Storia 9 – Tra Repubblica e Impero

Il Trionfo di Cesare (Andrea Mantegna 1484-1492)

Il Trionfo di Cesare (Andrea Mantegna 1484-1492)

 

L’atletismo nell’età di Cesare e di Augusto

Ventidue anni dopo le cosiddette Olimpiadi Sillane, nel 58 a.C., Marco Emilio Scauro volle dar risonanza al proprio periodo di edilità con uno spettacolo anche agonistico di un fasto senza precedenti, che determinò la realizzazione del più grande edificio che si fosse mai visto a Roma.

Si trattava di un teatro immenso, costruito su tre ordini, sorretti da 360 colonne, alte ognuna 38 piedi, poi riutilizzate nella casa paterna dell’edile, sul Palatino, e, in età augustea, per il Teatro di Marcello. Il più basso degli ordini era in marmo, il secondo con intarsi di vetro, e l’ultimo in legno. Ornato da 3.000 statue di oricalco, l’edificio poteva contenere 80.000 spettatori. Plinio il Vecchio ne parla a lungo, disapprovandone l’inutile sfarzo, mentre l’unico altro testimone, Valerio Massimo, si limita a citare l’athletarum certamen proposto come munificentia, senza fornire ulteriori commenti.

Negli anni che seguirono, le manifestazioni di stampo agonistico mantennero un carattere molto sporadico e scarsamente attestato dagli auctores.

In proposito, va detto che se pure destinate a non raggiungere mai a Roma e nella parte occidentale dell’Impero il favore di cui furono oggetto le corse equestri e gli spettacoli gladiatorii, le gare ricalcate sul modello olimpico godettero da subito di un buon successo di pubblico. In definitiva il popolo romano, e presumibilmente quello del resto delle province occidentali, se riservò l’autentica passione agli aurighi o ai più famosi gladiatori, mantenne verso gli agones un atteggiamento di buona partecipazione, accorrendo agli spettacoli e seguendo con interesse le vicende degli atleti più in auge.

A rivelarsi determinante per lo scarso diffondersi degli athla fu perciò l’opposizione della parte più tradizionalista della classe dirigente romana e di una grossa componente degli intelletti migliori dell’ultima età repubblicana e dei secoli successivi. Molti tra gli auctores, a cominciare dallo stesso Tito Livio, si fecero interpreti di una visione generale riduttiva e conservatrice, talvolta associandola esplicitamente alla convinta disapprovazione (di origine elitaria o nella migliore delle ipotesi politica) verso gli spettacoli di massa.

Cicerone, strenuo avversario degli athlas alla greca

Cicerone, strenuo avversario degli athla alla greca

 

È questo il caso di uno dei massimi esponenti della cultura latina del I Secolo a.C., Cicerone. Il disprezzo dell’oratore nei confronti dell’agonismo di derivazione greca è evidente in tutta la sua produzione. Acuto osservatore delle vicende contemporanee, l’arpinate aveva compreso come l’indizione di spettacoli pubblici iniziasse ad essere strettamente legata alla ricerca del consenso. Una posizione negativa la sua che, partendo dal lato ideologico e politico, si concretizzava in un rifiuto intimamente sentito e senza appello.

Un modello intellettuale del tutto diverso fu quello incarnato dal grande avversario di Cicerone, Giulio Cesare. Uomo di personalità complessa e affascinante, Cesare si fece carico di un progetto politico innovativo e rivoluzionario. Il suo contrasto con la classe conservatrice e il suo rapporto privilegiato con i ceti più aperti e progressivi lo portò a rivolgersi con favore a quello che andava rapidamente configurandosi come il principale momento di incontro tra la sua persona e il popolo romano: i giochi. Ossia, proprio la situazione che Cicerone temeva e desiderava evitare.

Abilissimo organizzatore di spettacoli sin dagli inizi della sua carriera pubblica, nel 65 a.C in qualità di edile curule, Cesare superò davvero ogni anteriore esempio in materia nei quaranta giorni durante i quali (dal 10 agosto al 1° ottobre  del 46 a.C.) si tenne la celebrazione dei suoi quattro trionfi. Oltre che dai sontuosi cortei che celebravano le vittorie del dittatore in Gallia, Egitto, Ponto e Africa, Roma fu letteralmente invasa in ogni quartiere da continui spettacoli musicali e danze. Una parte  di sicuro rilievo la ebbero anche gli agoni alla greca, per disputare i quali, specifica Suetonio «athletae stadio ad tempus extructo regione Marti campi certauerunt per triduum».

Non sono purtroppo noti ulteriori particolari circa queste gare, che Suetonio (come vedremo  altre volte deciso oppositore delle costumanze elleniche) cita senza particolare enfasi nell’elenco dei festeggiamenti.

È comunque con il nipote ed erede di Cesare, Ottaviano, che la situazione inizia a mutare, seppure con la gradualità tipica di tutta l’opera del primo imperatore. Sua è infatti l’organizzazione nell’Urbe di vari agones, e sue sono la creazione di Giochi atletici in Italia e nelle province, nonché la riorganizzazione di importanti manifestazioni già in essere.

Per comprendere questa apparente contraddizione in un personaggio che volle caratterizzarsi soprattutto come il grande restauratore della romanitas, occorre rivolgersi in primo luogo alla sua formazione culturale. Per quanto le travagliate vicende degli anni giovanili gli abbiano impedito di completare la sua educazione con il classico viaggio in Grecia e nell’Oriente ellenistico, Ottaviano aveva infatti avuto modo di conoscere la tradizione greca e familiarizzarsi con essa, assorbendone gli indirizzi migliori. Sul piano personale inoltre, come tramanda Suetonio, Augusto fu per tutta la vita amante dell’esercizio fisico.

Guanto di pugilatore (Frammento bronzeo da Ercolano, I Sec. d.C.)

Braccio di pugilatore (frammento bronzeo da Ercolano, I Sec. d.C.)

 

Non deve quindi sorprendere che il principe abbia organizzato in Roma due spettacoli di atleti, e un terzo a nome di un nipote, come ricorda egli stesso con orgoglio nelle Res Gestae. Innovazioni che non sfociarono comunque mai nel tentativo di istituire nell’Urbe giochi ciclici di ispirazione greca. Appare ovviamente verosimile che sia stata l’esigenza di evitare contrasti con il Senato a suggerirgli una relativa prudenza verso le istituzioni sportive elleniche, sempre invise a buona parte dell’aristocrazia di pensiero e di governo dell’Urbe.

 Che tuttavia il comportamento relativamente innovatore di Augusto non sia stato casuale, e vada visto in direzione di un indirizzo ideologico e politico, è in ogni caso confermato dall’interesse che Augusto pose nella creazione di nuovi eventi o nella riforma di manifestazioni già esistenti nel resto dell’Impero.

Riguardo alle province orientali, per esempio, a lui va attribuita l’istituzione dei Giochi di Antiochia in Siria, che sarebbero durati sino al VI Secolo (ultimi in ordine di tempo ad essere soppressi), e di Nikopolis in Egitto, città fondata essa stessa dal principe con intenti celebrativi. Ancor più importante fu l’azione di rinnovamento degli Aktia, una manifestazione minore che si teneva con cadenza triennale presso il tempio di Apollo Aktios sulla collina sovrastante il Sinus Ambracius, proprio nel luogo cioè dove Ottaviano aveva posto il suo campo prima della battaglia di Azio.

Per dare il massimo risalto possibile agli eventi del 31 a. C., Augusto ingrandì gli antichi Aktia e li spostò a Nikopolis, il nuovo centro urbano da lui voluto ai piedi del promontorio. La riforma, che ne cambiò la periodicità in quadriennale, accrebbe enormemente l’importanza dei Giochi, cui il principe conferì da subito valenza commemorativa della trionfale battaglia navale, ma anche  di incitamento alla comunione culturale e politica tra Romani e Greci.

Sulla base di tali presupposti, i Nea Aktias andarono a costituire il primo elemento del nuovo circuito di giochi (Nea Periodos) che si formò nel I secolo, complemento romano all’ellenico antico circuito (Archaia Periodos) di Olimpie, Pizie, Istmiche e Nemee.

Sempre all’età augustea risale il primo dei grandi eventi agonistici periodici a tenersi sul suolo italico. Non è senza significato che la nuova istituzione, gli Ἰταλικὰ Ῥωμαῖα Σεβαστὰ ἰσολύμπια (Italika Romaia Sebastà isolimpia), si origini proprio a Neapolis, un luogo cioè di consolidata koiné ellenistica.

Corona marmorea simboleggiante i Sebastà

Corona marmorea simboleggiante i Sebastà

 

I Sebastà (ossia gli Augustei) si svolsero per la prima volta  nel 2 a.C. per ringraziare l’Imperatore del suo intervento dopo un terremoto ed un incendio, entrambi forse dovuti ad un’eruzione del Vesuvio, che avevano devastato la città. Cassio Dione insinua che più che alla riconoscenza per il principe, la festa fosse stata istituita per l’amore dei partenopei verso la tradizione ellenica. In questo senso è stato ipotizzato che i Sebastà abbiano sostituito una celebrazione precedente in onore della dea Partenope, o che rappresentino l’ampliamento di una qualche commemorazione decretata da Augusto sul modello degli Aktia.

I Giochi erano noti, sino a pochi anni or sono, quasi esclusivamente grazie ad un’iscrizione marmorea ritrovata ad Olympia, purtroppo molto lacunosa, che ha tramandato dati preziosi sulla preparazione e sulle regole, e per sporadici accenni di Suetonio e di Strabone.

I partecipanti giungevano a Neapolis trenta giorni prima delle gare per iscriversi presso l’agonoteta, e ricevevano una dracma giornaliera a titolo di rimborso spese. Le gare, che si svolgevano ogni quattro anni nella prima metà di agosto, erano divise tra quelle effettuate dai giovani dai 17 ai 20 anni, per i quali, nei giorni precedenti la gara, la diaria veniva aumentata a due dracme al giorno, e quelle riservate agli adulti, per i quali la cifra compenso saliva a tre dracme. A questo riguardo, l’uso della moneta greca come unità di compenso appare del tutto comprensibile se riferito al carattere totalmente ellenico della manifestazione.

In generale le gare dei due circuiti si conformavano a regole comunemente accettate e valide ovunque. I Sebastà di Neapolis, come dimostra del resto la stessa qualifica di isolimpici, non sembrano aver fatto eccezione, anche se col tempo vennero accettate alcune piccole modifiche alle modalità del pugilato e della corsa a staffetta, la lampadedromia. I Giochi dovevano quindi comprendere la corsa su varie distanze, la corsa con le armi, la lotta, il pancrazio, il pugilato, il quinquertium (il pentathlon greco, composto da corsa dello stadion, lancio del disco e del giavellotto, salto in lungo e lotta) ed infine le gare equestri per bighe e quadrighe, svolte forse in un ippodromo che sorgeva sul sito dell’attuale Piazza Garibaldi.

A partire dal 2004, gli scavi per la nuova metropolitana di Napoli hanno riportato alla luce migliaia di importantissimi reperti, che consentono un quadro più ampio dei Sebastà, tuttora in fase di evoluzione. In particolare, un’iscrizione marmorea ha permesso l’identificazione del sito del Tempio del Divo Augusto, cui vanno riportati i più di 400 frammenti rinvenuti, che dovevano ricoprire il muro del portico perimetrale. Alcune lastre ricostruite riportano anche i nomi dei vincitori e hanno consentito la fondata ipotesi che la processione finale si concludesse proprio al Tempio, di cui sono stati già ritrovati il podio, la pavimentazione e pezzi di colonna.

Frammento di lastra ritrovato a Napoli

Frammento di lastra ritrovato a Napoli

 

L’elenco di vincitori, datato alla fine del II Secolo, registra un’alta presenza di atleti provenienti dalla zone fortemente ellenizzate dell’Asia Minore. Esso conferma l’assoluto rilievo assunto dai Sebastà nel mondo romano: può essere indicativo che l’unico nome maschile locale che appare sia quello dello scrittore Giulio Valeriano.

La scoperta più importante è però quella che, contrariamente all’uso olimpico, le donne potevano partecipare su un piano di parità con gli uomini: in particolare, i frammenti fanno riferimento ad una certa Thalassia di Efeso. Prima delle scoperte napoletane il solo nominativo già noto era quello di Seia Spes, unica altra campana ed occidentale tra i vincitori, una puteolana che nel 154 trionfò nella gara di corsa.

In conclusione, da quanto detto risulta evidente che il principato d’Augusto, quali che siano state le reali intenzioni dell’Imperatore, segnò una sorta di spartiacque anche in materia di agonismo. Il trapianto dell’atletismo alla greca in Roma ne risultò tutt’altro che avvenuto, ma si trattò indubbiamente di un primo importante passo. Un passo che in talune parti dell’Impero e persino a pochi chilometri dall’Urbe finì per assumere caratteristiche addirittura decisive.

Danilo Francescano
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