Pietro Mennea

Pietro Mennea taglia vittorioso il traguardo

Pietro Mennea taglia vittorioso il traguardo

 

Quel dito alzato nel cielo di Mosca

Quel dito alzato nel cielo di Mosca, mentre l’abbrivio spinge il vincitore ben oltre il traguardo, è l’indimenticabile istantanea di quel tardo pomeriggio del 28 luglio 1980.

«Io sono il numero uno», sembra dire al mondo Pietro Paolo Mennea, da Barletta, mentre scarica sul tartan della pista dello stadio Lenin la tensione della gara e la gioia della vittoria. Poi, a metà circuito, si ferma e ringrazia con un inchino i tifosi italiani impazziti di gioia. Solo allora i giornalisti, i fotografi e i cameramen che lo rincorrono da quando ha tagliato il filo di lana riescono a raggiungerlo.

L’atleta azzurro ha appena vinto la finale olimpica dei 200 m. Ci può stare: lui, infatti, è il detentore dello strepitoso record del mondo sulla distanza – 19” 72 – ottenuto l’anno prima bucando come un missile l’aria rarefatta di Città del Messico. Ci può stare, perché molti temibili velocisti statunitensi in quella finale non ci sono, per via del boicottaggio di alcune nazioni del blocco occidentale attuato in seguito all’invasione sovietica dell’Afghanistan. Quello che è incredibile, semmai, è il modo con cui Mennea ha vinto.

Torniamo indietro di sessanta secondi, o giù di lì. Il sorteggio ha affidato al nostro uomo l’ottava corsia, non proprio il massimo. Non che i suoi principali avversari stiano meglio. Allo scozzese Don Wells è capitata la settima, al cubano Silvio Leonard la prima. Solo Don Quarrie, il giamaicano, ha il binario migliore, il quarto.

Pronti. Via. Buona la prima. Mennea sembra partire bene, ma è solo un’illusione. Wells, infatti, a metà curva ha già annullato il décalage che lo separa dal ventottene barlettano, giunto alla sua terza Olimpiade. Il fortissimo britannico, che solo tre giorni prima si è portato a casa l’oro sui 100 m, sembra spinto da un tornado tropicale. I suoi appoggi sono perfetti, la postura è composta, la falcata è da primato. L’azzurro, invece, sembra contratto, sbanda leggermente verso l’interno e sbuca all’inizio del rettilineo con un ritardo di almeno quattro metri. Tra lui e Wells ci sono anche anche Leonard all’interno e Quarrie in mezzo.

Sembra finita, nessuno avrebbe il coraggio di scommettere un soldo bucato sul primatista del mondo. Poi, ai settantacinque metri, accade ciò che non ti aspetti. Wells, in debito di ossigeno per quella partenza forsennata, comincia a rallentare impercettibilmente e, piano piano, viene risucchiato da Pietro che, al contrario, sembra aver finalmente trovato la quadratura del cerchio.

Mennea sul podio di Mosca (© AP-La Presse

Mennea sul podio di Mosca (© AP-La Presse

 

Manca poco, però, il traguardo è ormai vicino. Troppo vicino. Ai quaranta metri la rimonta appare ancora impossibile. E invece no. A Wells la benzina finisce, a Mennea – forse – anche, ma l’azzurro ha una riserva che il britannico non possiede: la volontà, la caparbietà, la rabbia e l’ostinazione, marchi di fabbrica che accompagneranno per tutta la vita il campione pugliese. Il barlettano ora corre come il vento, risalendo la corrente senza più esitazioni, né sbavature. Il suo volto è contratto dallo sforzo. Il suo sguardo, però, punta già al gradino più alto del podio.

Paolo Rosi, l’indimenticabile telecronista della RAI, da autentico uomo di sport intuisce prima degli altri che qualcosa di straordinario sta per accadere. Negli ultimi quattro secondi di gara esclama, in un crescendo rossiniano, per cinque volte «Recupera!» – «Recupera!» – «Recupera!» – «Recupera!» – «Recupera!», fino a sciogliersi in un grido strozzato e liberatorio: «Ha vintoooo!». Il Paolone nazionale, del resto, ci ha sempre creduto. Anche quando sembrava impossibile perfino un piazzamento. Il tempo finale è di 20” 19, non eccezionale, ma tanto qui conta poco.

Wells, sorpassato di due centesimi – un’inezia – guarda prima incredulo l’avversario in maglia azzurra che, anche dopo aver tagliato il filo di lana, continua a correre ebbro di gioia, poi si accascia sulla corsia, sfibrato e incapace di comprendere le ragioni di quella sconfitta.

in primo piano l'indimenticabile Paolo Rosi

in primo piano l’indimenticabile Paolo Rosi (© RAI)

 

Lo scozzese condivide la delusione col cubano Leonard, che guarda il tabellone con aria smarrita, sperando in un errore. Solo all’ultimo tuffo, infatti, si è visto negare il podio che ormai sembrava suo, risucchiato dal giamaicano Quarrie che lo recupera in extremis, precedendolo di un solo centesimo.

Quel dito alzato nel cielo di Mosca ce lo ricordiamo tutti. «Io sono il numero uno», sembra dire al mondo Pietro Paolo Mennea da Barletta.

Quel dito, in realtà, indica qualcosa di più. In quel gesto trionfale c’è la prova esibita che il sacrificio, la determinazione e la voglia di non arrendersi mai pagano sempre. Niente arriva per nulla.

Questo ha imparato dalla sua terra, dai suoi genitori e dai suoi allenatori, Franco Mascolo e Carlo Vittori, che hanno avuto una parte non secondaria nella sua formazione di atleta e di uomo.

Quel dito alzato nel cielo di Mosca, in fondo, è anche il suo modo di ragazzo del sud, schivo e chiuso fino all’introversione, di indicare a ognuno di noi che quella è la via infallibile – la sola che conosca – per puntare al gradino più alto del podio.

Che poi sia quello olimpico o quello della vita, a ben vedere, cambia poco.

Marco Della Croce
© Riproduzione Riservata

 

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Comments To This Entry
  1. semplicemente grazie per aver ricordato questo grande campione di sport e di umanità

    Piero Lanzafame on March 25, 2013 Reply
    • era un dovere: Pietro Mennea è stato uno dei più grandi campioni della storia dello sport italiano. Ma anche un uomo vero, in un mondo troppo spesso popolato da mezze figure (mdc).

      admin on April 8, 2013

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