Yasuhiro Yamashita

Yasuhiro Yamashita

Yasuhiro Yamashita

 

La forza della tranquillità

Immaginatevi la scena: primi mesi del 2008, siamo in Giappone e, per la precisione, nei pressi della Tōkai University. Un signore ben piazzato fisicamente, intorno alla cinquantina, esce dall’ingresso principale e si incammina verso il parcheggio dove ha lasciato la sua auto. Mentre apre la portiera, però, due giovani balordi gli si avvicinano e lo affiancano facendo volteggiare un coltello proprio all’altezza della sua faccia. Una rapina! In genere una persona di buonsenso decide di rimanere calma e svuota senza troppe storie il portafogli, magari aggiungendo di sua spontanea volontà il cellulare, l’orologio e la catenina d’oro. Ma, badate bene, abbiamo detto “in genere”…

Nel caso del nostro amico, infatti, avviene uno di quei paradossi che talvolta tutti desiderano: passare da vittima ad aggressore nel giro di un attimo. Il primo dei due ladri si ritrova col sedere per terra senza neanche aver capito come e perché, mentre il destino del secondo è quello di rotolarsi su sé stesso un paio di volte, neanche si trattasse di una trottola nelle mani di un bambino. La scena, pur comica, è realmente accaduta. La vittima di turno è il professor Yamashita, che nel togliersi da questo guaio in maniera così rapida e quasi banale sarà stato contento di constatare di non essere ancora arrugginito.

Un talento precoce

Nato il primo giugno 1957 a Kumamoto, Yasuhiro Yamashita è, da diversi anni, un apprezzato insegnante universitario che vive con profonda partecipazione la sua professione. È famoso nel suo Giappone e nel resto del mondo, però, per essere stato un campione di una delle più nobili e gloriose discipline sportive orientali: il judo.

Talento precoce, Yasuhiro è stato protagonista di imprese leggendarie e, per questo, il suo nome resterà scolpito per intere generazioni appassionate di arti marziali. Talento precoce, abbiamo detto, ma anche e soprattutto costante: basti pensare che dall’ottobre del 1977 (dalla finale, cioè, dei campionati universitari) al 1985 (anno del suo ritiro agonistico), il judoka nipponico è rimasto imbattuto.

Già questo potrebbe bastare, ma Yamashita si è distinto anche per aver incarnato alla perfezione i molteplici aspetti di questo sport. Il judo, infatti, non è semplicemente una lotta fra due uomini senza l’uso di armi o altri espedienti: si tratta di una disciplina utile per la formazione dell’individuo anche nel senso morale e caratteriale. Tutti concetti che il buon Yasuhiro ha propagato e divulgato come il più fedele dei missionari nel corso della sua inimitabile carriera.

Forte e abile, potente e preciso nei colpi, fenomenale nel capovolgere l’esito di un incontro incerto in un baleno, grazie a guizzi imprevedibili e risolutivi: mettete tutto insieme e otterrete il mitico Yasuhiro Yamashita. Una forza sovrumana espressa con tecnica ma anche con sorprendente tranquillità, quella virtù dei forti che distingue soltanto i campioni veri da quelli presunti. Alcune sue imprese e svariati record sono inseriti nei Guinness dei Primati, come i duecentotre combattimenti in cui si è imposto per ippon (la vittoria immediata, che consiste nel proiettare l’avversario con velocità, forza e decisione causandone la caduta sulla schiena).

Yamashita in azione (© Staff-AFP-Getty Images)

Yamashita in azione (© Staff-AFP-Getty Images)

 

Yamashita è decisamente completo nelle sue azioni, ma nel suo repertorio di judoka si distinguono con particolare efficacia due tecniche speciali – tokui-waza – chiamate, in gergo, o-soto-gari e uchi-mata. Colpi che è realistico pensare abbia usato anche contro i due maldestri rapinatori. Con il primo potrebbe infatti essere stato impiegato l’o-soto-gari, una grande falciata esterna che si utilizza quando l’azione avviene su una gamba sola e che provoca una violenta caduta dell’avversario. La sorte del secondo sembra invece portare il timbro dell’uchi-mata, tecnica che il grande Yamashita ha saputo caratterizzare nel tempo con evoluzioni specifiche e altrettanto efficaci. L’utilizzo simultaneo sia di un gioco di gambe che dell’anca (combinato ad una presa ferrea e granitica, altro privilegio riservato solo ai grandi), permette inizialmente di rompere l’equilibrio; solo in un secondo tempo, dopo aver falciato l’interno della coscia dell’avversario col retro della propria coscia, si ottiene un risultato devastante.

Di questo e molto altro, Yasuhiro Yamashita è stato un maestro dall’indiscusso estro, la cui fama ha varcato i confini del Giappone, soprattutto nell’indimenticabile 1984. In quell’anno, infatti, raggiunge e conquista il successo più esaltante: oro all’Olimpiade di Los Angeles. Confeziona il suo trionfo in maniera netta e convincente, dopo che nel 1980, a Mosca, aveva disperatamente tentato di convincere i suoi dirigenti di cambiare idea riguardo il boicottaggio del Giappone. Niente da fare: il riscatto nel 1984 negli USA è un’impresa da leggenda!

Già, perché nel secondo incontro eliminatorio del torneo olimpico della categoria open, di fronte il tedesco Arthur Schnabel, Yamashita accusa uno strappo al polpaccio destro. Nonostante il dolore, che lo costringerà per tutto il resto della manifestazione a camminare con le stampelle, il judoka nipponico decide di continuare. Nel match successivo il perfido francese Laurent Del Colombo lo attacca proprio sulla gamba offesa, ma pochi secondi dopo di ritrova a terra sconfitto, schiacciato da centoventotto chilogrammi di potenza e furore agonistico. In finale, il nostro eroe si scontra con un venditore di immobili di Alessandria d’Egitto, Mohammed Ali Rashwan, che lo ha definito simpaticamente “un frigorifero con sopra la testa”. In 1’ 05’’ Yamashita si sbarazza dell’africano che, durante la cerimonia di premiazione, lo aiuta cavallerescamente a sostenersi in cima al podio. Il dolore alla gamba è infatti diventato intollerabile.

Yasuhiro Yamashita dopo una vittoria (© Philbert Ono)

Yasuhiro Yamashita dopo una vittoria (© Philbert Ono)

 

L’alloro olimpico è dunque il coronamento di una carriera ineguagliabile che lo porta a conquistare il VII dan, il grado che nel judo rappresenta un autentico sigillo di autentica e autorevolissima grandezza. Il suo palmarès parla da solo: fra le sue moltissime vittorie si contano infatti quattro titoli mondiali conquistati nel 1979, nel 1981 e nel 1983, nella categoria oltre i 95 Kg, e ancora nel 1981 nella categoria open, oltre a nove titoli nazionali per un totale di 528 combattimenti, di cui sedici nulli e altrettanti persi (tutti prima dell’ottobre del 1977 ed esclusivamente ad opera di atleti giapponesi).

Dopo il ritiro

Una volta abbandonati i combattimenti, Yamashita non ha però completamente resettato dalla sua mente lo sport che tanto ha amato, ma ha continuato ad interessarsene a fondo. Oltre ad insegnare all’università, dal 2003 è diventato anche direttore dell’istruzione della Federazione Internazionale di Judo (IJF). Sono un punto di riferimento per tutti gli appassionati anche le sue numerose ed originali pubblicazioni didattiche, i cui scopi propagandistici e divulgativi hanno ottenuto un notevole successo. Non si è fatto mancare proprio nulla, il professore, visto che per ultimo ha curato personalmente l’introduzione di un DVD pubblicato dalla IJF e intitolato Judo for self-defense.

Tanta carne al fuoco, a coronamento di una carriera sportiva senza eguali, ma che evidentemente nei primi mesi del 2008 non era neanche di passaggio nelle mente di quei due ladri da strapazzo che hanno scambiato il buon vecchio Yasuhiro per un’innocua e vulnerabile persona di mezz’età, un perfetto prototipo da rapinare. Eppure in Giappone lo sanno tutti che è più facile vedere un uomo di centocinquanta chilogrammi arrivare in finale dei cento metri alle Olimpiadi che mettere al tappeto il fortissimo, leggendario e pluricampione Yasuhiro Yamashita.

È facile pensare che i due balordi, una volta saputo in prigione chi avevano osato scegliere come vittima della loro ultima rapina, avranno maledetto la loro imperdonabile ignoranza.

Lucio Iaccarino
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