María de Villota
La sesta pilota nella storia della Formula 1
Se n’è andata un venerdì mattina, all’alba di un autunno andaluso. La famiglia ne ha dato l’annuncio dal sito internet, accompagnando il messaggio con la rossa stella veloce, dalla punta allungata, che la contraddistingueva dentro e fuori dai circuiti. “Se n’è andata nel sonno alle 6 del mattino circa, per conseguenza delle lesioni neurologiche che soffrì il 3 di luglio del 2012, secondo quanto riportato dal medico forense. María ci lascia un chiaro messaggio di gioia e speranza con cui la famiglia cerca di andare avanti in questo momento. Il funerale avverrà a Madrid in un pantheon familiare nella più stretta intimità. Grazie a tutti per l’affetto e l’appoggio”.
Non è bastata la gioia. Non è bastata la speranza. Non è bastata la caparbia determinazione, né l’attaccamento alla vita, né la forza degli affetti, né la passione per i motori che l’aveva “miracolata”. María de Villota è morta l’11 ottobre 2013, in seguito a un incidente avvenuto un anno prima nella pista dell’aerodromo di Duxdorf, nel Cambridgeshire, in Inghilterra. È morta in un letto d’albergo la sesta pilota di Formula 1 della storia, la prima della Spagna. Alla vigilia del Gran Premio di Suzuka.
Il Circus è un mondo maschile dove ciò che conta è solo il cronometro, poco importa la fisionomia che cela il casco. Importa il raziocinio, il calcolo, la velocità, l’avventatezza e l’amore per le quattro ruote. E questa passione María ce l’aveva nel sangue. Voleva guardare il mondo dalla visiera di un casco. Voleva essere pilota di Formula 1.
La vita
Nata a Madrid il 13 gennaio 1980, María è figlia d’arte. Il padre è Emilio de Villota, che corre con una Mc Laren privata in due GP nel 1977 e nel 1980 fonda in Spagna la prima scuola per piloti, dove passeranno Carlos Sainz, Pedro Martínez de la Rosa, i fratelli Marc e Jordi Gené e Fernando Alonso. Seconda di tre figli, María si veste da pilota per ogni Carnevale, tuta e casco incluso e riceve il suo primo kart (in realtà regalato al fratello più piccolo) nel giorno dell’Epifania dei suoi 6 anni. I genitori furono a lungo sposati senza figli. I tre fratelli arrivarono quando la madre Isabel smise di seguire il marito sui circuiti automobilistici. Non è felice del kart e incita i figli a praticare qualsiasi altro sport. I figli rispondono positivamente, ma il kart rimane il gioco preferito e l’aiuto nella scuola del padre è premiato con spiegazioni su tecniche di curva e manovra pedali.
A 16 anni María accompagna il padre a Cuba, dove è stato invitato per una competizione di kart organizzata dall’amico Fulvio Ballabio con ex piloti di F1. È una gara urbana, con molto pubblico pronto ad applaudire Arturo Merzario, Clay Regazzoni, René Arnoux e compagni. Si sarebbe anche corsa una gara per giovani promesse di piloti cubani. María muore dalla voglia di correre. «Ma se non hai né tuta né casco», le dice il padre. «Mi presti il tuo».
La prima volta su pista è dunque nel segno del padre: con una tuta troppo grande per quel metro e sessantatré (contro il metro e ottanta di Emilio), con un casco troppo grande, tanto che c’infila dentro una maglietta per avere gli occhi al livello della visiera. «Hai fatto il miglior tempo!».
La sorpresa sotto gli occhi di tutti: dei piloti cubani, confusi dal vedere i capelli biondi e il corpo di donna uscire dall’abitacolo; di mamma Isabel, che sperava per lo meno che non ci fosse alcuna scintilla di talento, sotto gli occhi di papà Emilio. María terminerà la competizione fuori pista, ma Cuba è l’inizio del Campionato Master Internazionale.
E poi arriva il tempo dei reality show. Patrocinato dalla compagnia telefonica Movistar, arrivano le selezioni per seguire una scuola di Formula Uno con l’obiettivo di partecipare al Campionato di Spagna di Formula Toyota. Il fratello di María segna entrambi per le selezioni, ma tra i primi cinque passerà solo la sorella, unica ragazza su 2.500 aspiranti piloti. C’è tanto da imparare. Al primo schianto contro al muro nel circuito di Barcellona, i soccorsi urlano «Non dormire, non dormire! Ragazzo, come ti chiami?».
L’esperienza con Movistar non va come María avrebbe voluto. Di fatto il programma s’interromperà presto, lasciano la de Villota con voglia di dimostrare qualcosa in più.
«Devo tornare subito nel monopiazza, o non guiderò più». L’incidente è uno stimolo a fare meglio.
Entra nella scuderia Teyco, dove corre anche il fratello. Competizione fraterna e grandi aspettative accompagnano le gare dei figli di Emilio de Villota, che corrono contro.. Movistar. La vendetta è un piatto freddo che per María si presenta sotto forma di podio sul circuito di Jarama. Nel 200 la de Villota è vice campionessa di Spagna in Formula Toyota e passa alla Formula 3. Il sogno di Formula 1 ha la precedenza sulle materie della scuola superiore, la ragazza prepara progetti per trovare sponsor anziché versioni ma ci sono le compagne di classe Carmen e Paloma a passarle gli appunti. A breve, nel liceo è conosciuta come “María delle macchine”. A tanta passione non corrispondono risultati: il primo anno in Formula 3 non ci si accorge della sua presenza. Verso la fine del secondo anno va dal capo e dice di voler provare l’auto del compagno di corse Borja García, che secondo lei è migliore. Effettivamente migliora e il sogno, che si era afflosciato dalla mancanza di risultati, riprende vigore. María corre a qualsiasi costo, con la mamma che le infila un pettine per l’abitacolo quando sa che ci sono delle interviste a fine gara, cercando di guadagnarsi il rispetto in pista come dentro ai box.
La prima spagnola in Formula 3
E nel 2004 arriva al podio in Formula 3, prima donna in Spagna ad arrivarci. E corre le 24 ore di Daytona con Luis Monzón, che le suggerisce di lasciar perdere la Formula 1 e darsi al GT. Non è ancora il periodo di Fernando Alonso, Pedro De la Rosa, Marc Gené e Jaime Alguersuari, l’automobilismo in Spagna fa fatica ad affermarsi. Ci pensa, ma prima di prender una decisione arriva una telefonata: «Ti abbiamo visto alla Daytona, ti vogliamo con noi alla Ferrari Challenge Europa». Passa quindi alla scuderia austriaca Maurer Motorsport e continua a correre nei circuiti. Corre per la Ferrari nel Campionato di Spagna, s’imbarca in un progetto con Chevrolet, nel circuito di Cheste il nuovo motore V8 che stanno sviluppando per lei si rompe, e nel circuito di Spa gareggia in Formula 3000 «con un dolore al collo tanto acuto e una spossatezza infinita causata dalla durezza del circuito che nella curva di Eau Rouge, una delle più belle di tutti i circuiti del mondo, mi si apriva la bocca per la velocità e i G laterali». È il momento di giurare che non accada mai più una condizione simile. E allora via agli allenamenti doppi.
E la vita allunga una mano con un’altra opportunità, chiamandola nel campionato Formula Superleague, composto da team sponsorizzati da squadre di calcio a livello internazionale. A chiamarla è proprio la sua squadra, l’Atletico Madrid. Le auto della categoria non hanno il servosterzo e le corse sono dure ma a fine stagione, con un quarto posto nel circuito di Nürburgring, María ne è convinta: è pronta per la Formula 1.
Nel 2011 ha l’opportunità di andare al Gran Premio di Valencia, Bernie Ecclestone è presente, la de Villota staziona davanti al suo camion e quando come per magia le porte si aprono, parla sicura: «voglio correre in Formula 1. Sono pronta». Ecclestone riflette per un paio di minuti e chiama Eric Bullier, che è a capo della Renault «Preparati, faremo qualche manovra in low profile, che non se ne accorgano. Tu sii sempre preparata». María programma qualche test in GP2, si allena con Gerry Convy che ha preparato piloti come Hamilton e Montoya, riempie la casa di appunti e disegni, cura l’alimentazione e la forma fisica.
E arriva il giorno della visita alla squadra Lotus Renault Grand Prix, in Inghilterra, dove Alonso fu per la prima volta campione, per le prove fisiche e di seduta. María veste i colori oro e nero della Formula 1, segue procedure meticolose di pulizia e controllo, si siede nel posto di Nick Heidfeld, che potrebbe avere misure simili alla sua, ma la postazione è ancora troppo grande.La macchina comincia ad esser adattata e nel frattempo María è sottoposta a prove fisiche. Dopo alcuni giorni, il responso: tutto è perfetto per la Formula 1. La prova ufficiale, “segreta” per quel “low profile” richiesto da Ecclestone, è il 3 agosto 2011. María studia il debutto al millimetro: la tuta, doppia, il casco e le bibite isotoniche nel camion, la sveglia presto, le lenti a contatto subito, per vedere meglio, la pomata contro i lividi già spalmata. Mentre il pilota delle prove (che nel 2012 sarà pilota ufficiale) Romain Grosjean fa qualche giro di prova, María salta con la corda. Poi da’ un bacio al padre, che ha voluto presente, e sale nella R29, come se fosse stata sua da sempre.
La Formula 1 non è più un sogno
«Non so spiegarvi quello che provai durante quei 300 km, la durata di un GP, dentro alla Formula 1 della Lotus quel giorno. La mescolanza di concentrazione ed estasi che provai, se riuscissi a descriverla, sarei una scrittrice», scriverà nel suo libro, “La vida es un regalo”. «Buon lavoro, María, ti vogliamo con noi in F1». Glielo dicono al telefono, mentre lei passeggia per Madrid. Risponde al cellulare e si congela: comincia a vivere il suo sogno. Nel gennaio 2012 firma il contratto con Mark Blundell, ex pilota, che chiude l’accordo con la scuderia Marussia, ex Virgin, come pilota collaudatrice di Formula 1.
«Non volevo essere una donna in Formula 1. Io ero un pilota in più che voleva lavorare, apprendere, evolvere per guadagnarmi il posto ufficiale nel 2013
».
Australia, Malesia, Cina, Bahrein, Spagna, Canada,.. María de Villota viaggia in attesa del test da protagonista. La chiamata arriva il 2 di luglio del 2012 per un test aerodinamico in Inghilterra: deve collaudare un’auto sulla pista aeroportuale di Duxdorf in vista del Gran Premio seguente, quello di Silverstone. María chiama la sorella Isa per passare la serata assieme. Escono, ridono, sperano. Si alzano presto la mattina: è un altro giorno di pioggia inglese. María si spruzza Flor de Naranjo, la sua colonia preferita. Fa colazione. Partecipa al briefing, che contrariamente a quello della Lotus dura molto poco. C’è un casco appena dipinto, con la visiera a specchio in toni arancioni. Di solito il casco non è inaugurato se non ci passa la mano la mamma, che, come aveva l’abitudine di fare con il marito quando correva, ci fa scivolare dentro un pezzo del manto della Vergine a cui è devota. Ma è un bel casco, con le allegre linee gialle e arancioni sul nero. Un casco da 4000 dollari costruito nei massimi standard FIA, con la stellina sotto la visiera. María vuole dedicare tempo al briefing che non è stato fatto, ma deve presentarsi ai giornalisti, che liquida nel modo più secco possibile con gli sponsor bene in vista. Va verso la macchina un po’ delusa. E siccome è figlia del suo tempo per un attimo è attanagliata dal dubbio “twittare o non twittare questo momento”?
No, la prima volta in Formula 1 va gustata personalmente. Intimamente.
Entra nella monoposto per un paio di giri di prova: la pista è più bagnata del previsto. Fa il percorso anche in senso inverso. Non va veloce, è vicina a dove si deve fermare. Improvvisamente l’auto accelera sola. Fila verso il portellone di uno dei camion della scuderia. María prova come ultima istanza a premere il tasto N della folle. Quattro secondi e lo schianto.
Il rombo del motore rotto dal colpo dell’impatto, il grido “Ambulanza! Ambulanza!” che esplode in tutto il suo clamore, la gente che corre sulla pista, il grido delle sirene. Coma.
Quattro giorni di coma farmacologico, uno per ogni secondo che la de Villota ha contato nella sua monoposto dal momento in cui ha provato a schiacciare N. Ore lunghissime di operazione. La famiglia che accorre dalla Spagna. Lo sgomento. La Marussia che avvia un’indagine interna e conclude mallevandosi da ogni responsabilità. Il mondo dei motori sconvolto, anche coloro che consideravano l’entrata in F1 della spagnola come una trovata pubblicitaria.
“Come convivere con un trauma neurologico in famiglia”, “Come relazionarsi dopo un incidente”, “Come continuare ad amarsi e ad amare dopo un trauma”,… non c’è libro che possa aiutare María de Villota. «La prima volta che sono riuscita a vedermi allo specchio dopo l’incidente con il volto completamente scoperto avevo 140 punti e sembrava che fossero stati cuciti con una fune da barca. Inoltre avevo perso il mio occhio destro: ero terrorizzata».
La seconda vita
Tornerò a correre? Mi vorrà ancora bene il mio Rodrigo? Ci siamo appena conosciuti sicuramente mi abbandonerà. Che donna posso essere così pelata, senza un occhio, distrutta? Non voglio vedere nessuno. Mi lasceranno uscire? Con questa faccia spaventerò tutti. Ho sonno. Sono stanca. Non ce la faccio. C’è paura in quel letto di ospedale. Forse vergogna. Desolazione. Il sogno infranto di essere pilota di Formula 1. Ma c’è ancora la vita. E la voglia di pilotare la vita. Ci sono tanti passi, tante piccole rinascite che accompagnano il ritorno alla vita di María de Villota: la decisione di portare i capelli corti di un nuovo colore, biondo-bianco. La mamma che ha fatto confezionare delle bende su misura, di tanti colori, con cui poter giocare a essere un po’ pirata, un po’ coquette. La riscoperta del corpo, che era allenatissimo. Il viso ricostruito con le fibre della gamba. Il sorriso che a poco a poco perde la paralisi. Rimane sbilenco, ma aperto, solare e fiero. Tinto di rosso fuoco. C’è Rodrigo al suo fianco. C’è il mare di Santander e le prime passeggiate in spiaggia. I messaggi telematici per riacquistare a poco a poco il contatto col mondo. Un cane di cui occuparsi e con cui ricominciare a correre. C’è un’auto da guidare con un occhio, l’esame di guida da ridare. La consapevolezza adamantina che i motori saranno ancora la sua vita. E c’è l’impegno.
L’impegno per la sicurezza stradale. Tanto che dopo quasi un anno va in giro a mostrare il casco dell’incidente squarciato dall’impatto. L’impegno come ambasciatrice nella neonata Commissione Women in Motorsport, presieduta da Michèle Mouton. L’empaticità e la solidarietà con i malati, soprattutto i bambini, attraverso la sua associazione benefica. Ci sono momenti di disperazione, operazioni da affrontare nuovamente, ma María de Villota va avanti. Scrive il libro sulla sua vicenda, che titola “La vita è un regalo” e comincia a raccontarsi in un tour promozionale. Ha avuto quindici mesi di regalo dopo l’incidente. La trovano nell’albergo di Siviglia dove era a promuovere la sua autobiografia. Forse un infarto, forse una complicazione dovuta a quello squarcio non colmato dell’incidente. È difficile non simpatizzare con una giovane dalle idee tanto chiare che, pur avendo perso un occhio, continuava a vedere così profondamente i propri obiettivi. È difficile pensare alla sua figura unicamente in cronometraggi di pista. Non avrà forse corrisposto ai criteri – tecnici di sopravvivenza – necessari per vincere nei circuiti e non avrà avuto il talento della velocità. Ma con la sua fortezza e il suo coraggio María de Villota ha dimostrato di avere lo spirito di un vero pilota.
E la sua stella continua a correre le piste, sui caschi di ex colleghi come Alonso e Massa che hanno aggiunto cinque punte stilizzate alle loro teste.
Melania Sebastiani
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