Achille Varzi
Storia di un campione maledetto
Sono le otto di sera e l’atmosfera sul circuito di Bremgarten, pochi chilometri a nord di Berna, è molto pesante, quasi insopportabile. Non sono solo la pioggia battente, la fitta foschia e l’afa soffocante ad aver reso opprimente questa giornata estiva. Sui piloti, sui meccanici e sugli spettatori è infatti calata anche una cappa di tristezza e di sgomento.
Su questa pista, quattro ore prima il motociclista italiano Omobono Tenni, il grande Black Devil, ha perso la vita in un drammatico incidente avvenuto al termine delle prove. Una distrazione fatale – la pedana della sua Albatros che tocca terra all’uscita della curva di Eymatt – e la moto è schizzata via, come impazzita, terminando la sua corsa mortale contro un albero.
Lo spettacolo, come da copione, è però continuato, visto che la sera sono in programma anche le prove libere delle auto. Piove, quando Achille Varzi scende in pista con la sua Alfa Romeo 158. Un paio di giri giusto per testare – e scartare – un paio di occhiali americani da pioggia, una sosta ai box, quindi la ripartenza.
La sessione sta ormai per finire. Varzi effettua l’ultimo passaggio davanti alle tribune quando, forse a causa di uno spruzzo d’acqua provocato dal passaggio di un auto in fase di sorpasso, la sua Alfa perde aderenza. La vettura va in testacoda ed esce di strada percorrendo di traverso il tratto di pista noto come Jordenrampe. Poi, ormai quasi del tutto priva di velocità, l’auto si rigira, urta con la parte posteriore un terrapieno che costeggia un’ampia curva, lo risale lentamente, quindi si ribalta.
Un incidente banale, tanto che nessuno pensa a un esito tragico. Tutti si aspettano che, da un momento all’altro, il pilota scivoli da sotto l’auto e si rimetta in piedi, calmo e flemmatico come al solito. E invece non accade nulla, perché Achille Varzi è morto sul colpo, schiacciato dalla carcassa della sua Alfa, le cui ruote girano ancora inutilmente a vuoto.
Un campione di razza
È il primo luglio del 1948 e la vita del formidabile pilota, termina così, un po’ banalmente, sull’asfalto del circuito svizzero. Con Achille Varzi se ne va un campione di razza. Benestante, figlio di un ricco industriale tessile di Galliate, un paesone vicino a Novara dove nasce nel 1904, il giovane rampollo s’innamora ben presto delle corse in moto. Ricalca, in questo, le orme dei fratelli Angelo e Anacleto, a loro volta incoraggiati dal padre.
La passione per la velocità divora il ragazzo, tanto che, poco più che adolescente, passa al professionismo. La decisione si rivela azzeccata: il giovanotto, montando Garelli, Norton e Sunbeam, si aggiudica decine di gare, conquistando anche due titoli nazionali, nelle 350 e nelle 500.
Sono anni in cui le due ruote rappresentano un passaggio obbligato per chi vuole accedere al mondo dell’auto. In quel periodo lo stesso Tazio Nuvolari corre in moto, più precisamente con una Bianchi, anche se non gareggia quasi mai nelle stesse cilindrate di Varzi. A Nivola, tuttavia, basta poco per capire che quel giovanotto ha talento. Pur non condividendo i suoi modi un po’ spacconi, il Mantovano Volante non può però fare a meno di ammirarne la classe e la tecnica, così diverse dalle sue. Il giovane pilota è infatti un concentrato di ragione e precisione, calcolo e freddezza.
Così, nel 1928, è Nuvolari stesso a suggerire alla Bianchi di ingaggiare il Varzi. Scelta felice: Achille, infatti, vince e convince, tanto che Nivola lo vuole con se anche quando, poco dopo, decide di fare il grande salto verso l’automobilismo, allestendo una scuderia tutta sua con due Bugatti Type 35.
La convivenza, però, dura poco. Varzi, schiacciato dalla personalità del mantovano, sbatte ben presto la porta e si mette in proprio acquistando, con l’aiuto della famiglia, prima l’Alfa Romeo P2 appartenuta a Giuseppe Campari, poi una Maserati. Con esse diventa, nel 1929 e nel 1930, campione d’Italia.
Ormai il ragazzo di Galliate è lanciatissimo. La definitiva consacrazione la ottiene però vincendo laTarga Florio del 1930 quando, al volante di un’Alfa Romeo Duemila, precede Louis Chiron e lo stesso Nuvolari, con l’auto che percorre gli ultimi chilometri avvolta dalle fiamme per una fuoriuscita di benzina.
Per Achille è una bella rivincita su Nivola che, nell’ultima edizione della Mille Miglia, lo ha beffato quando aveva ormai la vittoria in tasca. Si racconta infatti che, l’ultima notte di gara, il mantovano lo avesse sorpassato a fari spenti nei pressi di Desenzano, senza che lui se ne fosse minimamente accorto.
La rivalità tra i due ha il suo apice nel 1933, a Monaco. Per tutto il Gran Premio Nuvolari, su Alfa Romeo, e Varzi, su Bugatti, si alternano alla testa della corsa. I due percorrono addirittura fianco a fianco l’intero penultimo giro finché, nell’ultima tornata, Achille riesce finalmente a prevalere.
In quegli anni cominciano ad affermarsi le auto tedesche, difficili da guidare per via del motore posteriore. Non per Varzi che, essendo tra i più bravi piloti in circolazione, viene ingaggiato dall’Auto Union. Il galliatese, che ha appena chiuso con l’Alfa Romeo di Enzo Ferrari, si dimostra subito all’altezza.
Il piemontese è ormai un divo da copertina: bello e vincente, elegante e impeccabile, raffinato e aristocratico, ha tutto per piacere, soprattutto alle donne. E che donne! Durante i test invenali a Monza, nel 1935, conosce Ilse Hubach, la conturbante moglie del compagno di scuderia Paul Pietsch. Ne nasce una relazione che causa grande scandalo e fastidio per il regime. Varzi e compagna (che nel frattempo ha lasciato il marito), non se ne curano, anzi fanno vita mondana, frequentando posti da jet set.
Un drammatico declino
Nel frattempo Varzi continua a gareggiare e a vincere molto finché, nel 1936, all’indomani di un Gran Premio di Tripoli, colpito da emicrania, si fa dare della morfina da Ilse che ne è da tempo schiava. Il declino comincia proprio quel giorno.
Nel successivo Gran Premio di Tunisi, Achille ha il primo incidente della sua carriera che, pur senza conseguenze fisiche, mina alla base il suo granitico senso di sicurezza. Il ricorso alla droga diventa così sempre più frequente. Il suo carattere peggiora, diserta le corse, non si fa vedere per lunghi periodi. Il licenziamento dalla scuderia tedesca e il ritiro della licenza di guida completano il quadro del suo percorso di autodistruzione.
Scoppia la guerra e lui sparisce dalla circolazione. Di quel pilota bello ed elegante, amato idolo per tanta gente, uno dei più validi rivali del grande Nuvolari, nessuno sa più nulla.
Fino al 1946, quando ritorna alle gare. È finalmente disintossicato, Ilde è tornata in Germania e accanto a lui ora c’è Norma Colombo, un’amica di vecchia data. Qualche corsa per riprendere confidenza, poi, a Torino, Achille torna alla vittoria. Sono passati otto anni dall’ultimo trionfo, ma la classe è rimasta la stessa. In pista ritrova perfino Nuvolari, con il quale rinnova la vecchia rivalità.
Varzi corre di nuovo come il vento. Gareggia ovunque, in Europa e in America meridionale, finché l’assurdo incidente di Bremgarten interrompe sul più bello la disperata rincorsa con cui cercava di dimostrare di essere tornato quello di un tempo.
La morte in pista, quella che in cuor suo ogni pilota cerca segretamente, mette fine a una vita vissuta alla massima velocità. Una vita in chiaro-scuro, ricca di belle donne, soldi e champagne, ma anche di vizi, eccessi e discese all’inferno. Una vita maledetta, certo, ma anche bella e intensa come in un romanzo.
La vita che Achille Varzi aveva sempre desiderato.
Marco Della Croce
© Riproduzione Riservata
Ultimi commenti