Storia 12 – Il lungo tramonto delle Olimpie

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Olympia: le rovine del Metroon

 

I Giochi dimenticati

Avevamo lasciato la storia delle Olimpie all’inizio del loro definitivo tramonto, subito dopo l’effimero momento di splendore in epoca Antonina, in modo particolare durante il regno del filoellenico Adriano (cfr. VI parte).

Ricostruzione di Olimpia

Ricostruzione di Olimpia

 

I Giochi, che sino a questo momento, pur tra alti e bassi avevano sempre conservato una loro centralità nella vicenda agonistica dell’età romana, alla metà del III secolo si stavano rapidamente riducendo ad un appuntamento minore, privo di reale prestigio ed attrattiva. La situazione economica della provincia di Acaia, probabilmente la più depressa dell’Impero, costituiva per i Giochi Sacri un formidabile ostacolo al mantenimento di un livello concorrenziale nei confronti degli altri giochi mediterranei, e si stava ormai creando un ciclo vizioso, cui alla diminuzione degli spettatori faceva riscontro la scarsa partecipazione dei migliori atleti.

Ad aggravare la situazione durante il regno di Gallieno, attorno al 260, l’Impero, e in particolare l’Italia e la provincia ellenica, fu colpito da una terribile pestilenza. Secondo Trebellio Pollione (Historia Augusta) nel periodo più acuto il numero delle vittime ammontava a 5.000 persone giornaliere. Anche se il dato va interpretato con le dovute cautele, essendo tra l’altro privo di qualsiasi verifica metodologica e di ogni riferimento geografico, la gravità dell’epidemia appare comunque innegabile.

A questo avvenimento sembrano infatti ricollegarsi i vari ritrovamenti in Grecia di epigrafi riguardanti inni in onore di Asclepio (il dio della medicina, l’Esculapio latino). Sempre alla pestilenza va forse ricondotta la visita dell’Imperatore in persona nel 264-265, che, dopo aver consultato gli Oracoli Sibillini e compiuto sacrifici a Iuppiter Salutaris, come narrato dalla Historia, sostò a lungo ad Atene.

Gallieno - Ritratto su aureo

Gallieno – Ritratto su aureo

 

È stato inoltre ipotizzato che durante il soggiorno Gallieno abbia istituito le feste Askleplieia (attestate con certezza solo durante il suo regno) e proceduto al restauro dell’Askleplieion, il santuario del dio ad Atene, usato per le cure agli ammalati.

L’interesse imperiale nei confronti di Atene, oltre a testimoniareil filoellenismo del principe, parrebbe in definitiva confermare una situazione di profonda crisi della città, e dell’intera provincia di Acaia, che la pestilenza aveva senza dubbio contribuito ad aggravare.

Ciononostante, le Olimpie sopravvivevano e la loro definitiva cessazione era ancora lontana. Certo in tono minore, certo con visibilità ridotta, ma la tradizione millenaria non si interruppe. Come tuttavia è facilmente intuibile, in corrispondenza a questo problematico quadro generale, le notizie che ci sono pervenute attorno allo svolgimento dei Giochi in epoca post-severiana e prima dell’età costantiniana sono scarse e frammentarie.

Della 255a edizione del 241 sono noti i trionfatori del pentathlon (Publius Asklepiades, di Corinto), della corsa delle quadrighe (il ricco ateniese Titus Domitius Prometheus), e di una gara sconosciuta (Aurelius Germanus, di Antinoe). In quella successiva, la 256a del 245, si imposero un non meglio identificato Tiberius Claudius Gratianus Diodorus (cui appartiene l’ultima registrazione di culto pervenutaci), e l’araldo Valerius Eclectus, di Sinope. In gare sconosciute del 249 (257i Giochi) vinsero poi Aurelius Peius, di Daldis, e un anonimo ateniese. Il già citato Valerius Eclectus aveva infine prevalso altre tre volte, nel 253, 257 e 261: a lui fu dedicata (nel 261) l’ultima statua eretta ad un vincitore.

L’ultima corsa di cavalli di cui sia pervenuta traccia è stata a sua volta situata alla metà del secolo.

Nel 267-268 si aggiunse infine un ulteriore, drammatico fattore: una disastrosa invasione da parte degli Eruli devastò le province balcaniche, giungendo a mettere a ferro e fuoco la Grecia.

L'invasione degli Eruli nel 268-270

L’invasione degli Eruli

 

Partiti con 500 navi dalla foce del Dnestr, i barbari non riuscirono ad espugnare alcune città sulle coste del Mar Nero, e dilagarono allora verso le rive dell’Ellesponto. Bisanzio, Crisopolis, Lemnos, Scyros furono saccheggiate in rapida successione, e sorte analoga subirono Corinto, Sparta e Argo.

Le devastazioni su larga scala interessarono vaste porzioni della provincia ellenica e la stessa Atene fu distrutta completamente nel corso del 268, con la sola eccezione dell’Acropoli. I barbari, affrontati e sconfitti dai generali greco-romani Kleodamos e Atheneos, incaricati della difesa da Gallieno, si inoltrarono poi attraverso la Grecia Centrale in Epiro, Macedonia e Tracia.

Nel 269 mosse contro di loro l’esercito imperiale, al comando dello stesso imperatore Claudio e del generale Aureliano. A Naisso di Mesia (l’odierna Niš, in Serbia), durante una cruenta battaglia che causò la morte di 50.000 invasori, l’orda germanica fu completamente distrutta.

Claudio commemorò il trionfo militare assumendo il soprannome di Gotico, ma la Grecia era ridotta allo stremo, e non si riprese mai completamente dal disastro.

La minaccia dell’invasione aveva costretto l’intera provincia acaica a provvedimenti urgenti e spesso improvvisati. Per tentare di far in qualche modo fronte al pericolo e difendere il Tempio di Zeus contenente la statua di Fidia, ad Olympia era stato costruito in tutta fretta un muro perimetrale difensivo.

La cosa aveva comportato l’abbattimento di alcuni edifici fuori e dentro il Santuario, tra cui il Metroon, un piccolo periptero dorico (m 6×11) della fine V- inizio IV secolo a.C., ridedicato in epoca augustea e preposto al culto degli imperatori; il Leonidaion; ed il Portico di Eco. Le mura provviste di torri, che inglobavano oltre al Tempio anche il buleuterio fino al Portico meridionale, sviluppandosi per circa 94×110 metri, erano state poi costruite con ex voto e con il materiale di risulta proveniente dai monumenti demoliti.

La fortificazione contro gli Eruli

La fortificazione contro gli Eruli (da www.archeologia.unipd)

 

In realtà il sito di Olympia pare non aver subito danni dalla terribile invasione, essendo fortunatamente rimasto ai margini dall’itinerario seguito dagli Eruli, ma, come detto poco sopra, quando le truppe barbare si erano ritirate dalla provincia di Acaia, avevano lasciato alle loro spalle un paese stremato e impoverito all’estremo.

Il passaggio dei barbari e la devastazione da loro operata su larga scala aveva infatti inflitto una gravissima alterazione al normale corso della vita greca in ordine sia all’andamento economico, che a quello sociale e demografico: pur in assenza di distruzioni dirette nei luoghi sacri, l’attività agonistica dovette necessariamente risentire della cesura causata dai tragici avvenimenti.

Ciò non autorizza tuttavia a teorizzare, come è stato fatto in passato, la sospensione dei Giochi. Anche se è ragionevole pensare che l’invasione degli Eruli abbia ulteriormente compromesso la situazione di Olympia, la quasi totale mancanza di notizie è del tutto spiegabile ipotizzando che nell’Acaia devastata dagli Eruli semplicemente non si tenessero più i registri ufficiali.

Di recente poi, in accordo con questa linea di pensiero e a confermare la continuità dei Giochi, un ritrovamento archeologico ha fornito qualche nominativo dell’epoca post-invasione. Si tratta di un frammento di piatto bronzeo tornato alla luce durante gli scavi del 1994 nella zona sud-ovest di Olympia, che certifica la provenienza di atleti del III (e anche del IV) secolo da una sfera panellenica e persino da altre province.

In nessun modo quindi non solo la mera sopravvivenza, ma anche la regolare successione delle Olimpie ai fatti del 267-268, è dunque oggi contestabile.

Per completezza, va poi detto che ai vincitori citati poco sopra si devono aggiungere, in epoca posteriore all’invasione erula, Dionysios, di Alessandria, nello stadio del 269 (262i Giochi); e Aurelius Sarapammon di Oxyrhynchos in una gara ignota del 277 (264i Giochi). Dopo di loro, mancano totalmente notizie di olimpionici sino all’età costantiniana.

La provenienza eterogenea degli olimpionici noti nel periodo in esame (ed quindi il residuo interesse mantenuto nel mondo romano), non impedisce tuttavia di affermare che nella seconda metà del III secolo i Giochi fossero ormai ridotti a competizioni impoverite nell’interesse collettivo. L’enorme divario quantitativo di testimonianze archeologiche e letterarie rispetto all’epoca precedente (le liste dei funzionari del culto olimpico, ad esempio, cessano a partire dal 265) e l’assenza di evidenze archeologiche dimostrano carenze di ordine commemorativo e cultuale, pur non implicando sospensioni di sorta.

Per concludere il discorso, è in definitiva legittimo supporre che le Olimpie post-invasione, pur nella regolarità del ciclo quadriennale, fossero ormai disputate in forza della sola tradizione e con un appeal lontanissimo da quello di anche solo pochi decenni prima.

Mentre tuttavia nella Grecia propriamente detta l’agonismo stava vivendo un momento oscuro, la situazione si manteneva piuttosto diversa nelle province più ricche dell’Impero, dove gare e manifestazioni ludiche continuavano, e per qualche decennio avrebbero continuato, a svolgersi con regolarità e amplissimo seguito.

Danilo Francescano
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