò a Milano i veneti per il primo match di spareggio. La partita finì 1-1: al gol dei bianchi, segnato da Renato Tori, rispose nella ripresa il neroverde Astorri.

Una storica vittoria

La domenica seguente era in programma Spezia-Torino. I pronostici, come detto, erano a favore del Toro, per l’occasione allenato da Pozzo e rinforzato da Silvio Piola. Lo stesso CT, entrato prima della partita negli spogliatoi dei liguri, li rincuorò in anticipo per l’inevitabile sconfitta. Gli spezzini, tuttavia, non si impressionarono più di tanto e scesero in campo concentrati e decisi a non farsi travolgere dallo squadrone granata. Un atteggiamento che sorprese i rivali, che, già al 16’, si trovarono sotto di un gol, realizzato da Angelini. Il Torino, come punto sul vivo, si scosse e, dopo aver sfiorato ripetutamente il pareggio, pervenne finalmente al gol al 31’ con un tiro di Piola.

L’1-1 durò poco. All’ultimo minuto del primo tempo, infatti, lo Spezia raddoppiò, sempre con Angelini. Nella ripresa il Torino, irritato dal gioco dei liguri, cercò in tutti i modi di pareggiare, ma fu tutto inutile. La traversa finale di Mazzola, poi, chiuse definitivamente la porta alle speranze dei piemontesi. Barbieri, con il suo Mezzo Sistema, era riuscito a confondere le idee al suo vecchio maestro.

Per lo Spezia fu un trionfo: con quel 2-1, sommato al 5-2 ottenuto dai granata contro il Venezia nel terzo e ultimo match disputato il giovedì successivo, diventò incredibilmente campione d’Italia. Ma, altrettanto incredibilmente, non poté goderne.

Il giorno dopo l’inattesa sconfitta del Torino, la Federcalcio emanò infatti un comunicato in cui dichiarava che alla vincente di quel campionato sarebbe stata assegnata una Coppa Federale e non lo scudetto, come invece previsto dal regolamento iniziale.

il distintivo tricolore ricordo dell'impresa

il distintivo tricolore ricordo dell’impresa

 

Gli spezzini non si rassegnarono mai a questa decisione e, dopo molti tentativi, nel 2002 riuscirono finalmente a ottenere dalla FIGC il riconoscimento ufficiale (anche se non lo scudetto vero e proprio) per quella vittoria e la possibilità di apporre per sempre sulle divise sociali un distintivo tricolore in ricordo dell’impresa.

Eh sì, perché vincere il tricolore battendo il Grande Torino in un torneo in cui si doveva dribblare, oltre che gli avversari, anche la fame, le bombe e la paura era stata davvero un’impresa epica, unica, irripetibile. Ingiustamente caduta nell’oblio per troppo tempo.

Marco Della Croce
(con la collaborazione di Armando Napoletano)
© Riproduzione Riservata

 

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