Claudio De Sousa

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Un bel primo piano di Claudio De Sousa (© Melania Stricchiolo)

 

Il ragazzo che ha rimesso in piedi un sogno

Quando incantano una palla o la spingono in rete, i piedi regalano sogni. Vellutati o grezzi, spietati, pragmatici o fatati, i piedi sono la fucina del calcio; per un giocatore, il suo baricentro. Accade però che quel punto d’appoggio capace di far spiccare il volo d’improvviso si spezzi; un crac subdolo, perché invisibile, un dolore sordo che devasta quando la diagnosi dei medici si traduce in un verdetto inappellabile: inidoneità all’attività sportiva.

Claudio De Sousa è precipitato dal Paradiso all’Inferno nel volgere di pochi mesi. Ventitré anni e mezzo di calcio spazzati via da un infortunio che sembrava irrecuperabile. Il ritiro, l’ostinazione, il sacrificio, la rinascita: una strada tortuosa, una nuova ascesa.

Claudio con la sua squadra, L'Aquila Calcio

Claudio con la sua squadra, L’Aquila Calcio

 

Oggi Claudio, già giocatore di Lazio, Torino, Catanzaro, Pescara e Chieti, è l’attaccante di punta dell’Aquila, sei gol all’attivo che hanno contribuito al secondo posto della squadra abruzzese nella classifica di Lega Pro, Prima Divisione, Girone B. Ma è anche il protagonista di una storia di tenacia e determinazione, che gli è valsa il Premio “Giuseppe Prisco” 2013, assegnato per la prima volta a un giocatore di Serie C. Una storia raccontata a Storie di Sport con riserbo, il capitolo più drammatico di una vita votata interamente al calcio e dal calcio insidiata.

Figlio di un’italiana e un angolano, classe 1985, Claudio ha tirato i primi calci nei campi di Torre Angela, periferia sud-est di Roma. La trafila nella Lodigiani – sei stagioni tra giovanili e Serie C – poi il salto nella Lazio: il 26 settembre 2004 Claudio ha 19 anni ed esordisce in Serie A in una sconfitta casalinga contro il Milan di Ancelotti. Un mese dopo, alla sua seconda apparizione all’Olimpico contro il Messina, subentrato nella ripresa a Roberto Muzzi, va in gol. «Ero giovanissimo, già in A, nel giro della Nazionale Under 20 – ricorda Claudio –  eppure vivevo tutto con naturalezza, quasi inconsapevole della mia fortuna». A fine stagione non trova l’accordo con il Presidente Claudio Lotito e inizia il suo pendolarismo tra la serie cadetta e la Serie C.

Il ragazzo si farà, dicono, ma qualcosa durante la stagione col Pescara comincia ad andar storto. «Tutto iniziò con una botta al piede destro – racconta Claudio – una botta come tante, da non farci quasi caso. Poi però mi resi conto che stavo perdendo sensibilità, non sentivo più l’arto. Per sei-sette mesi fu un calvario di visite specialistiche, la diagnosi sembrava un enigma, finché non mi dissero che si trattava di un problema vascolare e che non avrei più potuto giocare a calcio».

Una tegola sulle sue ambizioni, forse qualcosa di più. Perché ciò che preoccupa Claudio è sì quel piede che non ha più riflessi e movimento, ma soprattutto la rinuncia a una passione senza la quale il mondo è per lui inconcepibile. «Non ho mai pensato a un’alternativa al calcio – svela – e anche quando ero nello sconforto più nero, il mio obiettivo è sempre stato tornare a giocare». Intanto però il calcio gli sbatte la porta in faccia: contratto rescisso, tifosi che dimenticano. Ma lui testardo si aggrappa alla speranza dei lentissimi margini di miglioramento che i medici gli hanno prospettato e, nonostante il dolore fisico, continua ad allenarsi tutti i giorni.

Un ritratto di Claudio De Sousa (© Maria Cristina Madera)

Un ritratto di Claudio De Sousa (© Maria Cristina Madera)

 

Footing, partite di calcetto, controlli angiologici ogni tre mesi. Due anni così, il sangue che torna gradualmente ad affluire, poi la prova della verità: San Marino. «Era l’unico campionato in cui potevo giocare, il piede ha risposto bene, così ho avuto la conferma di poter richiedere alla FIGC il riconoscimento dell’idoneità sportiva».

Quando arriva, nel 2012, Claudio riparte dall’Abruzzo. L’amico Alessandro Battisti è anche il direttore sportivo del Chieti, squadra di Seconda Divisione, e gli propone un contratto regolare. Lui ringrazia con 18 gol di pregevole fattura, diventando per la curva la Pantera neroverde. È la sua migliore stagione di sempre.

Claudio abbraccia un compagno dopo un gol  (© L'Aquila Calcio)

Claudio abbraccia un compagno di squadra dopo un gol (© L’Aquila Calcio)

 

«L’infortunio mi ha maturato – dichiara Claudio – non sono più il calciatore di un tempo che si entusiasmava all’idea della partita da giocare ma era insofferente agli allenamenti. Ora apprezzo anche quelli».

L’estate scorsa se lo sono contesi la Salernitana di Lotito e alcuni club di Serie B. Lui ha scelto L’Aquila Calcio, la squadra a cui ai tempi della Lodigiani rifilò il suo primo gol nel calcio professionistico e che – nonostante il recente scivolone casalingo contro il Gubbio – lo ha ripagato con un campionato di vertice.

«A che serve andare in Serie B se poi devo fare il panchinaro? – si è chiesto Claudio. «Il club rossoblù mi ha convinto per il suo progetto tecnico e per la sua piazza». L’Aquila, per l’appunto. La città che lo ha riconosciuto e in cui si è riconosciuto. Una città dove non teme di guardare in faccia quella fatica di rimettersi in piedi senza calpestare i sogni, che gli ha permesso di riconquistarsi la vita che voleva.

Graziana Urso
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