Franco Chioccioli e il Giro del 1991

Franco Chioccioli celebra la vittoria al Giro 1991

Franco Chioccioli celebra la maglia rosa al Giro 1988

 

Il riscatto del Coppino

No, non aver paura di sognare, Franco, questa gente è qui per te, è te che sta applaudendo, che sta incitando. Dai, non mollare, ancora un piccolo sforzo, ancora una pedalata e poi un’altra e un’altra ancora, perché non manca più molto, e poi sarà una liberazione tagliare quel traguardo e abbandonare i polmoni alla libertà dei respiri che meritano. Chissà cosa direbbero Franco Montanelli, il primo a credere in te, e Luciano, Luciano Pezzi, l’uomo che ti aprì le porte del professionismo e ti prese a cuore come un figlio.

Ti direbbero: «Non mollare, Franco!», e tu te lo ripeti da una vita continuamente, perché bisogna essere ostinati ed anche un po’ pazzi per non essersi arresi all’idea che il destino ce l’avesse davvero con te, dopo che nel 1985 restasti persino senza squadra a causa del fallimento della Maggi, o quando in piena lotta per il Campionato del Mondo, a Chambery nel 1989, cadesti inopinatamente a due giri dalla conclusione. Per non parlare poi di quella nevicata sul Gavia tre anni fa, che ti rubò la maglia rosa, e quel Giro d’Italia che sentivi di poter fare tuo. È tutto lì che ti gira nella testa mentre pesti freneticamente i pedali e cerchi di allontanar presagi e fantasmi.

È il 15 giugno 1991, stai percorrendo i chilometri che separano Broni da Casteggio, è la penultima tappa del Giro d’Italia 1991. Qualche giorno fa sulle rampe del Pordoi, il tuo profilo adunco ha smosso paragoni persino illeciti, ma tu sei Franco, da Pian di Scò, aretino di montagna, non il novello Fausto o Coppino che dir si voglia, e nella tua caparbietà contadina non ti scordi quella fama da perdente che ti hanno affibbiato un po’ per colpa tua e un po’ per quel tuo non essere uomo da copertina.

Schivo, silenzioso, non hai l’appeal mediatico del tenebroso Bugno, che tutti danno per vincitore, e nemmeno la furia agonistica del suo solo possibile antagonista, il Diablo Claudio Chiappucci. Sei un italiano col naso triste come una salita, direbbe Paolo Conte, uno fuori tempo e fuori moda, le cui spigolosità fisiche ricordano un’Italia umile e contadina che, chissà perché, stiamo cercando di dimenticare in fretta come fosse un peccato.

Eppure qualche giorno fa te li sei scrollati tutti di dosso in un attimo sui tornanti che da Arabba salgono al Pordoi, e sul finire hai lasciato lì persino Chiappucci ed Eric Boyer, come solo i grandissimi sanno fare, con uno scatto ed una progressione bruciante che ti hanno fatto arrivare tra due ali di folla esultante sulla vetta che fu immortalata da Fausto Coppi. Una manciata di secondi di vantaggio, ma tanto è bastato, con quel rosa che sembrava fatto apposta per vestirti ed un vantaggio in classifica generale che si faceva importante, oltre i due minuti.

La vittoria sulle rampe del Pordoi

La vittoria sulle rampe del Pordoi

 

Lo sai, lo sanno un po’ tutti però, c’è quest’’ultimo ostacolo da superare, la cronometro della penultima tappa, ed è qui che si deciderà tutto, perché finché la strada sale non temi nessuno, ma contro il tempo, mio Dio!, quante difficoltà.

Ce l’hai ancora impressa negli occhi e dentro il tuo cuore, la maxi cronometro dell’anno scorso a Cuneo, è una ferita tatuata per sempre sul tuo orgoglio, sette minuti di ritardo in settanta chilometri. Ci sono volute la pazienza e l’affetto dei compagni della Del Tongo e della tua famiglia per convincerti a non lasciare tutto lì, a scendere di bicicletta una volta per tutte.

Perché è vero, c’è poco da negarlo, il carattere è quel che è, e forse tu sei anche un filino troppo emotivo, le tue notti precedenti i grandi appuntamenti sono sempre agitate ed insonni oltre il lecito, e poi c’è quella vena di malinconia che ti vela lo sguardo e chissà da dove viene.

Però quant’è che cerchi di vincerlo questo benedetto Giro? Da quella primavera del 1983, quando all’esordio ti aggiudicasti a sorpresa la maglia bianca del miglior dilettante, per poi inanellare una serie di quinti e sesti posti buoni solo però ad alimentare i rimpianti. Certo non ci fosse stata quella tempesta di neve nel 1988, forse le cose sarebbero andare diversamente, ma tant’è.

Adesso però a trentadue anni, quando nessuno pensava più potessi riuscirci, sei qui a giocarti la luna, che non è mai stata così vicina, ed è per questo che non devi mollare. È vero, c’è chi aspetta solo il tuo tracollo per dire «Lo sapevo», e in questi anni, a esser sinceri, un po’ ti sei involontariamente specializzato nel mancare gli appuntamenti importanti, ma ora non devi pensarci, devi solo spingere questi pedali con la forza e la grinta della prima volta che sei salito in sella ad una bici da corsa e hai deciso che quella sarebbe stata la tua vita.

Si diventa ciclisti solo se non si ha paura della fatica, e tu ottavo figlio di una famiglia di coriacei contadini toscani, qualcosa ne devi sapere al riguardo.

Attaccato al manubrio spremi su questa strada anonima le ultime energie dopo 20 giorni di battaglie su e giù per l’Italia, speri tanto siano sufficienti per evitare un’altra figuraccia e provi a non pensare concentrandoti sui colpi di pedale. Hai 2 minuti e 46 secondi di vantaggio in classifica generale su Chiappucci, ma dentro di te quello che temi veramente è Gianni Bugno, il vincitore dell’ultimo Giro, il talento acclamato del ciclismo italiano, uno che a cronometro sa farsi valere e che è dietro di 6 minuti e 57 secondi. I fantasmi di Cuneo aleggiano nei tuoi pensieri così come la volata di Sassari, alla seconda tappa di questo Giro, quando lasciasti per un niente ancora a lui la vittoria, nel vezzoso e prematuro gesto di alzare la mani al cielo prima di tagliare il traguardo.

Non sei sulle tue salite, non sei all’Aprica dove arrivasti solo dopo aver scalato da gigante il Mortirolo. I dubbi ti inseguono: se la vita non ti ha mai fatto vincere nulla di davvero importante fino ad oggi, una ragione deve pur esserci, forse ti starai interrogando sulle tue reali capacità, forse starai pensando di non essere un campione o di essere troppo sfortunato per diventarlo.

E allora spingi sui pedali con la disperazione degli umili, aggrappato al manubrio come a un salvagente, perché il rumore della catena ed il giro di ruota sono ora l’unica medicina possibile. Un ultimo scatto, pochi metri ancora, e poi… poi…

Chioccioli arriva a Casteggio tra l'entusiasmo dei tifosi

Chioccioli arriva a Casteggio tra l’entusiasmo dei tifosi

 

Da Broni a Casteggio il 15 Giugno 1991 Franco Chioccioli, di professione scalatore, impiegò 1 ora 33 minuti e 17 secondi per portare a termine la prova a cronometro, vinse la tappa con 43 secondi su Gianni Bugno e 52 a Claudio Chiappucci, rispettivamente secondo e terzo di giornata, e si aggiudicò la 74esima edizione del Giro d’Italia.

Il miracolo era servito.

Con gli anni Novanta si apriva un decennio che avrebbe fatto sprofondare il ciclismo in quel gorgo del doping da cui ancora oggi stenta ad uscire ed in molti finirono nelle maglie sempre più strette dei controlli; Franco Chioccioli non fu mai sfiorato da nessuna di queste inchieste e chiuse la carriera nel 1994 dopo aver dato filo da torcere nel 1992 persino a Miguel Indurain, terminando al terzo posto nel Giro di quell’anno.

Una volta lasciata l’attività agonistica però dovette difendersi persino in sede legale dalle accuse di chi sosteneva che nell’ultimo periodo della sua carriera Franco avesse fatto massiccio uso di sostanze dopanti. Vinse ogni causa che intentò contro i delatori e smentì più volte chi lo voleva quasi in fin di vita. Ne uscì sempre pulito, ma lasciò sul campo, colpito a morte per sempre, il suo ingenuo amore per l’ambiente del ciclismo ed i suoi sogni.

Franco Chioccioli oggi è un uomo sereno, imprenditore nel settore dell’agriturismo, qualche tempo fa è tornato alle corse come Direttore sportivo di una squadra di dilettanti. Forse nel frattempo ha ripreso a sognare.

Marco Tonelli
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Comments To This Entry
  1. L’immagine di Chioccioli in maglia rosa che festeggia sul palco delle premiazioni insieme ad Andrew Hampsten non è del Giro del 1991 ma di quello del 1988 (dodicesima tappa, la Novara-Selvino, vinta dallo statunitense, al termine della quale il toscano strappò la maglia rosa a Massimo Podenzana).

    Raffaele Chiarulli on September 19, 2016 Reply
    • Grazie per l’attenzione!

      admin on September 20, 2016