Sócrates

Sócrates

Sócrates

 

Il rivoluzionario del fùtbol bailado

Mercoledì 14 dicembre 1983. Al termine del derby con il São Paulo, che vale il campionato Paulista, gli fanno una domanda insolita. Di quelle che proprio non ti aspetti in un dopopartita, specie quando hai appena segnato il gol decisivo. Gli chiedono come vorrebbe morire. Il Dottore non ha bisogno di pensarci. «Quero morrer em um Domingo e com o Corinthians Campeão», «Voglio morire di domenica e con il Corinthians campione». Così risponde a Radio Jovem Pan, Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira. Più brevemente, Sócrates.

Domenica 4 dicembre 2011. Il Corinthians ospita il Palmeiras al Pacaembu di São Paulo per un altro derby, anche questo decisivo, almeno per i padroni di casa. Un match nervoso, tra due squadre acerrime rivali, nel quale se mancano i gol non mancano certo le emozioni. Sugli spalti soprattutto, dove quarantamila tifosi tremano alla rete con la quale, 420 km più a ovest, a Rio, il Vasco raggiunge il Timão in testa alla classifica. Dura un tempo di gioco, la paura, ma poi si libera in una gioia tutta brasileira quando il Flamengo pareggia con Renato Abreu, e ricaccia definitivamente il Vasco in seconda posizione. Alle 16.30 il triplice fischio e lo 0-0 finale consegnano al Corinthians il quinto titolo di Campeão do Brasil della storia del club.

Sócrates ha chiuso gli occhi per sempre circa dodici ore prima, all’ospedale israeliano Albert Einstein di São Paulo. Infezione intestinale, la causa della morte, ma in realtà la vita dalle vene del fuoriclasse paulista se l’è spremuta a poco a poco un nemico subdolo, di quelli che non ti perdonano quasi mai. Una cirrosi epatica, figlia dell’eccesso di alcol e di una esistenza avvincente ed esagerata. Il paese intero è in lutto, ma al cimitero Bom Pastor de Ribeirao lo accompagna meno di un migliaio di persone. Non le folle oceaniche cui era abituato sui campi di calcio, ma i tempi sono cambiati.

Una storia atipica

Sócrates nasce il 19 febbraio 1954 a Belém. Papà Raimundo è un uomo molto colto. Possiede la bellezza di tre lauree e ha una vera passione per la Grecia antica. Quando ha letto la Politéia, si è innamorato del Socrate che ha dipinto Platone. Così, trova naturale dare al figlio primogenito il nome del grande filosofo ateniese.

Nomen omen”, dicevano i romani, che di queste cose se ne intendevano. Difatti il ragazzo cresce (a Ribeirão Preto, nello stato di São Paulo, dove la famiglia si è trasferita una dozzina di anni dopo la sua nascita) con la mente aperta agli ideali solidali ed egualitari difesi dal suo omonimo dell’antichità. Anzi, va ben oltre. Uno dei suoi idoli si chiama Che Guevara, al quale tra l’altro assomiglia notevolmente, anche in virtù della barba e dei lunghi capelli che sceglie di portare. Si laurea senza problemi in medicina, con specializzazione in ortopedia infantile. O Doutor Sócrates, appunto, anche se a esercitare la professione ci arriverà tardi. Perché nel frattempo ha scoperto di saper giocare al calcio. E molto bene.

la tipica esultanza del Dottore

la tipica esultanza del Doutor

 

La sua è una storia calcistica atipica, nata non in una favela tirando pedate ad un pallone di stracci e giornali, e neanche sulle assolate spiagge di Copacabana o Ipanema. È la storia di un giovane della media borghesia brasiliana, che insegue i suoi sogni sul morbido tappeto verde degli stadi ma non rinuncia ad inseguire sogni più grandi ancora. Sogni che, in quegli anni di plumbea dittatura, si chiamano libertà e democrazia. Nel 1974 Sócrates arriva al Botafogo di Ribeirão Preto. Si fa notare, il ragazzo: per la sua classe e l’eleganza innata, ma soprattutto per i suoi geniali colpi di tacco, che smarcano il compagno verso il gol, o, talvolta, in gol ci vanno addirittura. I brasiliani, popolo innamorato del fùtbol bailado, incominciano ad innamorarsi di questo spilungone alto 1,92 e magro come un chiodo.

Nel 1978 lo acquista la squadra della sua vita, il Corinthians. Quelli che seguono sono sei anni trionfali e fondamentali per il Dottore. Sono gli anni dei tre Campeonatos Paulistas (1979, 1982, 1983), della grande avventura con la maglia verdeoro della Seleção, della conquista di una notorietà che arriva già quasi leggenda sull’altra sponda dell’Atlantico. El taco de Dios Il tacco di Dio – , lo soprannominano fuori dai patri confini, con una di quelle iperboli improbabili che solo lo sport, e il calcio in particolare, sanno redimere dal grottesco. El taco de Dios, allo stesso modo in cui, qui da noi, Mariolino Corso era stato Il piede sinistro di Dio, e Franco Baresi sarà L’uomo che guarda il cielo dall’alto.

Gente che accarezza il pallone come Niccolò Paganini il violino, insomma. Eppure Sócrates riesce ad essere qualcosa di più. Qualcosa di diverso. Perché un bel giorno dell’aprile 1982, O Doutor si fascia letteralmente con una bandana da rivoluzionario i capelli alla Che Guevara e inventa il più singolare, coraggioso e affascinante esperimento della storia del calcio mondiale.

La Democracia Corinthiana

L’occasione è il cambio ai vertici del club: lo storico presidente Vicente Matheus, pittoresco e all’antica, lascia il posto a Waldemar Pires, proprietario di una società di brokeraggio e uomo di idee aperte e progressiste.

La storia che il Corinthians ha alle spalle non piace molto ai militari al potere, che difatti lo osteggiano senza neanche darsi la pena di nasconderlo. Fondato da un gruppo di operai, il Timão è per tradizione la squadra dei ceti popolari di São Paulo, la prima in Brasile ad aver accettato tra le sue fila giocatori di origine proletaria e la seconda (dopo il Bangu di Rio) ad aver aperto agli atleti di colore.

Ambiente ideale per i progetti innovativi di Sócrates, che con i compagni di squadra Wladimir, Casagrande e Zenon diviene l’anima della straordinaria stagione della Democracia Corinthiana.

la Democracia Corinthiana

la Democracia Corinthiana

 

Autogestione della squadra, certo. E già il decidere formazioni, allenamenti e persino acquisti e cessioni in assemblee di spogliatoio o di società, dove il voto di un giocatore vale quello di un dirigente, ne fa un caso unico nel mondo verticistico del calcio. Ma non solo. La Democracia trascende il futbol, per trovare la sua più profonda ragione d’essere nella lotta ad un regime forse meno sanguinario di altri, ma comunque grigio ed oppressivo.

Le maglie dei giocatori diventano lo spazio per autentici murales viventi, dove si possono leggere frasi come “Elezioni dirette subito” e “Io voglio votare il presidente”. Una sfida aperta e risoluta al potere costituito, una spina nel fianco per la giunta militare, tanto più pericolosa perché potenzialmente in grado di raggiungere l’intero paese. Sócrates è al centro di tutto questo, sul campo e nelle piazze dove non esita a scendere, incarnando l’ansia di libertà di un intero popolo.

Democrazia: vincere il campionato è il dettaglio meno importante”, recitano i poster del Corinthians. Eppure i successi non tardano ad arrivare. Il Timão domina il Campeonato Paulista nel biennio 1982-83 e conquista la semifinale del Brasileirão, mentre il bilancio della società, oculatamente gestito dai giocatori, raggiunge un insperato attivo di tre milioni di dollari.

Sócrates è al culmine della carriera. Si presenta al Mundial di Spagna con la responsabilità di guidare da capitano una delle più forti Seleção di sempre verso il quarto titolo.

Il 5 luglio 1982, al 12° minuto di Brasile-Italia, il Dottore pareggia di destro il gol iniziale di Paolo Rossi, e porta il cuore di centoventisette milioni di connazionali ad un passo dal cielo: il pari basterebbe a qualificare i verdeoro per le semifinali, a discapito della stessa Italia e della fortissima Argentina di Diego Armando Maradona. Del resto, nessuna meraviglia. Quel Brasile, potendo schierare fenomeni come Zico, Paulo Roberto Falcão, Júnior e Toninho Cerezo, appare quasi perfetto.

una fase di Brasile-Italia 2-3 del 1982

una fase di Brasile-Italia 2-3 del 1982

 

È proprio quel quasi, sotto forma di portiere e centravanti, che distrugge il sogno. Paolo Rossi si trasforma improvvisamente in Pablito, e rifila altri due goal all’incerto Waldir Peres, mentre Serginho dal canto suo sbaglia tutto lo sbagliabile. Il 2-3 finale condanna la Seleção all’incredibile esclusione, e non vale certo a consolazione l’essere stati battuti dai futuri Campioni del Mondo.

Il ritorno in patria è mesto, per non dire funereo, ma Sócrates reagisce tuffandosi di nuovo e con successo nell’organizzazione della Democracia e nella vita del Corinthians.

Il trasferimento alla Fiorentina

Nell’estate 1984, per dare visibilità internazionale alla protesta contro la dittatura, decide di accettare le (vantaggiose) proposte della Fiorentina e di lasciare il Brasile, pur dichiarandosi pronto a far cadere l’idea in caso di libere elezioni nel Paese.

«Non ci tengo tanto a essere un campione di calcio quanto uomo democratico, anzi un brasiliano democratico» mette subito in chiaro al suo arrivo a Firenze. E in effetti in Italia, frastornato dalla durezza dei ritiri e degli allenamenti, così diversi da quelli blandi e un po’ naif cui è abituato, e soprattutto dai tatticismi del nostro calcio, non riesce a dimostrare tutto il suo valore, pur regalando sprazzi di classe infinita. Dura solo un anno, il suo soggiorno toscano, e nel 1985 O Doutor è di nuovo in Brasile, al Flamengo questa volta. Mentre la Democracia, priva di Sócrates e degli altri leader, mostra lentamente la corda sino a scomparire, il fuoriclasse di Belém ha ancora il tempo di giocare in grandi club come il Botafogo o il Santos e di disputare con la Seleção un altro Mundial, quello messicano del 1986. Ormai però gli eroi sono stanchi e il momento d’oro è definitivamente alle spalle. Proprio un rigore sbagliato dal Dottore contribuisce all’eliminazione da parte della Francia di Michel Platini, in verità molto meno traumatica perché le attese, questa volta, sono decisamente inferiori.

Restano solo scampoli di carriera. Nel 1990 si ritira e rimane nell’ambiente come commentatore televisivo, salvo tornare in campo per un mese, nel novembre 2004, con la molto meno nota maglia dei dilettanti inglesi del Garforth Town, di cui è anche allenatore.

E resta una vita vissuta al massimo, in bilico tra il giornalismo, la professione di medico finalmente esercitata, e il mai rinnegato impegno sociale e politico. Una vita avvelenata da sigarette e alcol, che minano il fisico di Sócrates e lo distruggono giorno dopo giorno, sino al 2011 dei tre ricoveri ospedalieri. Sino alla fatale domenica di dicembre.

Sócrates in maglia viola

Sócrates in maglia viola

 

Non vede il Corinthians vincere il Brasileirão, Sócrates, ma in fondo ha chiesto solo di morire lo stesso giorno. Destino, forse. O forse no. Magari invece il Dottore era anche un po’ stregone, chi lo sa, e magari voleva dire proprio il contrario. Voleva dire che il giorno della sua morte il Timão sarebbe diventato campione. Un po’ come quella storia dell’Oracolo di Delfi, quando uno partiva per la guerra tranquillo per la profezia della Pizia, e poi moriva alla prima battaglia perché aveva frainteso il soggetto della frase. Ché, a ben guardare, anche questa è una morte da antico greco.

Danilo Francescano
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