Numismatica Sportiva – 2

AV Statere di Filippo (g 8,6). In basso la consueta scritta ΦΙΛΙΠΠΟΥ.

AV Statere di Filippo (g 8,6). In basso la consueta scritta ΦΙΛΙΠΠΟΥ.

 

Agonismo e monetazione greca – II p.

Dalla Magna Grecia, e specialmente dalle colonie dell’Italia del Sud, ci sono giunti un gran numero di varietà legate al mondo dell’agonismo.

Purtroppo le esigenze di relativa brevità che sono un parametro ineludibile in questa sede, impongono una selezione severa, necessariamente limitata alle monete che, per qualche motivo, emergono sulle altre.

Ragioni estetiche e una relativa novità raffigurativa impongono innanzitutto la citazione di una dei più bei coni di tutta la numismatica greca, il decadramma attribuito agli incisori Myron e Polyainos, emesso ad Akragas (Agrigento) attorno al 410-406 a.C..

La moneta, ricercatissima dai collezionisti e conosciuta in meno di dieci esemplari, fu emessa per celebrare Exaénetus, due volte vincitore nello Stadion, la corsa di velocità: la più antica e più importante gara del programma olimpico. Narra Diodòro Siculo che al ritorno dal suo secondo e consecutivo trionfo (nella 92° Olimpia del 412 a.C.), Exaénetus fu condotto in città in processione attraverso una breccia aperta per l’occasione nelle mura, a bordo di un carro cui facevano seguito non meno di trecento altre bighe trainate da cavalli bianchi.

Il recto del decadramma presenta una quadriga, rappresentata con incredibile forza espressiva, guidata da un personaggio radiato, dai più interpretato come Febo Apollo. In alto, invece della Nīkē alata, vola un aquila, chiaro riferimento allo Zeus Olimpio. E due aquile, una ad ali spiegate ed una ad ali chiuse, appaiono anche nel verso, con una lepre tra gli artigli: si tratta di una rappresentazione nuova, molto verosimilmente legata ad alcuni versi del drammaturgo Eschilo. Bisogna infine ricordare che si conoscono vari altri coni agrigentini con rovescio analogo e il recto modificato per alcuni aspetti: il loro fascino però risulta senza dubbio minore.

AR Decadramma di Akragas  (Agrigento) (g 42.42), coniato nel 410-406 a.C.

AR Decadramma di Akragas (Agrigento) (g 42.42), coniato nel 410-406 a.C.

 

Altra moneta molto interessante, è  il tetradramma emesso a Katane (Catania) tra il 405 e il 402 a.C.. Il verso di questo esemplare, che reca sul recto un ritratto frontale di Apollo, è vivo come una fotografia. I quattro cavalli, rappresentati con arte veramente eccelsa da Choirion (le cui iniziali Choi sono incise nel campo),  sembrano voler uscire dalla moneta: una scena dinamicamente perfetta, tanto che è appena il caso di ricordare la Nīkē alata che, in alto, si appresta a coronare il vincitore. L’auriga, che conduce una quadriga, impugna nella mano destra un pungolo, e tiene saldamente le redini, preparandosi a girare attorno alla colonna che costituisce la méta. Non si può non associare la stupenda incisione ai consigli che il saggio Nestore dà al figlio Antiloco nel libro XXIII dell’Iliade: «Spingi accosto il carro e i cavalli fino a sfiorarlo [il segnale della méta] / e nella cassa ben intrecciata piégati, intanto, / un po’ a sinistra di quelli; il cavallo di destra / pungola e sgrida, allentando le redini, / e il cavallo sinistro ti sfiori la méta, / tanto che sembri quasi raggiungerla il mozzo / della ruota ben fatta; ma non toccare la pietra, / che tu non ferisca i cavalli e non fracassi il carro: / gioia per gli altri, ma biasimo a te ne verrebbe!» (Trad. Rosa Calzecchi Onesti).

AR Tetradramma di Katana (Catania) (ø 29 mm - g 14,44),  coniato nel 405-402 a.C.

AR Tetradramma di Katana (Catania) (ø 29 mm – g 14,44)
coniato nel 405-402 a.C.

 

La Pamphylia è la regione che si affaccia sul Golfo di Antalya, di fronte all’isola di Cipro. Già dal nome (Παμφυλία significa terra di tutte le stirpi) è facile comprendere che la colonizzazione greca dell’area ebbe matrici molto diverse. In particolare la città che interessa in questa sede, Aspendos (o Estwediis), traeva le sue origini dall’antichissima Argo. Per secoli il tipo principale della sua monetazione fu costituito da una preziosa serie di stateri raffiguranti sul recto una scena di lotta e sul verso un fromboliere all’atto del lancio.

La scena di lotta è rappresentata in tutta la sua drammaticità, nel momento in cui uno dei due lottatori cerca, con uno sgambetto, di atterrare il rivale. Talvolta con variazione di posizioni tra un’emissione e l’altra, il conio testimonia quanto lo spirito sportivo permeasse la cultura dell’Asia Minore greca: monete molto simili per raffigurazione furono per esempio emesse a Selge nella limitrofa Pisidia, tra il 330 e il 190 a.C.. Non è certo un caso se proprio in Asia Minore, sia pure a centinaia di miglia di distanza, sia sopravvissuta l’ultima enclave olimpica di tutto l’Impero Romano, Dafne di Antiochia, che continuò ad organizzare giochi sino all’età giustinianea.

AR Statere di Aspendos (Estwediis) (g 10,93). Questa emissione risale al 400–370 a.C.

AR Statere di Aspendos (Estwediis) (g 10,93).
Questa emissione risale al 400–370 a.C.

 

Due varianti del recto (410 e 370 a.C.)

Due varianti del recto (410 e 370 a.C.)

 

È impossibile trattare i tipi monetali greci legati all’agonismo senza soffermarsi sulle meravigliose e ammiratissime emissioni di Filippo II di Macedonia, il padre di Alessandro Magno, che accortamente intravide nella partecipazione ai Giochi Sacri un modo per inserire a pieno titolo il suo paese nella grande famiglia ellenica.

Filippo poté per ben tre volte proclamarsi campione olimpico, e in concorsi diversi, pur senza partecipare di persona, in quanto proprietario dei cavalli vincenti. La prima vittoria il sovrano la conquistò nella 106a Olimpia del 356 a.C., nella corsa dei cavalli. Secondo la tradizione, il re ebbe la notizia del trionfo lo stesso giorno di luglio in cui nacque suo figlio Alessandro. Per  pubblicizzare al massimo il successo, traendone così  il più grande vantaggio possibile, Filippo e dopo di lui Alessandro provvidero all’emissione di una serie di monete d’argento e bronzo, di incontestabile valore artistico. I tipi sono tutti molto simili e rappresentano sul recto Zeus Olimpio o, in alcuni casi, Apollo Delfo, e sul verso un giovane a cavallo, recante un ramo di palma a simboleggiare la vittoria. Tanto per non far sussistere dubbi, si pensò bene di aggiungere la scritta φιλιππου ([moneta] di Filippo), da cui il nome Philippéioi con il quale tutti i numismatici conoscono i coni.

AR Tetradramma di Filippo II (g 13.98), coniato ad Amphipolis tra il 356 e il 336 a.C.

AR Tetradramma di Filippo II (g 13.98)
coniato ad Amphipolis tra il 356 e il 336 a.C.

 

AE 16 di Filippo II (ø 16 mm -  g 5.9). Da notare che il cavaliere è privo di palma

AE 16 di Filippo II (ø 16 mm – g 5.9)
Da notare che il cavaliere è privo di palma

 

La seconda vittoria olimpica di Filippo si registrò nell’Olimpia seguente, la 107del 352 a.C., questa volta nella gara delle bighe. Di nuovo, il re macedone non mancò di pubblicizzare il suo trionfo, approfittando anche di un fatto che gli permise la disponibilità di molto oro: la conquista della città di Krenides (futura Filippi) e della miniera del Monte Pangeo.

Iniziò da allora la coniazione di monete auree di peso equivalente ad una emidramma attica (8,6 gr.), recanti al recto Apollo Delfo o, secondo alcuni, Ares e al verso una biga lanciata al galoppo.

AV Statere di Filippo (g 8,6). In basso la consueta scritta ΦΙΛΙΠΠΟΥ.

AV Statere di Filippo (g 8,6). In basso la consueta scritta ΦΙΛΙΠΠΟΥ.

 

Le emissioni continuarono lungo tutto il regno di Filippo, nonostante il terzo successo olimpico riguardasse la corsa delle quadrighe, non arrestandosi neanche con l’assassinio del re, avvenuto nel 336 ad opera di un ufficiale della propria guardia, Pausania, forse istigato da un potente Santuario greco. In un certo modo, una forma di nemesi storica.

Siamo ormai non lontani all’instaurazione del dominio romano sul Mediterraneo. Proprio agli anni della guerra tra Pirro e Roma va accreditato un didramma piuttosto singolare coniato a Tarentum. Antica colonia spartana, Taras eccelleva per l’abilità e il coraggio dei propri cavalieri, ricercati come mercenari in tutto il mondo antico. E appunto un cavaliere, armato con scudo e lancia, è rappresentato  sul diritto di questa finissima moneta, nell’atto di saltare dal cavallo in corsa. Si tratta della proposizione di un momento particolare delle gare ippiche che ai nostri giorni appare più una dimostrazione di abilità che un esercizio atletico. Il cavaliere doveva infatti risalire in groppa e continuare la gara, nella simbolica simulazione di uno scenario di battaglia. Esistevano poi anche gare di cavalle, da cui, ad una certa distanza dall’arrivo il cavaliere doveva smontare, per condurle di corsa e con le redini cortissime fino al traguardo. Il didramma, che porta al rovescio una rappresentazione molto comune sui coni tarantini (Taras, uno dei mitici fondatori della città, in groppa ad un delfino) è verosimilmente collegato agli Hyakinthia,  i giochi in onore di Giacinto, ucciso secondo il mito dal disco scagliato dal suo amante Apollo durante una gara. Gli Hyakinthia tarentini, ad imitazione di quelli celebrati a Sparta, duravano tre giorni e si tenevano nei  pressi di un luogo conosciuto appunto come il Tumulo di Giacinto.

AR Didramma di Taras (Taranto) (g 7,75),  coniato nel 280-272 a.C.

AR Didramma di Taras (Taranto) (g 7,75), coniato nel 280-272 a.C.

 

Una splendida moneta, che conclude degnamente questa veloce panoramica sulla monetazione greca connessa all’agonismo.
La monetazione romana raccoglierà solo in parte l’eredità ellenica, con tipi certamente meno eleganti e meno variati di quelli esaminati, ma non privi di un certo interesse. Questo però sarà oggetto di una futura pubblicazione.

Danilo Francescano
© Riproduzione Riservata

 

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