Storia 6 – I Giochi panmediterranei

Pugile in riposo (bronzo, I secolo AC)

Pugile in riposo – bronzo, I secolo a.C . (Roma, Museo Nazionale Romano)

 

L’ascesa di Roma

Abbiamo visto in precedenza come le vicende politiche abbiano influenzato in maniera decisiva le vicende dei grandi Giochi ellenici. Le stesse basi fondanti dell’agonismo sacro vennero alterate col decrescere della centralità della Grecia nel mondo classico.

La purezza di stirpe ellenica divenne progressivamente un requisito molto meno selettivo, se non da ignorare, almeno da aggirare con stratagemmi più o meno occulti e criteri molto relativizzati. In tal modo, quelli che avevano costituito il momento più alto dell’esaltazione della grecità, i Giochi Sacri, finirono per aprirsi sempre più alle diverse etnie degli imperi di Alessandro prima e di Roma poi. Negli elenchi dei vincitori figurarono così con frequenza crescente atleti provenienti dall’intero bacino mediterraneo. La religiosità delle manifestazioni, da secoli sempre più disattesa, finì per ridursi a poco più di un aspetto formale, una copertura di facciata che nascondeva a malapena la realtà fatta di denaro e di pressioni di vario genere.

Non deve quindi sorprendere il diffuso stato di corruzione che minava dall’interno la credibilità e il prestigio dei Giochi Sacri. Durante le 112e Olimpie del 332 a.C., ad esempio, Kallippos di Atene si assicurò la vittoria nel pentathlon comprando i favori degli avversari, ma fu scoperto e sanzionato con una forte multa. Riferisce Pausania che gli ateniesi inviarono agli ellanodici (i giudici olimpici) uno dei più famosi oratori del tempo, Hypereides, per convincerli a ritirare l’ammenda, senza però che questi riuscisse ad ottenere lo scopo prefissato. Tra proteste, boicottaggi e ripicche, la cosa si trascinò per tre edizioni, sinché l’Oracolo di Delfi, interpellato, comunicò che non avrebbe più vaticinato per nessun ateniese se la multa non fosse stata pagata. Atene dovette cedere, per non rimanere esclusa da quello che rimaneva pur sempre il momento simbolo della civiltà ellenica. Una vicenda insomma emblematica del clima palesemente degradato che oramai sottostava ai grandi appuntamenti agonistici.

La scomparsa degli ideali agonistici

Il formarsi di un organismo statuale panmediterraneo accelerò in maniera esponenziale questi fenomeni, e portò alla definitiva scomparsa degli ideali agonistici dell’epoca d’oro dell’olimpismo. Le avvisaglie dell’imminente irrompere della potenza romana nell’Ellade propriamente detta (poiché molte delle colonie greche erano già da tempo nell’orbita della Repubblica) precedettero di molti decenni l’ufficialità dell’annessione. Per gli aspetti che qui interessano, il fatto più eclatante avvenne nell’ultima parte del III Secolo a.C.. Tramanda infatti Polibio che la possibilità per i cittadini romani di partecipare ai Giochi Sacri fu data per la prima volta dalla municipalità di Kòrinthos nel 228 a.C., quando Roma intervenne a protezione delle rotte tra l’Italia e l’Egeo contro i pirati illiri, obbligando la loro regina Teuta a non inviare navi armate a sud di Lisso. La gratitudine delle città greche si concretizzò per l’occasione in gesti simbolici: Atene concesse la cittadinanza e la partecipazione ai misteri e Kòrinthos, appunto, l’ammissione alle Istmie.

Mappa di Isthmia, sede dei Giochi Istmici

Mappa di Isthmia, sede dei Giochi Istmici

 

Il muro era caduto. Come era già successo nel caso dei sovrani macedoni, l’Urbe poteva ora se non impadronirsi della titolarità, almeno instaurare una progressiva egemonia sulle più sacre e basilari manifestazioni della prestigiosa e antica civiltà ellenica.

Per comprendere come l’arrivo dei romani abbia potuto avere con tanta facilità ragione di secoli di tradizione, occorre in primo luogo considerare il complessivo contesto greco. La poco propizia situazione in cui era precipitata già nel periodo ellenistico l’economia del paese si era ulteriormente aggravata in epoca tardo-repubblicana, anche a causa delle guerre civili romane che avevano spesso interessato il territorio greco. L’attività economica aveva finito per arrestarsi quasi completamente, facendo dell’Ellade una delle zone più depresse del bacino Mediterraneo e incidendo pesantemente anche sulla capacità attrattiva dei giochi.

La conquista romana del 146 a.C. fornì la spinta definitiva al processo in atto. Le nuove condizioni storiche portarono nel volgere di qualche decennio da un lato all’universalizzazione dei giochi ellenici in generale e delle Olimpie in particolare, e dall’altro alla completa mutazione del loro ruolo politico e sociale. L’agonismo si trasformò in un qualcosa di completamente nuovo, in adesione alla diversa concezione che Roma da sempre aveva sviluppato in materia, essenzialmente legata alla spettacolarità dell’evento e al suo uso molto spesso strumentale nel rapporto tra governanti e cittadini.

Il gesto atletico, l’esibizione armonica dell’individuo in competizione con altri per una vittoria almeno formalmente ancora a carattere sacrale perse la sua centralità. L’atleta divenne un mero interprete che doveva conquistare la vittoria, ma solo per ottenere il favore del pubblico, vero protagonista, destinatario ed attore allo stesso tempo, dei giochi. Era lo schema consolidato del ludus romano: gli spettatori elevavano l’atleta (o ancor più l’auriga o il gladiatore che fosse) a vertici di popolarità assoluta, gli spettatori medesimi ne decretavano il declino o la caduta.

Sin dall’instaurarsi del governo romano e in misura maggiore con il trascorrere del tempo, la stessa struttura organizzativa dei Giochi fu più volte costretta a subire l’interferenza del potere centrale. Nell’anno 80 a.C. il dittatore Lucio Cornelio Silla, per celebrare il suo trionfo su Mitridate, convocò nell’Urbe tutti gli iscritti alle gare delle 175e Olimpie, e ad Olympia poté effettuarsi solo una corsa giovanile. Nel 65 Nerone rinviò l’effettuazione dei Giochi Olimpici, di quelli Istmici e di quelli Nemei, cui intendeva partecipare, interrompendo la scansione ciclica dell’evento senza curarsi della tradizione.

Lucio Cornelio Silla

Lucio Cornelio Silla (Venezia, Museo Archeologico)

 

Non che la nuova situazione che si era creata portasse solo conseguenze negative, e la totale subordinazione alla visione romana dell’agonismo fu anzi in una certa misura premiante. La già richiamata estensione della partecipazione degli atleti, inevitabile a causa della struttura sovranazionale dell’immenso Stato romano, con il tempo si riflesse infatti in un recupero di parte del prestigio del Circuito classico.

La crescita degli ingaggi

Un esempio tra i tanti che si potrebbero fare riguarda uno dei fenomeni che si erano da molti anni instaurati nei giochi ellenici, incrementandosi senza soluzione di continuità, quello dell’accrescersi degli ingaggi. La questione, che già nell’epoca d’oro aveva consentito ad alcuni atleti di accumulare fortune enormi, aveva assunto rilievo ancor maggiore in età romana, in coerenza quanto visto poc’anzi riguardo alla concezione dell’agonismo. Nei primi secoli dell’era cristiana, il discorso professionistico era ormai giunto ad uno stadio così avanzato che a Roma e nell’Impero erano sorte autentiche corporazioni di atleti.

Per dare un’idea dell’entità dei guadagni possibili, nel II Secolo d.C. in Asia Minore un atleta ricevette 30 mila dracme per la sola sua partecipazione ai giochi locali. Poiché un soldato dell’epoca era pagato 225-300 dracme all’anno, la cifra corrisponde a quanto un legionario avrebbe guadagnato in cento anni. E non si trattava certo di giochi importanti.

Gli alti premi che venivano pagati ai partecipanti dovevano essere recuperati con l’aumento del pubblico. Nulla veniva pertanto trascurato per attirare gente e denaro.

il Nynphaeum di Erode Attico

il Nynphaeum di Erode Attico

 

Come conseguenza positiva, si ebbe perciò una rinascita urbanistica e strutturale dei siti deputati ai Giochi, in particolar modo di Olympia. Nel 153, per esempio, Erode Attico completò un acquedotto che portava l’acqua potabile da quattro chilometri di distanza, convogliandolo in una splendida fontana monumentale, il Nynphaeum. Venne così ovviata, almeno in parte, la cronica siccità che rendeva il luogo quasi intollerabile sotto i raggi del sole, al punto che uno degli uomini più savi dell’antichità, Talos di Míletos, vi aveva trovato la morte durante i 58i Giochi del 548 a.C., sia pure in età molto avanzata, e venne in tal modo attenuato uno degli ostacoli principali all’afflusso di spettatori.

Anche dalla diretta benevolenza dei governanti romani giunsero poi interventi di un certo rilievo. La stessa Olympia, come tutte le altre località visitate da Nerone durante il suo viaggio agonistico del 66-67, uscì arricchita sul piano architettonico dal soggiorno del principe. I luoghi sacri vennero infatti abbelliti con un nuovo recinto alberato, ornato di are e di statue, le porte del Santuario furono rese monumentali, vennero inaugurate delle Terme e una sontuosa villa fu edificata per dare degna ospitalità all’Imperatore. Adriano, il sovrano più filo-ellenico dell’intera storia di Roma, oltre a dotare Atene di splendidi edifici (ancora in parte visibili) e a numerosi interventi in città minori, curò la messa in opera a Kòrinthos di un acquedotto che attingeva l’acqua dal mitico lago Stýmphalos.

l'imperatore Adriano

l’imperatore Adriano (Roma, Musei Capitolini)

 

Così, parlando della 236a edizione del 165, Luciano di Samosata poteva ancora scrivere che Olympia era gremita di folla ed era difficile trovar posto per soggiornare in maniera accettabile.
Naturalmente, gli spettatori di epoca imperiale ci appaiono oggi profondamente dissimili da quelli del periodo classico: in larga maggioranza si trattava di individui di provenienza eterogenea, del tutto ignari e disinteressati di ogni valenza etica o culturale dei giochi. In certi casi, verosimilmente, solo arricchiti che desideravano esibire la loro partecipazione come simbolo di opulenza. E gli stessi atleti non erano meno decaduti. Di giganti come Milon di Kroton o Kilon di Pátrai, nei luoghi che li avevano visti trionfatori quasi pari agli Dei si aggiravano ormai solo le ombre. Sostituiti da mestieranti che se ora riuscivano ad infiammare il facile gusto degli spettatori, erano destinati a sparire nelle nebbie del tempo. Uomini che il grande medico Galeno di Pergamon, che certo non avversava l’attività fisica, descrisse con un molto poco lusinghiero raffronto con i maiali: “Si vede infatti come l’intera loro esistenza sia riassunta nelle cose che seguono: o mangiano, o bevono, o dormono, o evacuano o si rotolano nella polvere e nel fango”.

Galeno di Pergamon (1865)

Galeno di Pergamon (litografia di Pierre Roche Vigneron – 1865)

 

 

Limiti non da poco, certamente, ed anzi fortemente penalizzanti. Pur con questi limiti, tuttavia, rimane ineludibile il fatto che i primi due secoli dell’Impero videro una seppur parziale ripresa dell’agonismo classico, un ultimo momento di splendore prima di una lunga fase di grigiore ed anonimato. Il principato di Adriano segnò l’estremo momento di vera gloria dell’istituto agonistico ellenico, e gli restituì un prestigio che sopravvisse con alterne fortune sino all’epoca degli Antonini e dei Severi, per poi stemperarsi in una stanca prosecuzione di riti superati e in una spettacolarità del tutto fine a sé stessa.

Alla metà del III secolo d.C., quelli che erano stati i grandi giochi panellenici, pur conservando come tratto distintivo l’ineliminabile fascino della tradizione, erano ormai ridotti ad appuntamenti quadriennali non dissimili, e forse meno importanti di molti altri in uso nel mondo romano.

Danilo Francescano
© Riproduzione Riservata

 

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