Juanito

Juanito in campo

Juanito in campo

 

La “Maravilla” del Bernabeu

Illa illa illa Juanito Maravilla. Al settimo minuto di ogni partita giocata nel mitico Santiago Bernabeu, i tifosi del Real Madrid intonano questo coro. Non è un caso che venga cantato al settimo minuto, perché è al numero sette per eccellenza della storia madrilista che s’inneggia. Raùl Gonzalez Blanco? No. Cristiano Ronaldo? Nemmeno. Per quanto si tratti in entrambi i casi di fuoriclasse di assoluto valore che hanno contribuito e ancora contribuiscono alla storia vincente del Madrid – così lo chiamano in Spagna – è un altro il sette osannato dai tifosi delle Merengues: Juan Gómez Gónzalez, meglio noto come Juanito.
E dire che aveva “rischiato” di diventare un simbolo dell’altra squadra della capitale, l’Atlético.

Il calciatore

Nato a Fuengirola nel 1954, paesino di quella meravigliosa regione di nome Andalusia, a quindici anni Juanito era entrato nelle giovanili dei Colchoneros, e con tale maglia pareva destinato a esordire nella massima serie spagnola. Il destino, però, ha altri piani e una frattura alla tibia non solo gli sbarra la strada verso la prima squadra, ma lo allontana dalla capitale – almeno momentaneamente.
Viene mandato in prestito al Burgos nel 1973, dove risulta decisivo nella vittoria del campionato che porta la squadra castigliana nella massima serie spagnola, dove nel 1976-77 è autore di una stagione straordinaria che gli vale il premio di giocatore dell’anno, assegnato dalla rivista Don Balón.
Non riponendo troppa fiducia nel recupero di Juanito, i Colchoneros decidono di non riscattarlo, uno sgarro che, da buon andaluso dal carattere orgoglioso, Juanito si lega al dito: il suo obiettivo diventa quello di diventare un giocatore del Real Madrid, un sogno che si realizza nonostante le richieste avanzate al Burgos anche dal Valencia e dal Barcellona.

Juanito e la camiseta blanca

Juanito e la camiseta blanca

 

La camiseta blanca, Juanito se la sente come una seconda pelle da subito e, allo stesso modo, l’ambiente madrilista lo adotta come un figlio. D’altra parte, Juanito rappresenta il prototipo di giocatore del quale, per un tifoso come quello del Madrid, che pretende classe, mentalità vincente e dedizione totale, è impossibile non innamorarsi.
Attaccante brevilineo, veloce, tecnico, fortissimo nell’uno contro uno e letale sia in fase di assist che di realizzazione, Juanito sa come infiammare il Bernabeu. Sono i primi anni Ottanta, quelli del Real forse non più forte – anche se sicuramente tra i più forti – di sempre, ma in grado di regalare delle imprese storiche, specialmente tra le mura amiche e in particolare nelle serate europee.
Il leitmotiv sembra sempre essere lo stesso: in trasferta si busca, anche sonoramente, ma in casa si ribalta il risultato. È così, per esempio, che dopo un 2-0 e un 3-1 subiti a Milano contro l’Inter nelle edizioni 1984-85 e 1985-86 della Coppa Uefa Juanito ricorda a fine partita – in italiano – ai giocatori dell’Inter che: «Novanta minuti al Bernabeu sono lunghi». E, infatti, i match di ritorno segnano un 3-0 e un 5-1 che in entrambi i casi consentono al Real di passare il turno per poi trionfare per due stagioni consecutive in una manifestazione ai tempi prestigiosa quasi quanto la Coppa dei Campioni.
Ma la più grande impresa, alla quale Juanito contribuisce con due assist che sarebbe più corretto definire cioccolatini, quel Real la realizza contro il Borussia Moenchengladbach negli ottavi di finale della Coppa UEFA 1985-86.

L'esultanza della Uefa

L’esultanza della UEFA

 

In Germania, le Merengues avevano ricevuto una batosta per 5-1. A Madrid, però, sospinti da centomila tifosi sulle note di Hala Madrid, Juanito e compagni realizzano un’impresa leggendaria: due gol per tempo e un 4-0 che scrive un pezzo memorabile di storia madrilista. Nei minuti di recupero, dopo aver dato come sempre tutto, Juanito viene sostituito per guadagnare secondi preziosi: nell’uscire dal campo il numero 7 alterna corsa e balzi di gioia che mandano i tifosi in visibilio.
Non è, però, soltanto come fuoriclasse dal cuore madrilista che Juanito passerà alla storia: «Nella mia carriera sportiva ci sono sempre stati due io», ammetterà il funambolo andaluso, amaramente e sinceramente pentito dopo uno dei – diversi – scatti di rabbia sul campo che lo portarono a subire pensantissime squalifiche specialmente in campo europeo. A Monaco di Baviera, nella partita di andata della Coppa dei Campioni contro il Bayern, Juanito sale con i tacchetti sulla faccia di Lothar Matthäus meritandosi il rosso diretto e una squalifica internazionale di cinque anni che convince il club a mettere alla porta l’ormai già trentatreenne attaccante.

L’epilogo

La sua carriera di calciatore terminerà a Màlaga, nella sua Andalusia, dove trascina la squadra della città alla vittoria della Segunda Divisiòn e all’approdo nel massimo campionato iberico.
Appese le scarpe al chiodo, Juanito è pronto a una carriera di allenatore che inizia con il Mérida: il carattere, la personalità e la profonda conoscenza del gioco ci sono e l’ex giocatore del Real sembra pronto per un nuovo percorso di successi.
È un destino infame, però, a mettere fine ai suoi sogni: sulla strada da Madrid a Mérida, di ritorno da una partita del Real vista come tifoso al Bernabeu, Juanito viene coinvolto in un incidente mortale.
Ne sono addolorati tutti: famiglia, giocatori ed ex-compagni, unanimemente concordi nel definirlo, nonostante le bizze dettate dal temperamento passionale, un ragazzo molto generoso con tutti. Lo ricorderà per sempre il Bernabeu, dove, allo scoccare del settimo minuto di ogni match del Madrid, puntuale si alza quel coro diventato leggenda: “Illa illa illa, Juanito Maravilla”.

Daniele Canepa
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