Uruguay-Brasile: incubo al Maracanã

la squadra uruguayana prima della finale

la squadra uruguayana prima della finale

 

La partita maledetta

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Non c’erano altri pronostici. Anche i più scettici e navigati opinionisti e conoscitori del calcio di quell’epoca non avrebbero scommesso un centesimo bucato contro la vittoria della squadra che avrebbe ospitato i quarti Campionati del mondo di calcio. Era il 1950 e la kermesse iridata, la prima dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, si sarebbe infatti svolta in Brasile.

I giallo-oro sudamericani erano dunque i superfavoriti: nessuna competizione prima di allora aveva coniugato tutti i parametri determinanti (forza di squadra, stato di forma, ambiente, tifo) in un’unica direzione. Di fatto, la Coppa Rimet era già vinta. C’era semmai da capire, dopo la lunga sospensione bellica, quali fossero le nuove gerachie internazionali. A partire dal secondo posto in poi, si intende.

L’Italia, campione del mondo in carica dal lontano 1938, si presentò a quei mondiali sotto shock. Il 4 maggio dell’anno prima, infatti, sulla collina di Superga era finita in un rogo la favola del Grande Torino: nel disastro aereo erano morti i dieci undicesimi della Nazionale. La possibilità di difendere efficacemente il titolo con una squadra d’emergenza sarebbe dunque stata molto difficile. E così fu, anche grazie alla nostra atavica leggerezza.

Delusioni inaspettate

In effetti, in campo le cose andarono subito per il verso sbagliato. L’Italia, inserita nel terzo gruppo con Svezia e Paraguay, incontrò nella prima partita i giallo-blu scandinavi, considerati dai più solo modesti dilettanti. Il rapido gol di Riccardo Carapellese contribuì a far credere ai nostri giocatori che il match era già vinto. Una previsione tragicamente sbagliata: tre reti di fila degli svedesi ribaltarono ben presto il risultato, rendendo vano il gol segnato da Ermes Muccinelli nel finale. La successiva vittoria sul Paraguay per 2-0 non servì a nulla: la Svezia si era infatti garantita l’ingresso al girone finale pareggiando in precedenza con i sudamericani.

il manifesto del Mondiale

il manifesto del Mondiale e lo stadio Maracanã

 

Peggiore sorte toccò alla nazionale inglese che partecipava per la prima volta alla competizione mondiale. I Leoni d’Inghilterra, inseriti nel secondo gruppo con Cile, Spagna e Stati Uniti, si vedevano già nella fase finale, soprattutto dopo aver affondato per 2-0 i modesti sudamericani. L’esito della partita successiva con i cugini americani, considerata di ordinaria amministrazione, fu però sorprendente: gli USA vinsero infatti 1-0 e la débâcle fu così inattesa che le agenzie londinesi, informate del risultato, pensarono a un errore di trasmissione e trasformarono in 10-1 per l’Inghilterra il clamoroso 0-1, facendo ridere il mondo intero. Ancora storditi del risultato gli inglesi persero anche l’ultima partita con la Spagna e tornarono anzitempo a casa.

L’attenzione di tutti era però concentrata sul primo girone, quello del Brasile. I padroni di casa passarono il turno, battendo sia il Messico che la Jugoslavia e pareggiando con la Svizzera. La fase successiva, che non prevedeva una finale vera e propria ma solo una classifica a punti tra le vincitrici dei gironi eliminatori, aveva in calendario, come secondo match, lo scontro tra il Brasile e l’Uruguay, a sua volta primo nel quarto girone. Ragioni di cassetta convinsero gli organizzatori a spostare l’incontro all’ultimo giorno.

Così, in un delirio crescente di tifo, si arrivò alla fase finale. I giallo-oro sudamericani confermarono una volta di più i pronostici che li volevano campioni, rifilando sette reti alla Svezia e sei alla Spagna. Il Brasile volava, i suoi fenomeni sembravano inarrestabili. Tutta la nazione era in delirio.

L’Uruguay, dal canto suo, teneva a stento il passo e, dopo l’iniziale pareggio con la Spagna, aveva acciuffato una vittoria per 3-2 nei minuti finali con la Svezia. Alla vigilia dell’ultimo incontro i padroni di casa erano un punto avanti alla nazionale uruguagia, il che avrebbe consentito ai brasiliani di vincere il titolo anche con un pareggio. Per i Celesti, invece, c’era un unico risultato a disposizione: la vittoria contro la Seleção. Una vittoria al Maracanã.

la squadra brasiliana

la squadra brasiliana

 

Domenica 19 luglio 1950 andò finalmente in scena l’incontro decisivo. Decisivo si fa per dire: non c’era nessuno, nemmeno tra gli uruguaiani, che avrebbe sinceramente creduto a una sconfitta dei padroni di casa. Non ci credeva la Zecca Statale, che aveva già realizzato i bozzetti delle medaglie celebrative. Non ci credevano le autorità, che avevano già ordinato undici limousine pronte ad accogliere i campeones. Non ci credeva il Presidente dello Stato di Rio che pronunciò il discorso della vittoria ben prima del fischio d’inizio. Non ci credevano, infine, i 203.849 spettatori, quasi tutti brasiliani, che affollavano gli spalti del Maracanã.

Finalmente il fischio di avvio. Il Brasile partì subito in attacco, trascinato dal tifo infernale della folla. L’offensiva della Seleção non lasciò un attimo di respiro all’Uruguay, i cui difensori faticavano a tamponare quelle incursioni. Improvvisamente, al 28′, l’uruguayano Rubén Morán si trovò tra i piedi un rinvio sbagliato della difesa giallo-oro ma non riuscì a deviare in rete. Lo stadio respirò di sollievo per lo scampato pericolo. L’assedio riprese più di prima, ma al 39′ un bolide di Juan Alberto Schiaffino colpì il palo destro.

Una ripresa al cardiopalmo

Al termine del primo tempo il risultato era dunque inchiodato sullo 0-0. I brasiliani iniziarono la ripresa all’arma bianca e al 2′, finalmente, Friaça fece esplodere il Maracanã: rete! La gente si abbracciava, i cori della torcida salivano al cielo. La partita ricominciò e divenne più dura e fallosa. Il Brasile, non pago del vantaggio, continuò ad attaccare alla ricerca del raddoppio.

il gol iniziale di Friaça

il gol iniziale di Friaça

 

Al 66′ il primo atto del dramma. Obdulio Varela passò la palla ad Alcides Ghiggia che, liberatosi di Bigode, crossò sull’accorrente Schiaffino che infilò il malcapitato portiere Moacir Barbosa con una tremenda rasoiata di destro: 1-1.

il pareggio di Juan Alberto Schiaffino

il pareggio di Juan Alberto Schiaffino

 

Con il pareggio, il Brasile era ancora Campione, ma nel suo DNA esisteva (ed esiste tuttora) un solo gioco: l’attacco. Al 79′ l’epilogo: Julio Pérez lanciò la sfera ancora a Ghiggia che trafisse di nuovo Barbosa in uscita: 2-1 per l’Uruguay!

il gol della vittoria di Alcides Ghiggia

il gol della vittoria di Alcides Ghiggia

 

Sul Maracanã calò una tremenda cappa di gelo. Nell’assurdo silenzio si sentì solo Varela che incitava i compagni a resistere, ma il grande Brasile era ormai vinto. Gli attacchi erano senza convinzione, le gambe dei giocatori di piombo. Troppo grande la delusione, troppo forte l’amarezza. Al fischio finale Schubert Gambetta bloccò il pallone spiovente con le mani e fuggì via. I giocatori della Seleção gridarono a Dio il perché di quel dolore insensato.

“Nunca maís!” (“Mai più!”), titolò l’indomani A Gazeta Esportiva Illustrada, esprimendo l’angoscia di un intero popolo. Quella sera si disperò tutto il Brasile, i poveri nelle baracche delle sterminate favelas, i milionari nelle grandiose ville sull’oceano. Si pianse a Rio, a Belo Horizonte e, naturalmente, a San Paolo. Si parlò anche di malori, di infarti e persino di suicidi. Purtroppo non furono solo leggende urbane.

Marco Della Croce e Danilo Francescano
© Riproduzione Riservata
(testo non coincidente con quello del podcast)

 


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