Giovanni Raicevich
L’uomo più forte del mondo
Riuscite a immaginarvi, oggi, la prima pagina del più diffuso quotidiano sportivo italiano interamente dedicata al resoconto del campionato del Mondo di lotta greco-romana? Difficile – se non impossibile – che una cosa del genere possa ragionevolmente accadere. Nemmeno gli appassionati più ottimisti di questa disciplina potrebbero sperare tanto.
Eppure a cavallo del XIX e del XX secolo, questo sport, carico di un fascino che oggi apprezziamo colpevolmente solo durante i Giochi Olimpici (e forse, in futuro, nemmeno in quell’occasione, dal momento che qualcuno parla di abolire la disciplina dalle Olimpiadi), era così popolare che i suoi protagonisti erano venerati come autentiche star. In quegli anni non c’era teatro, palestra, piazza o giardino pubblico che non ospitasse seguitissime riunioni di lotta.
Su traballanti pedane di legno, tra effluvi di grasso e di oli aromatici, salivano aspiranti campioni e semplici cittadini, eroi e comparse di una generazione cresciuta con il mito della forza e con una grande familiarità verso i molti circhi e baracconi itineranti che in tutte le piazze esibivano uomini forzuti oltre ogni limite credibile.
Le due patrie di Raicevich
Giovanni Raicevich, nato a Trieste (a quel tempo austriaca) il 10 giugno 1881, era uno di quegli eroi. Figlio di un marinaio croato e di una veneziana, il ragazzo divideva il suo tempo tra la scuola, le strade e le spiagge della sua città. Lo conoscevano tutti, sia per il suo incredibile – per l’età – fisico che per la sua fama di attaccabrighe, tanto che nel 1885 i genitori decisero di disciplinare quell’esuberanza adolescenziale consigliandogli la frequentazione di una palestra.
L’iscrizione alla Società Ginnastica Triestina, assieme ai fratelli Emilio e Massimo, fu fondamentale per il quattordicenne. Non più tempo perso in liti e baruffe, ma pomeriggi interi passati a sollevare bilancieri e a imparare la lotta greco-romana. Uno sport, questo, di cui il ragazzo subì immediatamente il fascino, tanto che in poco tempo ne apprese alla perfezione i fondamentali. Ben presto vinse così le sue prime gare, diventando, a soli diciassette anni, campione austriaco. In quegli anni il suo fisico divenne irresistibile: altezza centosettandadue centimetri, novanta chilogrammi di peso, centoventi centimetri di torace, quarantacinque centimetri di bicipiti e cinquantuno centimetri di circonferenza collo! «Un ceppo, più che un tronco d’albero» lo definì Orio Vergani.
Il titolo nazionale fu il primo importante alloro della sua carriera. Le molte successive vittorie, tra cui quella ottenuta l’anno successivo nella sua città contro il fortissimo atleta milanese Federico Palazzoli, lo convinsero, a soli diciannove anni, che la lotta sarebbe stata il suo lavoro.
Il suo esordio nel professionismo – il 30 luglio 1900 ad Amburgo – non fu tuttavia incoraggiante. Un suo goffo tentativo di cintura ai danni del francese Maurice Gambier gli fece perdere l’equilibrio e battere la testa. Risultato: perdita dei sensi per quasi venti minuti e match perso.
Il giovanotto, tuttavia, sentiva che la strada che aveva intrapreso era quella giusta e decise di andare avanti. Non se ne pentì, anche se all’inizio del 1902 un evento rischiò di cambiare per sempre la sua vita. Accadde infatti che dovette recarsi a Zara, dove lo aspettava la visita medica per il servizio militare nell’esercito austro-ungarico. Giovanni Raicevich aveva però fin da piccolo maturato una feroce avversione per gli Asburgo, incarnando alla perfezione lo spirito irredentista del capoluogo giuliano. Il triestino, ritenuto abile, pensò bene di disertare e di espatriare in Italia con i suoi fratelli. Non prima, comunque, di aver messo a soqquadro il Caffè Tommaseo, storico locale triestino, infastidito da alcuni ufficiali austriaci che stavano brindando all’impero.
Alla fine del gennaio di quell’anno Giovanni riapparve ad Alessandria, ai campionati Italiani di lotta greco-romana. Il ragazzo, da italiano quale si sentiva, partecipò e vinse facilmente nella sua categoria, i mediomassimi. Purtroppo per lui, però, la Federazione, pur omologando il risultato, decise che non avrebbe più potuto partecipare ad altri campionati nazionali, in quanto ufficialmente suddito austriaco.
Ancora una volta l’atleta giuliano, pur deluso, non si scoraggiò. Partecipò (vincendo spesso) a molti tornei in giro per l’Europa riuscendo, nel febbraio 1905 a Liegi, a conquistare il titolo europeo. Da lì in poi nulla sembrò più fermare il ventiquattrenne triestino, il cui talento, unito a una forza e a una tecnica fuori dal comune, lo aveva proiettato nel giro di pochi anni nell’élite mondiale della lotta greco-romana. Nei mesi successivi, infatti, Giovanni Raicevich vinse i prestigiosi tornei di San Pietroburgo, di Krefel e della Westfalia, mentre l’anno dopo si aggiudicò un’importante manifestazione in sud America.
Ma fu nel 1907 che il lottatore giuliano raggiunse la notorietà internazionale. Il 16 dicembre, infatti, la rivista transalpina Les Sports organizzò i primi campionati del Mondo alle Folies Bergère, a Parigi. Raicevich vinse la finale contro l’idolo di casa Laurent le Beaucairois. Un trionfo a cui lo stesso atleta volle dare un significato politico, dedicandolo, in un telegramma spedito al direttore della Gazzetta dello Sport, Eugenio Costamagna, all’Italia e alla sua amata Trieste.
Giovanni, tuttavia, non poté assaporare fino in fondo quel trionfo. In una situazione priva di regole certe, anche un’altra rivista parigina, L’Auto, aveva organizzato – quasi in contemporanea – un proprio torneo iridato, vinto in finale dal formidabile atleta francese Paul Pons.
Una situazione paradossale, che ripetutasi l’anno successivo, lasciò ancora di più l’amaro in bocca al triestino. Mentre Pons, infatti, replicava il successo dell’edizione precedente, il campione triestino fu eliminato in semifinale, battuto da un’azione palesemente irregolare – ma non giudicata tale dall’arbitro – da parte del russo Ivan Zaikin.
Raicevich meditò addirittura il ritiro, ma – saggiamente – decise di continuare, esigendo però una chance di rivincita. L’occasione che cercava gli fu offerta pochi mesi dopo, su un piatto d’argento, proprio dalla Gazzetta dello Sport che, viste le tirature eccezionali realizzate in concomitanza delle imprese del triestino, decise che era giunto il momento di organizzare il suo personale campionato Mondiale.
Apparve immediatamente chiaro a tutti che la manifestazione milanese sarebbe stata ancora più importante delle due iniziative francesi. Costamagna, infatti, invitò i migliori atleti dei due differenti tornei parigini, in modo da riunificare, in un certo senso, il titolo iridato.
Il combattimento contro Paul Pons
E così, il 16 febbraio 1909, sul palcoscenico del Teatro Dal Verme, davanti a una folla straripante e impazzita per l’attesa (dovette intervenire la polizia per impedire l’accesso alla sala a chi era privo di biglietto), andò in scena la finale annunciata, quella che tutti avrebbero voluto vedere: Paul Pons contro Giovanni Raicevich. Due fenomeni.
Il primo era molto alto (sfiorava i due metri), un fisico scolpito e disegnato da un impressionante fascio di muscoli, neri baffi a manubrio, dotato di una grande forza ma, soprattutto, di una tecnica sopraffina e di un vasto repertorio di astuzie e trucchi del mestiere.
Il secondo era enorme (aveva raggiunto i centodieci chilogrammi) e massiccio, forte come un bue e, al tempo stesso, agile e veloce, calmo e riflessivo, e dall’aspetto poco conformista per l’epoca (era infatti calvo e glabro).
La sfida fu incredibile, emozionante e incerta. A ogni attacco del francese, rispondeva il triestino, abile nel parare la situazione e a ribaltarla a suo vantaggio. Finché, dopo oltre quarantasette minuti di battaglia vissuta in mezzo a un tifo assordante, Pons, stremato dalla fatica, all’ennesima presa dell’avversario, stramazzò sul tappeto con le spalle a terra. Fu un trionfo, una vittoria che consacrò indiscutibilmente l’italiano Giovanni Raicevich come l’Uomo più forte del mondo.
Negli anni seguenti il triestino continuò a vincere in tutto il mondo, conservando il suo titolo iridato fino al suo ritiro, nel 1928. Fu anche attore, Commissario Tecnico della Nazionale di lotta per quasi venti anni, soldato italiano nella Prima Guerra Mondiale. Poi su di lui cadde un ingiustificato oblio.
Raicevich morì nel 1957, malandato e solo, dopo aver vissuto per anni con una misera pensione passata dal CONI. Era successo che quella patria che aveva sempre amato, al punto di rinnegare pubblicamente gli Asburgo, lo aveva ingiustamente dimenticato.
Non sarebbe stato il primo, né – purtroppo – l’ultimo.
Marco Della Croce
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Un grande articolo per un grande campione del passato. Splendido sito il vostro, anche se – temo – per palati di un certo livello.
Grazie, Renato! In realtà il numero di visitatori cresce di mese in mese: forse l’esigenza di vivere lo sport oltre la pura cronaca è molto più diffusa di quanto si pensi, e questo ci fa enormemente piacere.