Daniel Passarella

Daniel Passarella

Daniel Passarella

 

Il difensore cattivo

Sapete cosa disse una volta a fine gara, mentre rientrava negli spogliatoi e un giornalista gli rinfacciava l’ennesimo intervento falloso?

«Voi tutti avete bisogno di calciatori e soprattutto difensori cattivi come me! Così potete puntare il vostro dito del cazzo e dire: “Quello è un calciatore cattivo”. E dopo come vi sentite? Buoni? È l’ultima volta che lo vedete un cattivo come me, ve lo dico io… Avanti, salutate il difensore cattivo!».

Magari il fatto è un po’ romanzato, ma è accaduto veramente. A qualcuno ricorderà la scena del film cult del 1983 di Brian De Palma: Scarface. Il protagonista, interpretato da Al Pacino, in una ipotetica e surreale trasposizione calcistica sarebbe senza dubbio lui: l’argentino purosangue Daniel Passarella.

Il suo attestato di cattiveria sportiva non deve però confondere, né fuorviare. In realtà parliamo di uno dei migliori liberi della storia del calcio sudamericano e mondiale, un condensato supremo di forza fisica, temperamento, tempismo e senso dell’anticipo. Certo, poi la sua storia leggendaria è effettivamente intrisa di carisma e di quell’aggressività che spesso superava i limiti di molti codici, talvolta anche di quello penale.

Il suo soprannome più noto era altrettanto eloquente, visto che “caudillo” è un termine che nasce in Spagna e significa, tutto insieme, “dittatore-leader-autorità”: come dire Duce in italiano, oppure Führer in tedesco. Ma quando lo vedevi giocare con rabbia e determinazione, questi diventavano quasi nomignoli o vezzeggiativi: bastava dire Passarella e agli altri si metteva paura.

Incattivito e spietato fin dall’infanzia? Probabilmente sì. Daniel Alberto Passarella nacque a Chacabuco, vicino Buenos Aires, nel maggio del 1953. Una zona non propriamente per benestanti, ma con un orgoglio senza pari: i suoi genitori erano di origine siciliana e si guadagnavano da vivere con lavori umili, ma onesti. Daniel non era ancora maggiorenne quando fu ingaggiato dal Sarmiento de Junín, il primo club locale che gli diede spazio e fiducia.

Guidato dall’istinto e da una solida tecnica di base, gestiva la fase difensiva come un veterano: deciso, essenziale e capace di aiutare persino i compagni più esperti. Passarella interpretava il ruolo del centrale difensivo usando mestiere e intelligenza, sfruttando un fisico portentoso e scultoreo.

Quando era possibile, aiutava anche la fase offensiva: il gol per lui diventò un marchio di fabbrica, ovviamente in proporzione al ruolo. A favorirlo c’era il suo proverbiale tiro dalla distanza, forte e preciso al tempo stesso; di conseguenza era micidiale sulle punizioni e sui calci di rigore, che perfezionò con gli anni. Daniel era inoltre abile ed essenziale nei colpi di testa e nel gioco aereo.

Passarella con la maglia dell'Argentina

Passarella con la maglia dell’Argentina

 

Nel 1974 passò al River Plate e l’anno successivo debuttò nella nazionale argentina: sono i primi due indizi che lo consacrarono difensore di livello mondiale. Soprattutto con l’albiceleste, dove è tuttora l’unico argentino della storia ad aver vinto due Coppe del mondo: nel 1978 e nel 1986. Nella seconda in realtà non scese mai in campo (pare per dissapori con Diego Maradona), ma era comunque fra i convocati ed è quindi da considerare campione a tutti gli effetti.

Nell’edizione casalinga del 1978, invece, Passarella era filosoficamente parlando “tutto”: capitano, baluardo difensivo, picchiatore, leader, fabbro e regista arretrato. Nella prima fase segnò anche un calcio di rigore contro la Francia di Platinì (2-1 il punteggio finale) ma fu impeccabile in tutto il torneo, che si chiuse col trionfo in finale ai danni dell’Olanda: 3-1 dopo i supplementari e con un altro condimento di polemiche su presunti aiuti arbitrali.

Ma questa è un’altra storia. Per l’Argentina quello del 1978 fu il primo titolo mondiale. Era guidata da Menotti. Daniel Passarella, il numero 19, fu il primo capitano argentino ad alzare al cielo il trofeo più ambito e difficile.

In Nazionale collezionò 70 presenze con ben 22 reti dal 1975 al 1986.

Nel massimo campionato italiano di calcio le frontiere riaprirono proprio all’inizio degli anni ottanta e, per i veri talenti internazionali, la visibilità e gli ingaggi erano un boccone davvero troppo ghiotto per rinunciarci. Insieme a Maradona, Zico, Platini, Rummenigge ed altri più o meno noti, sbarcò nella nostra penisola anche Daniel Passarella, che lasciò il River nel 1982 con in dote 7 titoli, oltre 300 presenze ufficiali e poco meno di 100 reti realizzate.

Firmò per la Fiorentina, piazza caldissima e a tratti agguerrita come lui, un matrimonio che sembrava azzardato ma che si rivelò felice. Giocò in Toscana per quattro stagioni, ambientandosi bene nel nostro calcio e confermandosi per l’ennesima volta libero e difensore di primissimo livello. Con lui sul ponte di comando e leader del gruppo, la Fiorentina fu un’ottima protagonista nel campionato di serie A (viola terzi in classifica nel 1984 e quarti nel 1986). E Passarella si fece rispettare, come nel passato, anche in zona gol: 35 reti comprendendo anche le coppe(ben 11 nel campionato 1985-86 con Agroppi allenatore). Incrociò in quegli anni la leggenda di Giancarlo Antognoni, e con lui Giovanni Galli, il carioca Sócrates, Oriali, Pin e il giovane Berti. Soprattutto, e ci tocca raccontare questa divertente curiosità, si ritrovò come compagno in difesa Claudio Gentile (pure lui classe 1953).

Già, proprio lui: l’altro “cattivo” per eccellenza del calcio mondiale. Quei due insieme mordevano caviglie, lottavano come mastini e esaltavano i tifosi della Fiesole, che un giorno scrissero: «Cominciate a piangere, attaccanti! Con Passarella e Gentile pure i terroristi hanno paura».
Meglio girare al largo, in effetti…

Restò ancora due stagioni in Italia, firmando con l’Inter di Trapattoni e del presidente Pellegrini. Talvolta Passarella perdeva smalto, e forse lui stesso ne era consapevole; il tempismo e la capacità d’anticipare l’attaccante si stavano lentamente dissolvendo, e (cosa incredibile) perdeva qualche contrasto. Riuscì comunque a garantire un discreto rendimento, grazie all’esperienza e al Dna del giocatore di classe e temperamento. L’aggressività, poi, era sempre al top anche se in una circostanza salì qualche gradino di troppo: dalla foga al nervosismo fino alla follia…

Daniel, nello specifico, finì sul banco degli imputati durante la partita Sampdoria-Inter. I liguri erano in vantaggio, un raccattapalle provò a fare il furbo cercando di temporeggiare e perdere tempo nel restituire un pallone finito sul fondo. Davanti a tutti e senza pensarci mezzo secondo, Passarella lo ingiuriò, mise in dubbio le origine materne e soprattutto lo prese violentemente a calci. Qualcosa di mai visto prima. Si scatenò un inevitabile putiferio, persino i compagni lo abbandonarono al suo destino. Arrivò una maxi squalifica, seguirono le scuse e un parziale tentativo di conciliazione col ragazzo ma servì a poco.

Passerella con la maglia viola della Fiorentina

Passerella con la maglia viola della Fiorentina

 

A 35 anni tornò al River Plate dove chiuse la carriera di calciatore per poi intraprendere, con gli stessi amati colori, quella di allenatore. Tutto sommato anche come tecnico Passarella si è sempre disimpegnato egregiamente, collezionando titoli e gestendo squadre di primo livello. In seguito allenò in Messico, in Brasile e persino in Italia, un breve cameo con il Parma: soprattutto fu il CT della Nazionale argentina(dal 1994 al 1998) e di quella uruguaiana. Non sappiamo se, col passare degli anni, Daniel sia ancora più antipatico o se si sia finalmente addolcito.

Ma una cosa è certa: nel mondo del calcio attuale, in mezzo a tante maschere ipocrite e meschine, manca un volto come il suo.

Daniel Passarella in campo era cinico e durissimo. Cattivo?
Forse, ma di certo un campione.
E soprattutto non ha mai barato…

Lucio Iaccarino
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