Pete Sampras

Pete Sampras (© Julian Finney-Getty Images)

Pete Sampras (© Julian Finney-Getty Images)

 

Un destino chiamato Wimbledon

Quando il famoso scrittore e giornalista Gianni Clerici, nel settembre del 1987, si avviò verso il campo n. 16 di Flushing Meadows, sede degli US Open di quell’anno, sperava di poter ammirare, come gli aveva detto il suo amico e collega Bud Collins, il futuro del tennis americano. Rimasto folgorato da ciò che aveva visto, Clerici quella sera tornò da Collins per ringraziarlo. Peccato che a Collins la descrizione di Clerici, che parlava di un ragazzino moro, alto e elegante, dalle movenze felpate, non tornava per niente. «Alto e moro? Ma se è basso e cinese!» disse l’americano.

Fu allora che scoprirono di parlare di due giocatori diversi. L’uno aveva mandato l’amico a vedere il miglior prospetto statunitense del momento, un certo Michael Chang. L’altro aveva visto un talento immenso nel suo avversario, anche lui americano. Un ragazzotto di origine greca dai modi timidi e dal dritto devastante che rispondeva al nome di Pete Sampras.

una delle tante vittorie di Sampras (© Reuters)

una delle tante vittorie di Sampras (© Reuters)

 

E tuttavia se Clerici lo avesse visto un paio d’anni prima, probabilmente non avrebbe detto niente di buono su di lui. Da quando il piccolo Sampras, terzo di quattro figli in una famiglia che si era trasferita dal Maryland alla California quando Pete aveva solo sette anni, si era avvicinato al tennis, si era capito subito che quel ragazzo possedeva qualità fuori dal comune. Il suo maestro, Peter Fisher, aveva come modello Rod Laver, il mancino australiano in grado di conquistare due volte il Grande Slam, e considerava come obiettivo massimo di un tennista la vittoria nel torneo di Wimbledon.

Un cambiamento strategico

Così qualche anno dopo, quando tutto quel talento sembrava ancora inespresso, decise di fare un cambiamento radicale nel gioco del giovane Sampras: passare dal rovescio a due mani a quello ad una sola mano. Fare una cosa del genere su un ragazzo di quindici anni, già di livello nazionale, fu un azzardo non da poco. Ma Fisher disse che così il gioco di Sampras poteva essere più coerente e soprattutto più adatto, un giorno, a vincere Wimbledon. Anche lui, come Clerici e forse ancor di più, sembrava un visionario. Alla fine entrambi avranno ragione, e alla grande.

Gianni Clerici

Gianni Clerici

 

Il ragazzo diventa professionista a sedici anni, nel 1988, ed entro la fine dell’anno si ritrova già fra i primi cento giocatori del mondo. Tutto il circuito tennistico inizia a mettergli gli occhi addosso, eppure manca ancora un ingrediente per formare il fenomeno Sampras così come lo conosciamo. Quel tassello decisivo viene piazzato durante l’inverno di quell’anno, quando il giovanissimo Pete ha l’opportunità di allenarsi per una settimana fianco a fianco con il miglior giocatore del mondo, ma prima ancora con colui che aveva portato l’etica del lavoro nel tennis, ovvero Ivan Lendl.

Mentalità professionistica

Non che prima di lui i tennisti non si allenassero, ma Lendl era un’altra cosa. Aveva assunto un dietologo per non mangiare a casaccio, uno psicologo per superare le sue incertezze, un coach adatto ad allenare i suoi punti deboli, e aveva portato la sua preparazione atletica a livelli maniacali. Nessuno prima di lui aveva fatto niente del genere, e fu per questo che il giovane Sampras fu mandato da lui.

«Lì ho capito quello che costa essere un campione» confesserà parecchi anni più tardi l’ospite del caso, costretto durante quella settimana a fare aerobica alle sei del mattino, a sapere esattamente cosa e quanto mangiare, a pianificare addirittura le ore di riposo. In due parole, ad essere un professionista. Il ragazzo lavora per un anno buono con questa intensità e mentalità, e nel 1990 esplode definitivamente travolgendo il circuito maggiore. In pochi mesi passa dal primo torneo vinto all’incredibile successo, a diciannove anni appena compiuti, negli US Open di settembre. Mai prima, e mai dopo, nessuno vincerà il torneo più importante degli Stati Uniti così giovane.

un giovanissimo Sampras vince gli US Open (© AP)

un giovanissimo Sampras vince gli US Open (© AP)

 

La partita chiave di quel torneo sarà quella dei quarti di finale proprio contro Ivan Lendl, che giocava la finale degli US Open da ben otto anni consecutivi, e certo quell’anno non sembrava meno in forma dei precedenti avendo lasciato per strada appena un set contro il campione tedesco Michael Stich. Sampras la spunterà al quinto set in una partita durissima, assai più impegnativa delle due che seguiranno, vinte in tre soli set contro altre due icone del tennis americano, John McEnroe e Andre Agassi.

Dopo la vittoria agli US Open, il giovane Pete è ormai considerato fra i più forti giocatori del mondo, ma i successi sono appena cominciati. È il 1993 l’anno che darà ragione definitivamente sia a Clerici sia a Fisher. Nell’aprile diventa numero uno del mondo, per un dominio che si protrarrà incontrastato per sei anni. Nel mese di luglio invece si aggiudica il suo primo Wimbledon. Già, il primo, perché alla fine della sua immensa carriera quel giovane ragazzo timido di origine greca ne conterà ben sette, ovvero più di ogni altro fino a quel momento per un record che solo Roger Federer, dopo di lui, riuscirà ad eguagliare.

il trionfo di Wimbledon

il trionfo di Wimbledon

 

Quando dopo il successo agli US Open del 2002 annuncia, da vincitore, il ritiro, la sua bacheca conta addirittura quattordici titoli del Grande Slam e un posto d’obbligo fra i più grandi di sempre. Più di quanto era riuscito a vincere Rod Laver, modello perfetto del suo primo maestro, molto più di quanto riuscirà a conquistare Michael Chang, il ragazzo che quel giorno di settembre del 1987, sul campo n. 16 di Flushing Meadows, lo aveva battuto.

Florio Panaiotti
© Riproduzione Riservata

 

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Comments To This Entry
  1. beh…talento,lavoro ed amore per quello che si fa sembra siano comuni sia allo scrittore che al protagonista dell’articolo.
    Complimenti

    massimo73 on July 15, 2013 Reply
  2. Grazie Massimo.
    Credo che nella vita si debba cercare di fare ciò che è più vicino alle nostre attitudini, senza rassegnarsi dietro ai “tanto non è possibile…”. E ad ogni esperienza si capisce sempre di più quali siano queste attitudini.
    Mi fa piacere l’esser riuscito a trasferire nell’articolo sia la passione per la scrittura sia quella per lo sport.
    Grazie ancora!

    Florio Panaiotti on July 16, 2013 Reply