I Kalenijn: la tribù dei corridori
L’impero atletico keniota
In principio fu Kip Keino, poi arrivarono Henri Rono, Wilson Kipketer e Paul Tergat, fino ai campioni di oggi Wilfred Bungei e Pamela Jelimo. Stessa terra d’origine, il Kenya, stesso sangue nelle vene, quello di una tribù che dalle colline della Rift Valley ha imposto il proprio dominio ovunque si corra una gara di fondo e mezzofondo: i Kalenijn. Tre quarti degli ori olimpici kenioti sono loro. E il Kenya – solo a Pechino – ha conquistato più della metà del medagliere nelle corse di lunga distanza. A cosa si deve la schiacciante supremazia atletica di un’etnia di appena tre milioni di persone?
I Kalenijn vivono in una regione attraversata dall’equatore, a un’altitudine di duemila metri; il clima mite – giornate tiepide e bassa umidità – garantisce riserve d’ossigeno superiori alla media quando si scende al livello del mare. Una capacità aerobica che nelle competizioni sportive può fare la differenza. Tuttavia, i Kalenijn non sono l’unica tribù keniota a godere di simili condizioni ambientali. Che dire, poi, delle popolazioni del Perù e del Nepal?
Un’altra tesi ascrive la superiorità fisica dei corridori della Rift Valley alle loro abitudini alimentari. Popolo di pastori, i Kalenijn si nutrono di latte e carni rosse, ma il loro piatto principale è l’ugali, una sorta di polenta che integra con l’apporto di carboidrati una dieta molto proteica. Fino a trent’anni fa, un regime alimentare così completo per i podisti kalenjin rappresentava davvero un vantaggio, ma oggi tutti gli atleti seguono programmi dietetici scientifici, in grado di coprire in toto il fabbisogno energetico della prestazione sportiva.
La verità, secondo il giornalista keniota John Manners, è che i Kalenijn sono nati per correre. Un’idea empirica, forse approssimativa, ma non infondata, se si tiene conto che già i faraoni li reclutavano nell’esercito egizio a difesa del regno, avendone notato la velocità e la capacità di reagire alle emergenze in tempi rapidi.
I Kalenijn si sposano tra loro e solcano da secoli la Rift Valley al seguito delle loro mandrie. Di più: sono abituati a correre sotto pressione. C’è infatti un dato antropologico che si somma a quello genetico: la tribù keniota ammette il furto di buoi come tentativo di rimpossessarsi di un bene considerato proprio per diritto divino, finito per errore in mani altrui. Un abile predone è in grado di sottrarre le mandrie al suo legittimo proprietario e di guidarle fino a casa per molti chilometri. Una prova di velocità e resistenza che gli consente di acquisire prestigio sociale: più buoi possiede, più mogli può acquistare, più figli può mettere al mondo. La riproduzione delle sue doti atletiche è garantita.
Ma la capacità dei Kalenijn di stringere i denti non è solo un dono genetico. La loro è una civiltà originariamente guerriera, che sottopone i giovani a prove di forza fin dalla più tenera età in vista della circoncisione, che per i maschi segna il passaggio dall’infanzia all’età adulta. È vero che questa pratica è diffusa tra molte altre tribù africane, ma chi ha assistito a una cerimonia Kalenijn è pronto a giurare sulla sua peculiare durezza. Coraggio, sopportazione della sofferenza, determinazione sono i valori comunitari che un ragazzo è chiamato a difendere affrontando un’operazione molto dolorosa, durante la quale è severamente vietato anche un sussulto, pena l’esclusione sociale. Quale atleta che abbia superato da adolescente un simile rito può considerare ardua una gara olimpica?
Eppure, fino a Pechino, proprio la corsa più faticosa tra quelle di lunga distanza rappresentava per i Kalenijn un tabù: nessun podista keniota aveva mai vinto la maratona, vuoi per i tempi della selezione olimpica – in passato gli atleti kenyoti erano costretti a una preparazione-lampo, ottenendo il pass per i Giochi solo poche settimane prima del loro inizio – , vuoi per la difficoltà ad adattarsi a un clima umido – da Seul ad Atene, le Olimpiadi si sono svolte in contesti ambientali poco idonei a valorizzare le qualità aerobiche dei corridori Kalenijn.
In Cina, però, il Kenya ha rotto gli indugi anche in questa disciplina, grazie all’oro del compianto Samuel Kamau Wanjiru – scomparso un anno fa in un tragico incidente all’età di 25 anni – guardacaso di padre Kalenijn. E a Londra lo scorso aprile la tribù della Rift Valley ha conquistato la trentaduesima edizione della maratona sia nell’evento maschile sia in quello femminile, rispettivamente con Wilson Kipsang e Mary Keitany.
Entrambi torneranno nella capitale britannica per tentare l’impresa olimpica in una nazionale che può permettersi il lusso di lasciare a casa il recordman mondiale Patrick Makau. Con fuoriclasse quali Moses Mosop, Abel Kirui, Edna Kiplagat e Prisca Jeptoo in squadra – tutti di origini Kalenijn – , c’è il serio rischio che ai prossimi Giochi anche la maratona, come molte altre discipline atletiche, diventi un campionato regionale.
Graziana Urso
31/05/2012
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