Gustav Thöni

Gustav Thöni in slalom

Gustav Thöni in slalom

 

… e la leggenda indossò gli sci

In principio fu il Trofeo Topolino.

Monte Bondone, 6 marzo 1965. Sotto un  sole limpidissimo che rende ancora più abbagliante la neve caduta in abbondanza per tutto il venerdì 5, un ragazzino coi pantaloni scuri, maglione a losanghe giallo-ocra e berretto di lana rossa in testa sta per lanciarsi, sci ai piedi, in una discesa. Porta il numero 5, il ragazzino. Di fianco a lui, in tuta azzurra e per una volta senza il famoso Stetson, c’è un mostro sacro della montagna e del giornalismo italiano: Rolly Marchi, il cowboy delle nevi.

Lo conoscono proprio tutti, Rolly. Ha sciato con Zeno Colò. Ha scalato montagne con Cesare Maestri e con Walter Bonatti. Ha scritto libri, reportage.  Ha inventato gare come la 3 Tre. Eppure il ragazzino dal berretto rosso, che finirà la gara con l’abissale vantaggio di 2″ 60 sul secondo arrivato e che Topolino qualche settimana dopo presenterà sulle sue pagine come «dotato di una sicura tecnica», sarà molto più famoso di lui. In tutto il mondo. Quel ragazzino si chiama Gustav Thöni, e tra qualche anno diventerà il signore assoluto dello sci.

Marzo 1965: Gustav, adolescente, al Trofeo Topolino

Marzo 1965: Gustav, adolescente, al Trofeo Topolino

 

Nei lontani anni Sessanta pieni di entusiasmo e di voglia di nuovo, il Trofeo Topolino è una specie di mondiale giovanile. Così come negli anni Settanta, del resto. Prima o poi vi approdano, con più o meno successo, tutti i futuri fuoriclasse, da Ingemar Stenmark a Marc Girardelli e Pirmin Zurbriggen. Quasi uno status symbol dello sci.

Gustav, da giovane altoatesino riflessivo e concreto qual è, non corre tuttavia il rischio di appagarsi con l’alloro del Bondone. Nei due anni seguenti è ancora primo in un’altra creatura di Rolly Marchi, il Gran Premio Saette.

L’11 dicembre 1969 è una data che cambia la vita di Thöni.  È il giorno del primo trionfo in Coppa del Mondo. Val d’Isère, una vittoria prestigiosissima e di immenso significato per tutto lo sci italiano, che intuisce di aver finalmente trovato l’erede di Zeno Colò.

Poco più di un mese dopo, dal 29 al 31 gennaio 1970, Gustav domina la mitica 3 Tre a Madonna di Campiglio, vincendo i due Giganti e arrivando secondo per soli quarantotto centesimi nello Slalom.

«Tutte gare che ricordo con piacere. Certo, le prime gare in Coppa del Mondo, la vittoria in Val d’Isère…». Termina la Coppa al terzo posto, ma a soli otto punti dal grandissimo Karl Schranz.

L’anno dopo inizia l’irripetibile ciclo di vittorie del ragazzo, ormai entrato nel ristretto club dei fuoriclasse di sempre. La Coppa 1971 è sua: è la prima di un tris da brivido, cui seguirà, dopo un’edizione in cui a uscire vincitore sarà l’amico-rivale Pierino Gros, il suggello di un quarto, fantastico trionfo.

Anni di atleti formidabili, i primi anni Settanta: «Beh, ogni periodo ha i suoi atleti» ricorda Thöni «In quel periodo lì c’erano Jean-Noël Augert, Alain Penz, Patrick Russel. C’erano gli austriaci, David Zwilling, Heini Messner, all’inizio Schranz… Tantissimi!».

Tutta gente che Gustav si mette alle spalle per intere stagioni, conquistando vittorie su piste illustri come Adelboden, e rimanendo sempre tra i primissimi in ogni gara.

«E poi le Olimpiadi, a Sapporo… Il Gigante è una di quelle gare che sicuramente non si dimenticano mai». Già, perché sulle nevi del Giappone, il fuoriclasse di Trafoi compie una delle imprese più grandi di una carriera magica. Due manche pressoché perfette. Venti anni dopo Zeno Colò, un altro italiano sale sul gradino più alto di Olimpia. Con l’aggiunta di un argento nello Slalom, tanto per completare il capolavoro.

Thöni a Sapporo

Thöni a Sapporo

 

Di imprese, Gustav ne ha già compiute altre, e ancor più ne compirà negli anni seguenti. Imprese che chi ha avuto la fortuna di vedere può raccontare a distanza di decenni. E che chi ascolta scolpisce e rimodula nella fantasia, per riuscire a coglierne almeno l’eco.

Come quella dei Campionati del Mondo del 1974, a Sankt Moritz, quando con una seconda manche stratosferica Thöni recupera 1″ 42 e otto posizioni, andando a vincere un oro inimmaginabile solo pochi minuti prima. Una discesa che è stata da molti giudicata la più bella di sempre, e che ha avuto la singolare ventura di entrare anche nella storia della televisione italiana, grazie ad una domanda del popolarissimo Rischiatutto.

«Una gara che è andata molto bene. Io avevo già vinto il Gigante, due giorni prima. Lo Slalom… Nella prima manche ero andato un po’ così, e perciò non avevo niente da perdere. Ho dovuto rischiare tutto, e insomma… mi è andata molto bene.» Che a sentirli raccontare così, quei 51″ 07 dipinti su di un filo sottilissimo in bilico tra lo sci e la danza sembrano ordinaria amministrazione. E magari lo sono pure stati, per l’infinita classe di Gustav.

Imprese da rievocare davanti ad un camino acceso, nelle sere invernali, quando ci si stanca della banalità di un televisore, e si libera l’onda dei ricordi in lunghe narrazioni tra amici.

Come quella volta che a Kitzbühel tre millesimi di secondo, meno del battito di una palpebra, separano Thöni dal Kaiser Franz Klammer. «Beh, anche lì una gara particolare, perché sono arrivato ad un centesimo da Franz Klammer. Io ero un bravo discesista, ma diciamo non da podio. Però quell’anno lì andavo bene, e avevo già fatto diversi piazzamenti nei dieci. A Kitzbühel ho quasi rischiato di vincere».

l'arrivo di Thöni sul traguardo di Kitzbühel

l’arrivo di Thöni sul traguardo di Kitzbühel

 

Già, un miracolo di grandezza che avviene sulla Streif, la pista fatata, il 5 gennaio 1975. In una Coppa del Mondo semplicemente meravigliosa che, tenuto dietro per una manciata di punti da alcuni episodi poco fortunati un asso come Piero Gros, vede accostati sino all’ultima gara tre tra i più fenomenali sciatori che mai abbiano illuminato il Circo Bianco: Ingo Stenmark,  Franz Klammer e naturalmente Gustav Thöni.

23 marzo 1975. La fortuna degli organizzatori (una dea notoriamente bendata, la sorte, ma che qualche rara volta si compiace di vederci benissimo) vuole che tutto si decida in una gara atipica, uno Slalom Parallelo in Val Gardena. Un simulacro di ordalia sportiva intrigante e irripetibile. Un giudizio di Dio, del dio delle nevi, da vivere e consumare in qualche attimo senza respiro. O, più prosaicamente, un vero e proprio mezzogiorno di fuoco.

Il Kaiser Klammer, cui per vincere, grazie al meccanismo degli scarti, basterebbe passare due turni, non è certo uno slalomista, ed è subito eliminato dall’azzurro Helmuth Schmalzl. La trama si dipana poi in lunghissime ore di tensione, sino al duello finale. Cinquantamila spettatori, la montagna che diviene un dedalo di incitamenti, di cori, di sogni. E davanti ai televisori, milioni di italiani, milioni di svedesi, milioni di europei.

Thöni, sulla sinistra, contro Stenmark nel Parallelo

Thöni, sulla sinistra, contro Stenmark nel Parallelo di Val Gardena

 

A trepidare per Gustav, a trepidare per Ingo. A rendere grazie ad uno sport incantevole come lo sci. «Praticamente era la prima volta che si decideva la Coppa del Mondo in un Parallelo. Era l’ultima gara, ed eravamo in tre a pari punti. Stenmark, Klammer ed io: duecentoquaranta punti tutti e tre. Chi arrivava davanti, vinceva la coppa. Siamo arrivati io e Ingemar in finale, dopo lui è caduto sulla penultima porta e io ho vinto… Emozionante? Sì, perché anche se ci sono state altre gare di Parallelo, e oggi lo si fa a volte anche in città, è lì che è stato davvero decisivo», riassume Gustav, essenziale e positivo come sempre. Poche parole, dettate da uno spirito montanaro saggio e poco propenso alle infiorettature. Poche parole in cui c’è tutto Thöni, il ragazzo che dal Trofeo Topolino è arrivato sino all’Olimpo degli atleti.

Ingo si congratula con Gustav

Ingo si congratula con Gustav

 

Personaggio quasi da favola, l’altoatesino. Attorno a cui sono fiorite persino leggende urbane. La storia secondo cui ha concluso una gara con uno sci solo, per esempio, chissà se sarà poi vera… «No. A Kitzbuhel ho perso due volte uno sci in momenti critici. Sono riuscito a cavarmela senza cadere, ma non sono arrivato in fondo», ridacchia Gustav. «Mi sono fermato, mi sono fermato!».

Il ritiro dalle gare, nel 1980, non ha tenuto Thöni lontano dalle piste: «Sono rimasto per tantissimi anni nello sci, nella Federazione, come allenatore e alla fine come Direttore Tecnico. Praticamente sino alle Olimpiadi di Torino, dove tra l’altro ho fatto da portabandiera».

Anni di vittorie, in cui Gustav ha avuto modo di curare personalmente la gestione agonistica di un certo Alberto Tomba. «Oggi ci manca un Tomba che vinca un po’ più spesso e che ci tiri un po’ su il morale. Insomma che ci renda di nuovo più visibili sui giornali e anche in televisione. Però abbiamo una bellissima squadra, soprattutto quella dei velocisti, forse più forti ancora degli slalomisti. Anche se poi, tra gli slalomisti, Manfred Mölgg ha fatto molto bene quest’anno ai Mondiali…».

Lo Stelvio. Un luogo di una bellezza che prende i sensi, di uno splendore quasi doloroso. Un luogo che è un santuario per lo sport di tutti i tempi.

Sullo Stelvio Fausto Coppi mise in scena l’atto finale della sua epopea. Il primo giugno 1953 l’Airone lo amò, lo Stelvio, o forse lo odiò, chi può saperlo. Odiò (o forse amò) la fatica drammatica di quei tornanti secchi, di quelle curve strettissime e dalla pendenza impossibile. Cinquantotto gomiti crudeli che sembravano arrancare verso il nulla. Per poi svanire tra le nuvole. Nell’infinito.

Proprio ad uno di quei tornanti, il 46 (ché sono numerati al contrario, i tornanti, e uno sa sempre quanto manca, in sudore o in benzina, ai 2.758 m dell’eroico Passo), cominciò a volare, il Fausto. D’improvviso quell’omino dal profilo aguzzo si fece leggero più di un soffio di vento e si librò verso le nubi. Verso l’infinito. Come un airone, appunto.

Gustav con le quattro Coppe del Mondo

Gustav con le quattro Coppe del Mondo

 

Il Tornante 46, dodici chilometri ancora da andare. Forse lungo i bordi coperti di neve il Campionissimo vide Gustav salutare la carovana che si inerpicava. In braccio al padre, di certo. Perché Gustav Thöni era nato lì a Trafoi che gli anni Cinquanta erano  iniziati già da un po’. Era solo un bambino il giorno che l’Airone spiegò per l’ultima volta le ali.

E ora che le gare sono lontane, e che anche i giorni in cui allenava Alberto Tomba e la Nazionale sono solo fotografie nel grande libro dei ricordi, è sempre lì, al Tornante 46, dove si può incontrare Gustav. Al Bella Vista, un accogliente albergo dagli ambienti sobri e di buon gusto, proprio ai piedi dell’Ortles. Nel ruolo ormai più tranquillo di cortese padrone di casa. A parlare di sci e di mille avventure con ospiti di ogni nazionalità, emozionati di trovarsi davanti alla leggenda. A far loro da maestro lungo piste che sono sue da una vita.

Anche se poi non si può mai dire, e magari un giorno o l’altro vedremo di nuovo il fuoriclasse di Trafoi guidare gli Azzurri sulle nevi di tutto il mondo.

«Ma no» chiude divertito Gustav «non penso. Ho un po’ di anni in più… Si sta bene anche a casa!». A patto che sia sulla neve, beninteso.

Danilo Francescano
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Comments To This Entry
  1. il caro, vecchio e irraggiungibile Thoeni! Grazie all’autore e a tutti gli amici di Storie di Sport per questo sentito ricordo che mi ha riportato indietro negli anni. E grazie anche per la bellissima intervista a Pierino Gros! La Valanga Azzurra era davvero qualcosa di cui andare fieri. Che nostalgia!

    Alberto P. on June 8, 2013 Reply
    • Sono completamente d’accordo con te, Alberto. Per me che ero un ragazzino la Valanga Azzurra è stata un momento forse irripetibile di comunione con lo sport. Thöni, Gros e gli altri eroi di quella magica squadra hanno regalato sensazioni che forse neanche Tomba ha potuto replicare. Un dovere per SdS occuparsi di loro. Lo faremo ancora. (df)

      admin on June 8, 2013