Storia 2 – Dal mito a Olympia

 

cerimonia a Olympia (© Youth Olympic Games)

cerimonia a Olympia (© Youth Olympic Games)

 

L’evoluzione sociale dello sport

Abbiamo visto nella puntata precedente che Iliade ed Odissea sono le fonti letterarie più antiche nei riguardi dell’agonismo ellenico.

Una tradizione orale tra le più note retrodata a sua volta di qualche generazione i prodromi dell’olimpismo. Il mito di Pelope (per inciso, nonno dell’omerico Agamennone) racconta di come il giovane, sacrificato agli dèi dal padre, abbia riavuto la vita dall’impietosito Zeus. Fu proprio per celebrare questo suo miracoloso ritorno sulla terra che Pelope allestì un torneo di lotta simulata (il krátos), presto seguito da gare di pugilato e corsa. Quando poi Pelope unificò un vasto territorio sotto il suo dominio (il Peloponneso), i Giochi assunsero carattere ciclico, pur senza mai avere una cadenza stabilita.

Ovviamente, il tema fu ripreso da molti autori che ne alterarono i contenuti o proposero versioni alternative. Mentre, ad esempio, il poeta Pindaro, nella prima ode Olimpica, ripropose la leggenda di Pelope con varianti notevoli, il geografo Pausania attribuì ad Eracle il merito di aver istituito i Giochi, facendo gareggiare i suoi cinque fratelli nella piana della futura Olympia e premiando il vincitore con una corona d’ulivo.

Spogliati i molteplici racconti dalle sovrastrutture narrative, si può comunque accettare senza troppi problemi che già vari secoli prima della nascita dell’Olimpiade nell’Ellade si svolgessero con una certa regolarità competizioni a carattere agonistico.

Prima di cominciare il discorso sui Giochi Olimpici (e su quelli meno famosi, ma egualmente importanti che completavano l’arkáia periodos – il circuito antico – , come i Pitici o i Nemei), occorre precisare che, quasi contemporaneamente e in tutt’altra parte d’Europa, un popolo dette origine ad una saga sportiva destinata a durare per quasi duemila anni.

Antichi giochi nordici

Nell’Irlanda del VII secolo a.C. iniziarono infatti a svolgersi regolarmente Giochi assimilabili a quelli ellenici, pur se inseriti nel quadro più ampio della Aonach Tailteann (Fiera di Tailteann). La manifestazione, che attirava partecipanti da tutta la Gran Bretagna e persino dalla Francia del Nord, si teneva presso l’odierna Teltown, nella contea di Meath, a nord-ovest di Dublino. Cominciava con una sessione per così dire ufficiale, in cui veniva data notizia delle leggi entrate in vigore di recente, cui facevano seguito una serie di attrazioni più popolari: oltre alle gare sportive, erano previsti tornei tra guerrieri, competizioni musicali e letterarie e anche un mercato di nozze, il cosiddetto Marriage Barter. La consegna dei premi avveniva l’ultimo giorno della Fiera, abitualmente conclusa da un sontuoso banchetto collettivo.

Come le Olimpiadi (con le quali non pare vi fosse alcuna connessione diretta), anche i Tailteann Games vantavano origini mitiche. Un testo del XII Secolo, The Ancient Book of Leinster, ne attribuisce l’istituzione, nel 632 a.C., a Lugh, figlio adottivo della regina Tailte, sposa iberica di Maghmor, ultimo sovrano della dinastia Filborg. Il programma di gare veniva svolto in un unico giorno, e comprendeva gare di corsa, lanci, salti, lotta, pugilato, nuoto e tuffi.

La Aonach Tailteann, tradizionalmente lunga sei giorni e situata in periodo estivo, ebbe una vita lunghissima, essendo stata abolita solo con l’invasione normanna dell’Irlanda, nel 1169. Un tentativo di riprendere i Giochi in ambito panbritannico fu effettuato nel 1924 a Dublino, ma negli anni seguenti l’interesse per l’avvenimento diminuì e la cosa fu lasciata cadere.

La saga irlandese conferma che, negli ultimi secoli prima dell’Era Cristiana, il bisogno del confronto sportivo accomunava ormai larga parte del mondo mediterraneo e occidentale. In Egitto ed in Persia, ad esempio, era diffuso nel V secolo a. C. un gioco molto simile al tennis, e sempre in Egitto si svolgevano nello stesso periodo competizioni natatorie.

Fu in ogni caso con la prima Olimpiade del 776 a.C. che l’agonismo assunse finalmente carattere istituzionale, e a giusta ragione si può considerare questa la data della nascita ufficiale dello sport.

Vale la pena di segnalare innanzitutto come il sito su cui sarebbe sorta Olympia abbia rivestito sin dall’età Micenea un carattere di sacralità, ideale per una manifestazione che giunse a coinvolgere tutto l’universo ellenico.

Se dobbiamo prestar fede alla tradizione orale, l’inviolabilità fu estesa, per volere dell’Oracolo di Delfi, il più sacro della Grecia antica, a tutta la regione, l’Elide. Al Popolo di Zeus che la abitava il dio Apollo, parlando per bocca della sacerdotessa Pizia, avrebbe concesso di restare lontano dalle guerre per dedicarsi all’organizzazione dei Giochi. In particolare, secondo Pausania, fu il re dell’Elide Ifito, su consiglio del legislatore spartano Licurgo, il fondatore dei Giochi Olimpici e l’istitutore della tregua olimpica, l’Ekecheiría (letteralmente “tenere tese le mani per prendere”). Ovviamente, la leggenda è un poetico (e posteriore) travisamento della realtà storica, avendo ottenuto Olympia il riconoscimento della neutralità e della panellenicità dei giochi solo nel 570 a.C., dopo la vittoria su Pisa.

Ancora una volta, il mito conferisce dimensione poetica al bisogno di pace che doveva essere ben presente nell’Ellade dilaniata dalle continue lotte fra Poleis. Probabilmente, fu proprio tale bisogno a far sì che la tregua fosse rispettata con rigore. L’annuncio della sospensione delle guerre veniva dato nell’imminenza delle gare, per permettere a coloro che lo desideravano di viaggiare verso Olympia in sicurezza. Il testo che stabiliva l’Ekecheiría, inciso su uno scudo di bronzo, era esposto nel tempio di Zeus, e le armi non potevano più entrare nel territorio dell’Elide: persino le esecuzioni capitali e le dispute legali erano sospese. In realtà, secondo Tucidide, in un’occasione, i Lacedemoni ruppero la tregua attaccando la cittadina fortificata di Leprea, ma la loro infrazione fu punita con una lunga esclusione dalle gare ed una multa salatissima di duecentomila dracme (una dracma era il compenso giornaliero di un lavoratore).

Per dirla tutta, proprio l’entità della multa dimostra quanto per l’Elide i Giochi fossero importanti sul piano economico. È in effetti impossibile quantificare il flusso di denaro turistico, il portato cioè degli spettatori, in media quaranta-cinquantamila a gara, tutti assiepati sulle colline intorno allo stadio e disposti ad affrontare la calura dei cinque giorni d’estate, l’assenza di ombra, di acqua potabile e di servizi igienici, pur di assistere ai Giochi. Ancor più arduo poi ricostruire l’entità della ricchezza generata da donazioni delle città degli atleti gareggianti ai templi e agli Dei, per ingraziarsene i favori (assieme a quelli dei giudici, s’intende).

Lo stadio di Olympia

Non si deve tuttavia pensare che le Olimpiadi assumessero sin dalle origini il carattere definitivo, né la loro simbologia piuttosto strutturata. Secondo le ricerche dell’Istituto Archeologico Germanico, lo stadio di Olympia fu costruito sopra un insediamento preistorico proprio attorno al VI secolo a.C., ma non risale certo a quest’epoca e alle prime edizioni il giuramento olimpico, con il suo palese riferimento alla corruzione. Ce lo ha tramandato nel II secolo d.C. Pausania, autore dei dieci libri della Periegesi della Grecia, che così lo descrive: [nei pressi della statua di Zeus Horkios (Garante)] «… gli atleti e gli allenatori sono soliti giurare sopra i genitali recisi di un cinghiale che da parte loro nessun imbroglio verrà compiuto nei confronti delle gare olimpiche. Inoltre, gli atleti giurano di essersi preparati con scrupolo per dieci mesi consecutivi. Giurano poi quelli che giudicano i ragazzi o i puledri dei cavalli concorrenti: emetteranno un giudizio non influenzato da doni e manterranno il segreto su ciò che riguarda chi è stato accettato e chi non lo è stato».

Olympia (© Wired Tourist)

Olympia (© Wired Tourist)

 

Del resto l’elenco dei vincitori olimpici, che è giunto sino ai nostri giorni, dimostra con chiarezza che le prime edizioni dei Giochi ebbero carattere locale, risultando gli atleti tutti provenienti dall’Elide. Il primo vincitore ufficialmente riconosciuto ce lo tramanda lo storico siracusano Timeo. Fu un cuoco proveniente di Olympia, Kóroibos, che s’impose nel 776 avanti Cristo nella gara di velocità, l’unica di quella Olimpiade. Sembra che i concorrenti partissero da una barriera delimitata da una corda, lasciata cadere per dare inizio alla competizione, un po’ come avviene oggi nella mossa del Palio di Siena. La lunghezza corrispondeva ad uno stadio, ossia a 192,27 m., pari secondo la leggenda a seicento orme o misure del piede di Eracle (o secondo altre fonti di re Ifito): trentadue centimetri. Da tale distanza, passata poi ad indicare l’intero complesso ospitante, deriva tra l’altro il nostro vocabolo stadio.

Danilo Francescano
© Riproduzione Riservata

 

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