Stefano Borgonovo

roberto baggio e stefano borgonovo durante un evento benefico

Roberto Baggio e Stefano Borgonovo durante un evento benefico

 

Una lotta oltre il novantesimo

Ci sono nomi che scopri per caso e ricordi per sempre. Il suo spuntò nella mia vita un giorno del 1989, alla vigilia della gara che la Fiorentina avrebbe dovuto disputare contro l’Inter dei record di Giovanni Trapattoni. Nulla sembrava poter fermare la cavalcata nerazzurra, ma mio padre osò lo stesso punzecchiare un cugino interista: «Occhio ché oggi il “nostro” ve le suona». Il “nostro”, per noi tifosi del Milan, era un giovane centravanti brianzolo in prestito ai viola: fu così che conobbi Stefano Borgonovo.

Come andò lo sappiamo: l’attaccante di Giussano rifilò il gol del 4-3 ai futuri campioni d’Italia, diventando un idolo della curva rossonera prima ancora di calcare l’erba di San Siro, l’anno dopo. Poi il battesimo europeo e il gol decisivo sotto la pioggia di Monaco contro il Bayern, nella semifinale in cui il Milan, forte dell’1-0 dell’andata, per raggiungere Vienna poté accontentarsi del 2-1 dei supplementari.

Di Stefano Borgonovo non mi dimenticai più. Poco importa che la sua carriera, complice un infortunio a un ginocchio, non sia proseguita sui binari tracciati. Poco importa che il tempo abbia fatto il suo corso e nuovi volti e nuove storie si siano avvicendati nell’inarrestabile carrozzone dello sport a conquistare la mia attenzione. Quel nome era lì, nella memoria, fermo come un segnalibro, a richiamare le pagine più avvincenti del calcio che ho vissuto. Ogni tanto, però, è capitato che me lo chiedessi: che fine ha fatto Stefano Borgonovo?

La risposta arriva come uno schiaffo una mattina di settembre del 2008, quando l’ex calciatore annuncia di essere vittima della Sclerosi Laterale Amiotrofica e di non essere in grado di parlare se non con un sintetizzatore vocale. E di colpo rifletti su quanto sia beffarda la sorte, precaria l’esistenza umana, illusoria l’immagine che abbiamo dei nostri campioni. Un minuto prima pensi a Stefano Borgonovo come a un ex atleta, forte e in salute, con una vita agiata, una splendida, numerosa famiglia, insomma uno dalla strada facile. Un minuto dopo, Stefano Borgonovo diventa un eroe tragico, colpito da un destino spietato e imperscrutabile, che rimescola le carte in tavola e muta in sofferenza la gioia.

Invece Stefano è stato semplicemente un uomo che ha rivendicato di esserlo nonostante il dramma, una delle tremilacinquecento vittime italiane di una malattia che non ha esitato a definire la “stronza”. Dolorosa, certo, logorante, ma non tale da impedirgli di credere nel valore di una battaglia. Perché Stefano non è mai uscito allo scoperto per cercare commiserazione, tutt’altro. Ha chiamato a sé le energie migliori del calcio e ha compreso che lo sport può diventare una straordinaria cassa di risonanza riguardo ai temi della ricerca scientifica e della prevenzione.

Se oggi la SLA non è più un tabù, se i malati di SLA hanno potuto presidiare pochi giorni fa il Ministero dell’Economia e strappare la promessa dello sblocco dei fondi per la non autosufficienza, parte del merito è anche della nuova sensibilità sociale che Stefano Borgonovo ha contribuito a costruire in questi anni intorno alla malattia attraverso gli eventi benefici, le attività della Fondazione ONLUS che porta il suo nome, la sua testimonianza.

Vincere la SLA per lui non è stato possibile, ma Stefano può andarsene orgoglioso della sua partita, perché ha saputo guardare lontano, al di là della sua stessa vicenda umana, con la generosità dei grandi, consapevole che un assist vale quanto un gol e che il gol, nella lotta alla malattia, può arrivare anche oltre il novantesimo.

Ecco perché di lui ci ricorderemo tutti.

Graziana Urso
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