Paolo Sollier – 1

Paolo Sollier col pugno alzato saluta dal campo i suoi compagni di militanza politica

Paolo Sollier col pugno alzato saluta dal campo i suoi tifosi

 

Il calciatore operaio

Ai cancelli di Mirafiori l’odore di fumo di refrigerante e di olio bruciato svanisce man mano che la folla s’ingrossa. C’è lo sciopero generale per il diritto alla casa nella città che ha trasformato la stazione ferroviaria in un dormitorio operaio. Torino l’Austera è diventata Torino la Rossa, ma i lavoratori della più antica fabbrica d’Europa quel pomeriggio del 3 luglio 1969 scendono in strada contro i partiti, contro gli stessi sindacati, per chiedere una trasformazione radicale della società. Che poi qua e là spunti la parola “rivoluzione” non stupisce: la protesta contagia i quartieri popolari e a Corso Traiano si fa guerriglia, lasciando sul campo settanta feriti tra manifestanti e forze dell’ordine.

Paolo Sollier è dalla parte degli operai, anzi è lui stesso un operaio. Lavora alla Fiat – catena di montaggio, otto ore e mezzo di sudore per un salario di 100.000 lire al mese – ed è cresciuto nel rione popolare della Vanchiglia, dove si è trasferito ragazzino dalla Val di Susa quando il padre è stato assunto dall’azienda elettrica municipale. È lì che l’eco delle imprese del Grande Torino e della Juventus spinge anche lui a giocare a calcio, fino al tesseramento nel Cinzano di Santa Vittoria d’Alba. Operai anche i suoi piedi, grezzi ma instancabili: Paolo è un centravanti che corre dietro a tutti i palloni ma segna, parole sue, solo quando è in trance. Il calcio però lo diverte, sarà per la sua matrice nazional-popolare o per la sua forza sociale, o semplicemente perché, in fin dei conti, più che uno sport è un gioco per lui che preferisce prender sul serio altre cose.

Negli anni in cui scopre il pallone, Paolo è un volontario di Mani Tese, l’associazione cattolica che raccoglie carta e stracci per spedirli in un’azienda agricola in Chubut, in America Latina. Lo ritroviamo tempo dopo studente di Scienze Politiche, militante di Potere Operaio e inquilino di una “comune”, una «casa di matti» che divide con tre coetanei. I suoi vent’anni tra il Che Guevara e il Compagno Allende, i vent’anni di quel giorno d’estate da Mirafiori a Corso Traiano, quando Paolo osserva le cariche delle forze dell’ordine e decide che Pasolini, a poetare contro chi protesta, sbaglia di grosso, perché tra i manifestanti «nessuno se l’è mai presa col singolo poliziotto, ma con la polizia che difende il potere a manganellate e lacrimogeni in faccia».

Paolo Sollier negli anni in cui si avvicina alla militanza politica

Paolo Sollier negli anni in cui si avvicina alla militanza politica

 

È  l’inizio della sua militanza in Avanguardia Operaia, una storia comune a tanti giovani con dentro un’inquietudine priva di nome, se non fosse che Paolo, nel frattempo, è diventato un calciatore professionista. Una posizione originale da qualunque prospettiva la si osservi: contraddittoria, per chi vede nel calcio il trionfo dell’individualismo capitalistico; stravagante, per chi crede nello stereotipo del calciatore tutto muscoli e niente cervello, figurarsi militare in un movimento extraparlamentare!

Perciò, quando i giornali sportivi cominciano a far di Sollier un personaggio mediatico, Paolo sbotta: «Udite, udite, sto diventando famoso perché mi occupo di politica!». Secondo il ragazzo, apolitici non si può essere, mentre calciatori si diventa anche per caso. A lui è andata così, in quella stessa estate del ’69: la Cossatese vuole rilevarlo dal Cinzano per cinquantamila lire al mese, lui ne chiede sessanta per mollare il lavoro in Fiat e poter riprendere gli studi interrotti. Accettano.

A Cossato vive quattro stagioni di calcio frugale: il vice presidente è anche massaggiatore e magazziniere e, in mancanza di incassi adeguati, per far quadrare i conti la società fonda una balera. Per Paolo sono anni di crisi personale e, alla ricerca di un’identità, dopo una stagione in serie C nella Pro Vercelli di Mister Luciano Sassi il ragazzo si chiede se non sia il caso di smettere di fare il «calciatore di compromesso, né calciatore né studente, né militante né cane sciolto».

Alla corte dei Grifoni

L’occasione si chiama Perugia e arriva con una telefonata chiarificatoria di Ilario Castagner, neoallenatore dei Grifoni, proprio all’amico Sassi, suo compagno nel Legnano: «Di’, Luciano, è vero o no che questo Sollier è un piantagrane?».

Sollier a bordo della sua Cinquecento

Sollier a bordo della sua Cinquecento

 

La risposta consente a Paolo di saltare a bordo della sua Cinquecento, lasciarsi alle spalle Torino ed essere, dieci ore dopo, sulle colline umbre. Una nuova casa, appena fuori dal centro storico, trovata in ventiquattr’ore. Sollier sa di essere un emigrante di lusso e si sente un po’ in colpa nei confronti degli emigranti veri, quelli incontrati tante volte per le strade della sua città, guardati in cagnesco, con una valigia di cartone e un posto-letto ricavato da un sottoscala. L’affitto, però, al contrario di tanti suoi colleghi preferisce pagarselo da solo.

Cosa sa di Perugia? Non molto, ma la città dei vicoli che si arrampicano lungo le pendici dei colli, del festival del jazz e del cosmopolitismo universitario pian piano gli entra nelle vene, «mi gira nel sangue» – dirà pieno di rimpianto al momento dell’addio, appena due anni dopo. E poi il calcio, per la prima volta ad alti livelli: la Serie B nella stagione 1974-75, la Serie A in quella 1975-76.

È il Perugia dell’amministratore delegato Spartaco Ghini, che negli anni Ottanta finirà travolto dal ciclone calcio scommesse ma che nel ’74 suggerisce al presidente Franco D’Attoma la via dell’azionariato sociale in un’epoca in cui le società calcistiche non sono ancora quotate in borsa: i tifosi diventano azionisti di minoranza, senza dividendi ma con poteri decisionali all’interno del consiglio di amministrazione. Una mezza truffa, osserverà in seguito Sollier, almeno sul piano economico, che però, se non altro, rompe il verticismo societario.

Sollier legge il Quotidiano dei Lavoratori

Sollier legge con un compagno di squadra il Quotidiano dei Lavoratori

 

È anche il Perugia dei Malizia, dei Nappi, dei Curi, dei Sabatini, una squadra robusta che alle giocate di fino preferisce l’azione corale. Sollier segna sette gol strappando a Ghini il premio-partita di 14 abbonamenti al Quotidiano dei lavoratori, lui che ai compagni regala le opere di Pavese, Lee Master, Garcia Marquez, i fumetti di Corto Maltese: una sorta di rivoluzione culturale negli spogliatoi promossa dall’uomo che i tifosi perugini soprannominano – non a caso – Mao.

Un emblema della sinistra militante

Del resto, Sollier non nasconde le sue simpatie politiche neanche in campo e diventa l’emblema della sinistra militante salutando con il pugno chiuso in maglia (bianco)rossa. Un segno di riconoscimento, secondo i suoi estimatori; una provocazione, per i suoi detrattori. Alcuni non vanno oltre i soliti sfottò: Sollier corre fino al fischio finale perché è di Lotta Continua, segnerà contro il Brescia perché il portiere si chiama Borghese. Ma il clima di piombo di quegli anni esacerba gli animi anche allo stadio. Così, contro la Reggiana Paolo sarà guardato a vista prima e dopo la partita da una guardia del corpo, a causa di tre telefonate da parte di un gruppo neofascista al commissariato di polizia di Reggio Emilia che ne minacciano il rapimento.

Intanto il Perugia macina un successo dietro l’altro: insegue il Verona retrocesso l’anno prima tra i cadetti, lo scavalca in vetta alla classifica alla dodicesima giornata e, nonostante tre sconfitte di fila che fanno tremare la panchina di Castagner, conquista la sua prima promozione in A con un pareggio il 15 giugno 1975 a Pescara. Una settimana dopo, nell’ultima gara disputata dalla squadra nell’impianto di Santa Giuliana prima del trasloco nel nuovo stadio, la città può festeggiare lo storico traguardo, travolta da quello che il telecronista e tifoso biancorosso Nando Martellini non esiterà a definire «un vento ubriacante».

Sollier in azione con la maglia del Perugia nella stagione '74-'75

Sollier in azione con la maglia del Perugia nella stagione ’74-’75

 

Poi anche per Paolo viene l’estate. Lontano dal calciomercato, dalla politica, dall’Italia. Un viaggio zaino in spalla lungo le strade francesi, dal Larzac a Bordeaux fino ai mari ribelli della Bretagna. Respiri e sospiri d’amore nelle canadesi piantate sugli scogli e inzuppate di pioggia. Paolo ama. Anne Marie ora come Gisella, Grazia, Maria, Martine e molte altre prima e dopo. Perché per lui «innamorarsi è forse un modo per fare amicizia», che non esclude altri incontri. Un “rivoluzionario sotto coperta”, titola sul Corriere d’Informazione la giornalista Giuseppina Manin, addentrandosi nelle maglie del sesso in un’intervista senza tabù in cui Paolo, dichiarando di non aver pregiudizi nei confronti dell’omosessualità, diventa, per i lettori perbenisti, omosessuale. Lui che non lo è si limita a osservare che «la discriminazione sessuale non è altro che l’ultima orgia del razzismo», più o meno come quella di genere. E infatti sposa la causa del femminismo, purché gli uomini non siano demonizzati per partito preso: lui, per esempio, lava i piatti, cucina, fa la spesa e, soprattutto, riconosce da sempre i diritti delle donne.

(1-Continua).

Graziana Urso
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