Jim Thorpe
La difficile pista di Sentiero Lucente
Il 15 luglio 1912 re Gustavo V di Svezia, consegnandogli la medaglia d’oro per il decathlon, si rivolse al ventitreenne Jim Thorpe con parole che l’olimpionico non avrebbe mai dimenticato: «Signore, lei è il più grande atleta del mondo». Al giovane americano, che aveva già vinto il pentathlon, parve di toccare il cielo con un dito. Riuscì solo a rispondere con un sommesso e poco consono «Thank you, King».
Wa-Tho-Huch (Sentiero Lucente) era nato in una capanna sulle sponde del North Canadian River, nell’Okhaloma, a pochi chilometri da Shawnee. Per lui, figlio della Nazione Algonchina con qualche goccia di sangue irlandese nelle vene, l’infanzia non era stata facile e solo la sua abilità nello sport gli aveva permesso qualche passo avanti nella scala sociale.
Abituato da sempre a cavalcare, nuotare, sparare e tirare con l’arco, non aveva tardato ad emergere in più discipline: i vari college erano arrivati a contendersi un fenomeno capace di assicurare la vittoria nel baseball come nell’atletica o nel nuoto.
Del resto, negli States era già leggendaria la facilità con cui la squadra di Thorpe, il Carslile, si era imposta in una importante competizione studentesca. Nulla di strano, in apparenza, se non che la squadra era composta da un fondista, che aveva corso il miglio… e dal solo Sentiero Lucente, che aveva gareggiato (e quasi sempre vinto) in tutte le altre gare.
L’Olimpiade del 1912
L’Olimpiade di Stoccolma del 1912 era stata la consacrazione internazionale di questo prodigio, in grado di sostenere quindici gare in tre giorni ed ottenere risultati spesso vicini al record del mondo. Tornato in patria, Thorpe ebbe accoglienze trionfali e nulla pareva poter oscurare la sua stella.
Il 6 febbraio del 1913, il giornale dell’Associazione Atletica Statunitense Amateur Athletic Union, pubblicò invece un articolo che avrebbe sconvolto per sempre la vita del giovane pellerossa. In esso Thorpe veniva accusato di aver esercitato lo sport professionistico, avendo giocato per qualche mese del 1909 in una squadra di baseball, con il faraonico stipendio di sessanta dollari.
Purtroppo non si trattava di una boutade: Sentiero Lucente aveva solo cercato di aiutare la madre abbandonata dal marito, ma al CIO non importava nulla. In adesione alle ferree leggi antiprofessionistiche che si era dato (la famigerata Norma 26), il Comitato Olimpico non ebbe scrupoli a togliere all’Algonchino le medaglie vinte in Svezia e a radiarlo dalle classifiche. Nemmeno l’intervento dello stesso Pierre De Coubertin, che riconobbe la buona fede di Thorpe, riuscì ad evitare le assurde sanzioni.
Una triste parabola
Iniziò allora per Wa-Tho-Huch una doppia battaglia, che durò sino alla sua morte. Da un lato, la lotta per la sopravvivenza, che, pur con momenti di relativo benessere (dovuti ancora agli sport, football e baseball in particolare, ora sì praticati da professionista), si trascinò in un patetico declino, tra alcolismo, malattie, lavori precari e persino accattonaggio. Ed in parallelo, la disputa con il CIO per la restituzione delle medaglie, portata avanti sempre con estremo vigore e dignità, ma con esiti deludenti.
Il 28 marzo 1953, in una vecchia roulotte parcheggiata nella periferia di Los Angeles, venne trovato il corpo senza vita del grande Jim Thorpe, Sentiero Lucente. Accanto a lui c’era un ritaglio di giornale, con una sua foto e la didascalia Il più grande atleta del mondo.
Jim fu sepolto in Pennsylvania, nell’antico villaggio indiano di Mauch Chunc, che dal 1956 prese il nome di Thorpe. Con scarsa soddisfazione del defunto, probabilmente.
Il 13 ottobre 1982, adottando una decisione tardiva e tuttavia doverosa, il Comitato Olimpico Internazionale proclamò la riabilitazione ufficiale del pellerossa, e reinserì il suo nome nell’elenco dei vincitori olimpici. Il 18 gennaio 1983, a Los Angeles, il presidente del CIO Juan Antonio Samaranch consegnò ai sei figli di Sentiero Lucente i duplicati delle medaglie vinte a Stoccolma.
Chissà… forse stavolta, nei grandi pascoli del cielo, persino lo spirito dell’Algonchino Wa-Tho-Huch si sarà concesso un sorriso.
Danilo Francescano
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