La strage dell’Heysel

La curva dei tifosi juventini in attesa dell'inizio della gara

La curva dei tifosi juventini in attesa dell’inizio della gara © Salvatore Basile

 

«Quando allo stadio vidi la morte…»

C’è un biglietto scaduto in qualche vecchio cassetto, su cui si legge a chiare lettere la cornice della tragedia: Finale di Coppa dei Campioni, 29 maggio 1985, Stadio Heysel, Settore Zeta. È l’unico rimasto dei quattro che Salvatore Basile, insegnante in pensione, 68 anni, tifoso bianconero, aveva con sé quello stramaledetto mercoledì, quando ancora credeva che Juventus-Liverpool sarebbe stata una partita di calcio.

Salvatore Basile (il primo a destra) e due dei suoi amici a pochi metri dall'Heysel, la mattina della finale © Salvatore Basile

Salvatore Basile (il primo a destra) e due dei suoi amici a pochi metri dall’Heysel, la mattina della finale © Salvatore Basile

 

«Era la prima volta che seguivo la mia squadra in Coppa dei Campioni – racconta oggi in esclusiva a Storie di Sport – e approfittai della trasferta di Bruxelles per organizzare una vacanza in Belgio insieme ad altri tre amici, anche loro juventini. Arrivammo in una cittadina sul Mar del Nord dieci giorni prima, ospiti di un albergatore nostro conterraneo che ci aveva procurato i biglietti nel Settore Zeta».

Fortuna vuole che lungo il percorso in macchina da Caccuri (Crotone), a uno degli amici, presidente dello Juventus Club locale, salti in mente di passare da Torino per provare a procurarsi quattro biglietti nella curva dello stadio destinata ai tifosi bianconeri. Ci riesce.

La curva della Juve all'ingresso nello stadio © Salvatore Basile

La curva della Juve all’ingresso nello stadio © Salvatore Basile

 

«Ma quando entrammo all’interno dell’Heysel – continua Salvatore – l’impressione fu subito quella di un impianto fatiscente, anche nel settore in cui eravamo. Non c’erano seggiolini, sembrava che le gradinate fossero fatte di terra invece che di cemento, piene di crepe, a tratti sbriciolate. Rimanemmo sorpresi, tanto più che lo stadio sorgeva in un quartiere molto curato di Bruxelles».

Alcuni tifosi juventini si avviano verso l'ingresso dell'Heysel @Salvatore Basile

Alcuni tifosi juventini si avviano verso l’ingresso dell’Heysel @ Salvatore Basile

 

Si respirava un clima di festa?

«No, l’atmosfera era rovente, fin dal mattino. Ci accorgemmo immediatamente della presenza di tifosi inglesi fuori-controllo: giovani aggressivi, ubriachi fradici, bottiglie di birra rotte ovunque, un sistema di sicurezza medievale, con poliziotti a cavallo inadeguati a gestire una situazione già allarmante».

Sfuggita di mano, poi, dentro lo stadio, con il massacro di trentanove tifosi provocato dalla carica degli hooligan.

«Noi non ci siamo resi conto di nulla, non abbiamo neanche sentito il muro crollare. Eravamo dalla parte opposta al Settore Zeta, vedevamo a malapena la gente che si ammassava senza capire che cosa stesse succedendo: si potevano intuire dei disordini, non certo la strage che si stava consumando. Lo speaker si limitava ad annunciare il rinvio del fischio d’inizio. In curva saliva il nervosismo, alcuni tifosi lanciavano oggetti, altri scavalcarono le transenne per chiedere spiegazioni, ma la polizia intimò loro di tornare sugli spalti».

La polizia sotto la curva della Juve © Salvatore Basile

La polizia sotto la curva della Juve © Salvatore Basile

 

A quel punto lei ha deciso di verificare personalmente che cosa stesse accadendo.

«Sono uscito dalle gradinate insieme a uno dei miei amici, dato che era ancora possibile muoversi all’interno della recinzione dello stadio. Ci siamo avvicinati all’ingresso principale e all’improvviso abbiamo capito: in lontananza si distinguevano chiaramente le sagome di alcuni cadaveri coperti da lenzuoli bianchi».

Avete pensato di abbandonare lo stadio?

«La polizia ci ha rimandato indietro. Quando abbiamo raggiunto i due rimasti dentro, eravamo scossi».

La partita è iniziata lo stesso, un’ora e mezza dopo l’orario previsto.

«S’immagina che cosa sarebbe successo se fosse stata annullata? Migliaia di persone da evacuare tra panico e rabbia. È stato giusto così».

In curva si tifava?

«Sì, regolarmente: erano tutti all’oscuro della tragedia».

La curva del Liverpool © Salvatore Basile

La curva del Liverpool © Salvatore Basile

 

Quando avete saputo la verità?

«Molte ore più tardi. Alla fine della gara ci hanno trattenuto a lungo dentro lo stadio e solo dopo aver fatto evacuare i tifosi inglesi ci hanno lasciato andare. Io e i miei amici siamo riusciti a prendere l’ultima corsa di metropolitana per raggiungere il parcheggio della macchina, ma ancora eravamo ignari di tutto quell’orrore. Bruxelles sembrava tranquilla, così abbiamo fatto un giro in città prima di tornare al nostro albergo, alle cinque del mattino. È stato allora che abbiamo saputo».

Chi vi ha informato?

«Il nostro amico albergatore, che ci è venuto incontro preoccupatissimo: le nostre famiglie, allarmate dalle notizie in tv, ci cercavano disperatamente. Mia moglie, tramite uno zio carabiniere, era in contatto con la Farnesina, sapeva che non eravamo tra le vittime, ma era ugualmente in ansia. Dal canto mio, avevo assistito alla partita con una certa inquietudine, ma conoscere la verità è stato agghiacciante. Per non parlare dei sensi di colpa».

Dovuti a che cosa?

«Avevamo ceduto tre dei nostri quattro biglietti del Settore Zeta a tifosi di Parma che avevamo conosciuto tramite il nostro amico albergatore. Ci angosciava il pensiero di averli messi involontariamente in pericolo. Grazie al cielo il giorno dopo abbiamo saputo che stavano bene. Conservo ancora l’ultimo biglietto, il quarto, rimasto invenduto».

Quando siete tornati in Italia?

«Due giorni dopo. Avevamo prenotato una visita guidata a Londra, ma la annullammo: il nostro amico ci consigliò di evitare l’Inghilterra, almeno in quelle ore. Al rientro a scuola seppi che un mio collega che si trovava nel Settore Zeta si era rotto tre costole».

La Juve da allora ha disputato altre quattro finali di Champions League. Ha continuato a seguirla?

«Solo in televisione. Mi piace il calcio e continuo a sostenere la mia squadra. I miei figli andranno a Berlino (dove il 6 giugno si disputerà la finale di Champions League Juventus-Barcellona, ndr), ma io non ho alcuna intenzione di farlo. Sono trent’anni che non metto piede in uno stadio. Non me la sento».

Graziana Urso
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