El Salvador – Honduras

Militari in campo per El Salvador-Honduras

Militari in campo per El Salvador-Honduras

 

Le prima guerra del calcio

«Mi piacciono gli italiani: vanno alla guerra come fosse una partita di calcio e vanno ad una partita di calcio come fosse la guerra». Chi non ricorda questa celebre frase di Winston Churchill? Il particolare atteggiamento battagliero con il quale si affronta una partita di calcio, però, non appartiene naturalmente soltanto a noi italiani. Si è detto e ridetto, infatti, che una partita di pallone è in fondo come una piccola battaglia: due piccoli eserciti di rappresentanza che si affrontano sul campo da gioco in uno scontro trasfigurato. Ma al di là dei luoghi comuni, c’è stata una volta in cui una partita è diventata davvero una guerra, nel vero senso del termine. E questa è l’incredibile storia della “Prima guerra del calcio”, quella che scoppiò tra El Salvador e Honduras nel 1969, l’estate prima dei Mondiali di calcio in Messico.

Il contesto geopolitico

I mondiali di calcio in Europa sono una cosa, in Sudamerica decisamente un’altra. Ecco perché appare chiaro, sin dalla fine degli anni Sessanta, che l’imminente edizione che si giocherà in Messico sarà caratterizzata da una forte componente politica. Per diversi motivi, se vogliamo, c’è una situazione decisamente comparabile a quella del 1950. Tanto per cominciare un’efferatissima giunta militare, guidata da Emílio Garrastazu Médici – figlio di un italiano – ha preso il potere in Brasile ed ha intenzione di utilizzare la kermesse per i propri scopi di propaganda, a cominciare dall’inno che ha fatto comporre da Miguel Gustavo per i calciatori della Seleção dal titolo Pra frente Brasil, avanti Brasile. Ancora una volta, dunque, lo sport viene utilizzato per aizzare il più becero nazionalismo e l’isteria patriottica di un Paese, e anche per allungare le maglie del potere personale dei governanti.

La giunta militare che prese il potere in Brasile

La giunta militare che prese il potere in Brasile

 

Al dittatore brasiliano, infatti, non piace per nulla che il suo giocatore preferito, Dario José dos Santos (il terzo cannoniere brasiliano di sempre, dopo Pelé e Romario), meglio conosciuto come Dadá Maravilha, non sia stato convocato, e per di più il mister sembra non considerare più Pelé perché secondo lui è miope e dunque non è più così utile alla causa. Médici è contrariato e s’incarica di farlo sapere all’allenatore Joào Saldanha, il quale, palesemente uomo di sinistra, non manca di rispondergli: «Senta, lei si preoccupi dei suoi ministri, che dei miei calciatori mi preoccupo io». Si oppone al regime anche una giovane tifosa dell’Atlético Mineiro, Dilma Rousseff, l’attuale presidente del Brasile, che infatti finisce in carcere per ventidue giorni, dove subirà pesanti torture.

Una rivalità politica

Attraverso l’organizzazione di questo Mondiale, in Sud America si cerca di dimenticare quello che, per tanti aspetti, è stato il decennio forse più drammatico della storia latinoamericana del ventesimo secolo, caratterizzato da falliti tentativi di riforme, colpi di Stato e dittature militari. Storie simili in tutta l’America latina, cui non fanno eccezione gli stati di El Salvador e dell’Honduras, due piccole nazioni dell’America Centrale. Nonostante la vicinanza, anzi proprio a causa di questa, i rapporti tra i due stati non sono idilliaci. Stretti l’uno sull’altro si sono sempre contesi il golfo che affaccia sull’Oceano Pacifico, il Golfo di Fonseca, ottimo per l’attracco delle navi poiché non esposto agli uragani, che appartiene all’Honduras.

Poi c’è un problema legato all’immigrazione, poiché da quando gli Stati Uniti hanno istallato le piantagioni della United Fruit Company in El Salvador, il Paese si ritrova con un aumento della popolazione che non sa come gestire; allora più di 300.000 disoccupati salvadoregni emigrano in Honduras. Nonostante gli immigrati possano rappresentare una risorsa, sono e restano pur sempre immigrati e, si sa, appena le cose vanno male in un Paese ecco che diventano loro il capro espiatorio. I primi a protestare sono i campesiños, i contadini, che questi immigrati non li volevano neanche prima. Ed ecco che, alla prima crisi economica che porta un po’ di guai anche in politica, per evitare di non perdere ulteriori consensi il governo decreta l’espulsione degli immigrati: che se ne tornino tutti da dove sono venuti. El Salvador ovviamente non la prende bene, anche perché ci sarebbe una Convenzione sull’immigrazione che hanno firmato entrambi i paesi e dunque si va incontro ad un grave illecito internazionale. Così sulla stampa di El Salvador parte una campagna denigratoria nei confronti dei vicini, verso i quali comincia una serie di attacchi e insulti feroci su tutti i giornali nazionali, in televisione – bastardi voi, no voi – e anche tra ambasciate e governi.

Un Mondiale conteso

È dunque questa la situazione nell’ultima fase dei preliminari valevoli per l’ultimo posto disponibile per il mondiale in Messico. El Salvador ed Honduras hanno vinto quasi tutte le partite e si giocano la la semifinale assieme ad Haiti e Stati Uniti, che si affronteranno proprio in quei giorni.
Ora, il regolamento prevede che i quattro semifinalisti si sfidino in due partite, una di andata e l’altra di ritorno, nei due campi. Ecco dunque che la prima partita si gioca l’8 giugno in Honduras, Estadio Nacional “Francisco Morazàn” di Tegucigalpa. Per evitare problemi si decide che la nazionale salvadoregna passerà solo una notte a Tegucigalpa, e così i giocatori, e il commissario tecnico prendo un alberghetto in gran segreto: scendono lì.

Il segreto, però, si viene a sapere presto, e dopo poche ore l’albergo viene circondato da un gruppo di tifosi dell’Honduras che prendono a sassate le finestre dei giocatori e fanno un chiasso infernale, battono pentole e coperchi e suonano i clacson delle auto, per tutta la notte. La polizia non interviene. La mattina dopo c’è ancora gente. Bisogna andarsene, e in fretta, pensa l’allenatore di San Salvador. Ma durante la notte le ruote del pullman della squadra sono state tranciate. In un modo o nell’altro, allo stadio ci arrivano. E la partita si gioca.

Un’atmosfera esplosiva

Nonostante sugli spalti i tifosi scatenino un inferno, e nonostante non abbiano riposato per tutta la notte, i giocatori dell’El Salvador riescono a tenere quasi fino alla fine la partita sullo 0-0. Ma ad un minuto dallo scadere Leonard Wells, un difensore, prende la palla, dribbla un po’ di attaccanti, si spinge in avanti e segna, uno a zero per l’Honduras.

La prima battaglia – metaforica, per ora – la vince l’Honduras, ma una prima vittima – vera, stavolta – viene già registrata. È Amelia Bolaños, una ragazza di El Salvador. Amelia ha diciotto anni, è una tifosa sfegatata della nazionale e sta seguendo la partita alla televisione. Quando Wells segna e l’arbitro fischia la fine, Amelia corre nella camera da letto di suo padre, prende una pistola che tiene nel cassetto, se la punta alla testa e si spara. «La giovane non ha retto al dolore di vedere la sua patria in ginocchio», scrive il giorno dopo El Nacional, il quotidiano principale di El Salvador, e il governo decreta addirittura i funerali di Stato.

Scontri tra tifosi all'interno dello stadio

Scontri tra tifosi all’interno dello stadio de la Flor Blanca di El Salvador

 

La settimana dopo, il 15 giugno, l’atmosfera in cui si gioca la partita di ritorno è a dir poco esplosiva. Stavolta è l’Estadio de la Flor Blanca di San Salvador ad ospitare l’incontro. Dopo che i tifosi hanno restituito il favore durante la notte sotto l’albergo della nazionale onduregna – lanciando contro l’edificio stracci puzzolenti, topi morti e uova marce – il giorno dopo i calciatori arrivano allo stadio scortati dall’esercito con i carri armati, mentre sugli spalti e fuori muoiono accoltellati due tifosi dell’Honduras, e si registrano decine di feriti e macchine incendiate. Con questo clima, i giocatori dell’Honduras pensano solo a finire in fretta la partita e tornarsene a casa. Chi se la sente di giocare, o peggio segnare, in quella situazione? Infatti El Salvador vince 3-0. E meno male, dicono i giocatori, altrimenti ammazzavano anche noi. Segna al 27’ su rigore Juan Ramón Martínez, raddoppia tre minuti dopo Elmer Acevedo e chiude la partita al 41’ ancora Martínez.

Ora, visto che il risultato è pari – non esiste ancora la regola dei gol fuori casa che valgono doppio – bisogna giocare anche lo spareggio. Campo neutro, stavolta, a Città del Messico, nell’Estadio Azteca, non ancora teatro della Màs grande tra Italia e Germania. Cinquemila poliziotti presidiano l’esterno dello stadio, e nel frattempo in campo, quasi per un cinico scherzo del destino, la partita sembra non finire mai. Infatti ci vogliono i supplementari per decidere il vincitore.

Intanto la tensione e l’odio crescono sugli spalti, tra le tifoserie avversarie che quasi non seguono più l’evento sportivo. Al centesimo minuto però c’è un’azione confusa nell’area dell’Honduras, vola un calcione e l’arbitro fischia il calcio di rigore a favore di El Salvador. Sulle gradinate c’è chi esulta e chi invece si arrabbia per l’ingiusta decisione – ma anche se non lo fosse stata, poco importa – e già abbandona lo stadio per continuare fuori la battaglia che si sta giocando in campo. Tiro di Mauricio Alonso Rodríguez Lindo e gol, l’El Salvador va a giocarsi la finale per andare ai mondiali.

Un tragico epilogo

Ma non è più ormai questa la questione, e probabilmente non lo è mai stata. La “partita”, infatti, non finisce lì. La sera stessa della partita il governo dell’Honduras, a causa dei morti e dei feriti, rompe le relazioni diplomatiche con quello di El Salvador. El Salvador parte all’attacco il 14 luglio, per una Guerra de legítima defensa, bombarda l’esercito nemico e invade l’Honduras puntando soprattuto ad occupare il Golfo di Fonseca. Per contrastare l’offensiva, l’Honduras risponde al fuoco e bombarda a sua volta El Salvador scatenando una guerra assurda che durerà sei giorni, fino all’intervento dell’OSA, l’Organizzazione degli Stati Sudamericani, che impone l’armistizio con un cessate il fuoco.

Il giorno dopo, il 20 luglio 1969, l’attenzione di tutto il mondo si sposta dall’America Latina e va in cielo, e con il naso all’insù si guarda la luna perché Neil Armstrong e Buzz Aldrin ci sono appena arrivati piantando la bandiera a stelle e strisce. Nel frattempo, invece, il Brasile festeggia Pelé che ha segnato il suo millesimo gol, e in Inghilterra ancora non si placano le lacrime per la morte del musicista Brian Jones, celebrato in un concerto dei Rolling Stones ad Hyde Park divenuto leggendario.

La prima guerra del Football. E altre guerre di poveri è il titolo del libro che racconta, tra gli altri, questo episodio e dipinge bene ciò che è accaduto. L’autore è il giornalista polacco Ryszard Kapuściński – che si trovava in Honduras al momento del conflitto e già sul retro della copertina (edita da Feltrinelli) scrive: «I due governi sono rimasti soddisfatti della guerra, perché per qualche giorno Honduras e Salvador hanno riempito le prime pagine dei giornali di tutto il mondo e suscitato l’interesse dell’opinione pubblica internazionale. I piccoli Stati del Terzo, del Quarto e di tutti gli altri mondi possono sperare di suscitare qualche interesse solo quando decidono di spargere sangue. Strano ma vero».

Ecco come una partita di calcio è costata 5700 morti in soli sei giorni, 15.000 feriti e oltre 50.000 sfollati. Per la cronaca, El Salvador batte in finale Haiti e si qualifica per Messico ‘70 dove perde tutte le partite, viene eliminato e se ne torna a casa.

 

Francesco Gallo
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Comments To This Entry
  1. Yes! Finally something about fiji.

    interesting read on November 16, 2016 Reply