Hugo Gatti

Hugo Gatti El Loco

Hugo Gatti El Loco

 

Las locuras de Gatti

Adesso lo vedi ed è un signore anziano un po’ bohemienne che conserva ancora il vezzo del capello lungo e del sorriso strafottente: ti aspetteresti da un momento all’altro di sentirgli raccontare storie di rapine, donne, fughe e assalti ai treni, perché questo suggerisce il suo aspetto e invece dietro quei lineamenti spigolosi da apache della pampa si nascondono i ricordi di un uomo di sport, i ricordi di un portiere.

Come si fa a spiegare cosa spinge un ragazzino a fare il portiere? In genere si comincia dicendo perché con i piedi non si è abbastanza bravi poi una volta sotto quella traversa magari si scopre di avere più attitudine a evitare i gol piuttosto che a farli e allora si continua, ma per Hugo Orlando Gatti non deve essere stato così, perché lui con i piedi ci sapeva fare, tanto è vero che fin dall’inizio interpretò il ruolo in modo nuovo, originale, giocando alto quando le squadre ancora non sapevano cosa fosse stare alte.

Improvvisava incursioni palla al piede e dribbling assolutamente inusuali per i portieri di allora e anche per quelli di oggi, ma a 20 anni, nel 1964, dopo una trafila iniziale nel calcio minore, è già il River Plate ad accorgersi delle sue eccentriche doti ed a decidere di tesserarlo per affidargli l’eredità del leggendario Amadeo Carrizo. Gatti accetta malvolentieri perché tra “Gallinas”, i tifosi del River Plate e “Botas” , i sostenitori del Boca Juniors, lui ha sempre fatto parte dei secondi, e i suoi sogni sono sempre stati colorati di “Azul Y Oro” , ma il professionismo lo attira molto e allora eccolo indossare l’odiata maglia bianca con la striscia trasversale rossa sul petto.

La rivalità Boca/River

E’ una Domenica di Aprile del 1966 alla “Bombonera” si svolge il Super Clásico tra Boca e River. In porta con i Millionarios c’è lui, il ragazzo della Boca. Sono gli anni in cui tra componenti delle opposte tifoserie non ci si può nemmeno sposare, ed il pubblico che sa, non gli perdona il tradimento e comincia a fischiarlo, tirandogli di tutto dalle tribune. Ma l’uomo è un pezzo di roccia che non si fa condizionare da nessun agente esterno e così raccolta una scopa, arrivatagli in volo dagli spalti, comincia a spazzare via dall’area, viti, bulloni, biglie e quant’altro senza fare una piega.

Il pubblico esterrefatto in un attimo inizia a inneggiare quello che fino a poco prima era l’odiato nemico. Le leggende però sono dure a morire e Gatti fatica a imporsi sull’anziano Carrizo che non si decide a mollare e così, anche se parteciperà come terzo portiere alla spedizione mondiale del 1966, grazie soprattutto alla stima che il Commissario tecnico dell’albiceleste Juan Carlos Lorenzo nutre nei suoi confronti, decide di trasferirsi al più modesto Gymnasia La Plata dove è sicuro di poter giocare con più continuità.

Gatti in azione

Gatti in azione: “la de Dios”

 

E’ qui, in un club di secondo piano che si afferma definitivamente la fama di Hugo Gatti, detto “El Loco”, l’uomo che sarà il valore aggiunto di una squadra modesta ma anche colui che non rinnegando mai le proprie origini, avrà il coraggio, negli scontri con il Boca Juniors, di correre sotto la mitica curva “12”, dei tifosi “Xeneizes” , per mostrare loro con orgoglio la maglia Azul y Oro che porta sotto quella da gara.

La gente lo adora per questa sua sfrontata spontaneità che supera limiti ideologici e di tifo, ma tutta l’opinione pubblica deve comunque concordare sul fatto che ormai sia a buon diritto da considerarsi come il più forte portiere d’Argentina. L’occasione buona arriva il 25 maggio 1969 quando al termine di una gara superlativa in cui si rende autore di salvataggi al limite del miracoloso, diventa l’eroe della vittoria per uno a zero ottenuta dal Gymnasia, in dieci contro undici, proprio ai danni del “suo” Boca. E’ la sua sera dei miracoli e tutta la Bombonera lo applaude.

La rivalità Boca/River

L’uomo è un anarchico incontrollabile, vive d’istinto così come gioca, di sé ama dire «Sono il migliore di tutti, nessuno ha gli attributi che ho io» e questa sicurezza ne ingigantisce la figura mediatica e sportiva. E’ inimitabile, estraneo ai canoni classici del ruolo, ma è anche un portiere davvero eccezionale, con riflessi fuori dal comune ed una personalità tale da dissuadere chiunque all’affrontarlo.

E’ tutta qui la sua arte, non è e non sarà mai bello come un angelo in volo, quando si tuffa è cartavetra che graffia l’aria, ma su di lui ci si può sempre contare. Gatti ha il talento degli ultimi, di quelli che per strada, non potendosi permettere la bellezza, imparano fin da piccoli a rendere efficace ogni loro gesto.

Intanto arriva il 1975 e Juan Carlos Lorenzo approdato sulla panchina dell’ Union Santa Fe chiede per prima cosa che gli venga preso quello che lui ritiene il più forte portiere del Sud America e così il sodalizio si ricompone. Questa esperienza durerà solo lo spazio di un anno perché il Boca Juniors, ancora lui, a secco di vittorie da troppo tempo, decide di chiamare al suo capezzale il giramondo allenatore del Santa Fe che non appena accettato l’incarico chiede al suo portiere di seguirlo.

Hugo ha già 32 anni, forse non ci sperava neanche più, ma questa è l’occasione che aspettava per ricomporre i pezzi di una vita, nel luogo dove i suoi sogni di bambino avevano sempre avuto dimora, nello stadio del Boca. Commosso accetta.

All’inizio il pubblico è un po’ diffidente, ma poi sarà la sua arte a conquistarlo ad incantarlo fino al punto da farsi perdonare tutto da lui, in campo e fuori. Gatti non è uomo che si possa imbrigliare, costringere entro limiti o comportamenti, il suo è puro istinto, che si fa vita che diventa aria da respirare come palloni da parare, donne da portare a letto o avversari da annichilire con un dribbling, notti da spendere nei bordelli o tuffi sui piedi di calciatori lanciati a rete, la sua anima è da attaccante, un attaccante della vita con i guanti da portiere, uno che non aspetta di essere offeso per reagire, ma vuole agire per primo, regalando sempre spettacolo, piacere e gioia a chi lo guarda. Si potrebbe vivere anche in modo meno tribolato, ma lui è così e la gente lo adora e corre a vederlo anche per questo.

Una parata del Loco

Una parata del Loco

 

Hugo scarta come un giocatore , fa correre brividi a compagni e tifosi che neanche t’immagini, ma quando si allontana dalla porta non è il caso di tremare, perché lei sembra attenderlo come un’amante fedele e il fatto che quasi sempre rimanga pure inviolata ingigantisce il mistero di un’interpretazione del ruolo che per altri sarebbe invece suicida. La sua certezza di essere il più forte, di non avere rivali, di riuscire sempre a cavarsela in qualche modo è come la magia di uno sciamano, che circuisce, incanta e blocca anche gli avversari più smaliziati, un po’ come succede quando davanti ad alcuni di loro lanciati a rete lui si mette ginocchia a terra e braccia larghe, in quella che verrà poi chiamata la “de Dios”, e loro sorpresi spesso finiscono con il finirgli addosso o fargli rimbalzare contro la palla.

Si certo a volte ci sbatte il muso, ma lui è Hugo Gatti, guardatelo bene in faccia, e ditemi se, di fronte a quegli occhi di granito ed a quella bandana, a cui manca solo la piuma per renderlo del tutto simile ad un grande capo indiano , ti verrebbe mai in mente di dirgli qualcosa tipo «Ehi, che caspita combini?».

Ci ha provato una sera del 1977 il suo amico allenatore Lorenzo, allorché opposto al Cruzeiro di Belo Horizonte, il Boca Juniors si stava giocando ai calci di rigore la Coppa Libertadores mai conquistata prima.

«Adesso vediamo di cosa sei capace» gli disse, ed il portiere chiusosi dentro il suo smodato orgoglio, coltivò un crescendo di rabbia tale che dopo i primi quattro rigori incassati imparabilmente lo fece esplodere nel tuffo felino che gli permise di parare il rigore decisivo calciato dal brasiliano Vanderley Lázaro.

Tutto il popolo Xeneize toccò il cielo con un dito e Gatti entrò di diritto nella loro leggenda.

Verso il Mondiale 1978

La sua carriera con il Boca vanterà alla fine due titoli metropolitani nel 1976 e 1981, un titolo Nacional nel 1976, due Coppe Libertadores nel 1977 e 1978 e soprattutto una Coppa Intercontinentale vinta nel 1977 ai danni del Borussia di Moenchengladbach approdato alla finale per rinuncia del Liverpool, detentore della Coppa dei Campioni europea.

Fu proprio a riguardo di questa gara che Gatti avrà modo di dire, di aver giocato in quell’occasione la sua miglior partita. I tedeschi erano una signora squadra, ma la sera del 1 agosto 1977, orfana del mediano Rainer Bonhof, dopo il 2 a 2 conseguito nella gara di andata in terra argentina, commisero l’errore fatale di credere che il peggio fosse passato e quando se ne resero conto era ormai troppo tardi.

Tre gol ne annichilirono l’orgoglio e la sicurezza, e come se non bastasse tutte le loro iniziative si frantumarono contro il muro eretto da quel portiere che sembra un indiano uscito direttamente da un film western e che ogni volta gli strozza in gola l’urlo di gioia. E’ inutile chiedersi come faccia, è così lontano dai classici portieri europei che si fatica a trovare spiegazioni, ma para, e il tempo per conoscere l’origine di quel modo di stare tra i pali non c’è, resta soltanto lo stupore e la rassegnazione. Quella fu anche la notte di Horacio Salinas, un altro a cui il soprannome “Loco” calzava a pennello, e che in seguito avrebbe dilapidato senza ritegno ed in fretta tutto il suo immenso talento in risse, squalifiche ed alcool, consumato a fiumi nei Barrios più poveri della capitale argentina.

Gatti in campo

Gatti in campo

 

A cavallo degli anni settanta però, Hugo Gatti è anche l’acclamato portiere della nazionale che si appresta ad affrontare il Campionato del Mondo del 1978 che si terrà proprio in Argentina ed è proprio per preparasi a questo evento, che la sera del 24 marzo 1976 la selezione albiceleste si trova in Polonia per affrontare una delle tante amichevoli organizzate dal nuovo Commissario Tecnico Luis César Menotti. La squadra sta per entrare in campo, quando cominciano ad arrivare strane notizie dal loro paese lontano.

Si parla di un Golpe, un Colpo di Stato, di un governo esautorato e di un triumvirato di colonnelli a capo del quale c’è un certo Jorge Rafael Videla che ha preso il potere. Tutti i giocatori sono in ansia per le loro famiglie, non riescono ad avere notizie certe da loro, e alcune fonti cominciano pure a riportare voci circa i primi arresti, in molti non vorrebbero giocare. Da Buenos Aires però arrivano ordini precisi, la squadra deve scendere in campo, e Luis César Menotti, un intellettuale prestato al calcio, che legge trattati di filosofia e suona il pianoforte, decide di obbedire e convince i suoi ragazzi a fare altrettanto.

Con tutta l’apprensione e l’amarezza del caso i giocatori argentini scendono in campo e vincono per 2-1 ma forse quella sera in alcuni di loro maturano i primi dubbi sull’uso che del calcio avrebbe fatto la gestione politica del paese. A Canal 7 , la televisione argentina, unica autorizzata a trasmettere quella sera, fu concesso di mandare in onda solo la partita della nazionale, e da quel momento quella squadra diventerà il veicolo mediatico preferito dalla dittatura per dare bella mostra di sè al mondo.

Campionato 1977, Gatti è sempre il felino “arquero” del Boca Juniros e le sue imprese non finiscono di affascinare il pubblico, così come gli aneddoti che lo riguardano, tipo quella volta che durante una gara particolarmente noiosa contro l’Indipendiente, decide di andarsi a sedere sopra la traversa per osservare da lì lo spettacolo dato dai propri compagni. Hugo è un primo attore che non recita mai da comprimario e quando capirà che sulla scena sta per debuttare un tipino a cui tutta la critica sta riservando un po’ troppe attenzioni, deciderà persino di definirlo pubblicamente “un barilotto”, così tanto per riprendersi le luci della ribalta.

Il fatto è che il barilotto si chiama Diego Armando Maradona, e un pomeriggio del 1980 nel corso di Argentinos juniors – Boca Juniors, penserà bene di rifilargli qualcosa come la bellezza di quattro reti, di cui una su rigore, due su punizione ed una in contropiede, superandolo, dopo averlo chiamato fuori dai pali, così tanto per gradire.

Gatti è ferito nell’orgoglio, ma da uomo di sport sa capire quando si trova di fronte ad un fenomeno e quando Diego poco tempo dopo diventerà suo compagno nel Boca, lui lo prenderà sotto la sua ala protettiva.

Gatti, Maradona e Brindisi negli spogliatoi

Gatti, Maradona e Brindisi negli spogliatoi

 

Ma intanto arriviamo alla vigilia del Campionato del Mondo del 1978, l’Argentina è in fermento, le voci di persone scomparse, di prigioni segrete in cui si praticano torture e sevizie si susseguono, in una piazza di Buenos Aires alcune donne riconoscibili da un fazzoletto bianco che portano sul capo hanno preso a ritrovarsi per ricordare al mondo intero il dramma dei loro figli o dei loro mariti scomparsi nel nulla, quanta voglia c’è di parlare di calcio?

Lui, César Menotti, sta approntando la lista dei ventidue da portare al torneo iridato e le scelte sono sempre difficili da fare ma le sole certezze che crede di avere sono costituite dal suo capitano, il coriaceo terzino Jorge Carrascosa e dal suo portiere, Hugo Gatti, anche se ultimamente il giovane Ubaldo Fillol forse gli si è fatto preferire.

Quello che il buon Menotti non poteva immaginare è che un giorno , “El Lobo” Carrascosa, austero e solitario come il lupo evocato dal suo soprannome, rompa gli indugi della sua solitudine e gli comunichi la decisione irrevocabile di non partecipare a quella spedizione mondiale e che lo stesso faccia, di lì a poco, adducendo a motivo dolori ricorrenti a un ginocchio, anche lo stesso Gatti.

E’ per questo motivo che nella storia controversa di quel mondiale entreranno le figure di Daniel Passarella e Ubaldo Matildo Fillol ma verso quest’ultimo, Gatti non avrà mai parole di stima o elogio. Lo riterrà infatti per sempre un portiere e un uomo senza personalità.

Le madri di Plaza de Majo continueranno a manifestare anche nei giorni precedenti e successivi al trionfo biancoceleste, mentre Hugo Gatti e Jorge Carrascosa, resteranno fuori dalla storia ufficiale ma saranno a modo loro i protagonisti di due piccole storie importanti.

Proseguiranno le loro carriere senza più mettere piede in nazionale, ma mentre per Carrascosa le luci della ribalta si affievoliranno progressivamente, Gatti invece continuerà a portare in giro il suo spirito guerriero con intatta baldanza, come quella volta contro l’Huracán quando partito palla al piede dalla sua area, scarterà addirittura tre avversari prima di passare la palla ad Hugo Perotti che segnerà il gol del delirio collettivo.

Il portiere centravanti

E’ il 1981, Hugo Gatti ha 37 anni, è il re della Bombonera, del quartiere della Boca, dei locali notturni, dei bordelli e delle milonghe, e preferisce ancora allenarsi facendo il centravanti, piuttosto che il portiere, perché, così dice, si può capire meglio il punto di vista di chi ti attacca. Nessuno può convincerlo del contrario, anche perché la domenica, in campo, i suoi riflessi, ancora felini, sono sempre l’ultima àncora di salvezza a cui aggrapparsi quando tutti gli argini crollano e gli avversari si avvicinano pericolosamente alla porta.

Si va avanti in questo modo fino alla stagione 1987-1988, quando gli anni cominciano davvero ad incidere in maniera evidente, ed un giorno nel corso di una gara con la modesta squadra del Deportivo Armeno, in una delle sue solite uscite palla al piede, viene sorpreso da un avversario che dopo avergli rubato il pallone corre indisturbato a segnerà la rete dell’inopinata sconfitta. Si rompe qualcosa, tra il cuore “Bostero” della mitica “12- Doce”, e il suo leggendario portiere, e quando in occasione delle elezioni presidenziali, lui si esprimerà addirittura a favore del candidato Raul Alfonsín, malvisto dalla tifoseria Azul Y Oro, tradizionalmente peronista, il divorzio si consuma definitivamente.

Gatti lascia la sua casa, i sogni finiscono, resta il lento declino consumato lontano dagli occhi che ne avevano conosciuto la gloria, e nei Millionarios di Bogotà chiuderà alla veneranda età di 45 anni.

Lascerà il campo con all’attivo 765 partite giocate nella Primera División Argentina, record tutt’ora imbattuto, 18 gare con la nazionale, 26 rigori parati ed una miriade di aneddoti con cui riempire libri e racconti.

Hugo Gatti oggi

Hugo Gatti oggi

 

Che portiere sia stato Hugo Gatti, ce lo racconta il suo soprannome “el Loco”, un matto, che ha fatto il portiere così come ha vissuto, senza calcoli, rischiando sempre oltre il lecito, prendendosi libertà ad altri fatali ma anche uno che, né dal calcio né dalla vita è stato mai tradito, forse perché ha amato tanto entrambe.

Oggi Hugo Gatti è un signore di settanta anni con intatto il vezzo dei capelli lunghi e del sorriso strafottente, fa il commentatore televisivo con la stessa sfrontatezza ed incoscienza di quando si gettava sui piedi degli attaccanti o diceva no alla nazionale dei colonnelli ed a guardarlo bene resta il dubbio di poterlo rivedere un giorno o l’altro con la stessa bandana , gli stessi maglioni a collo alto e i calzettoni mollemente adagiati sui polpacci, in mezzo ai pali di qualche squadra per urlare al mondo, se per caso se lo fosse dimenticato, «Soy el mejor de todos».

Nel 1976 forse prevedendo di rimanere un fenomeno molto emulato ma mai eguagliato, Hugo Gatti si era scritto e aveva cantato anche una canzone dedicata a se stesso. Si intitolava “las locuras de Gatti”, le “follie di Gatti” ed è di quelle che hanno ancora nostalgia i tifosi della Boca, dopo 25 anni , innumerevoli portieri visti passare ed una porta, quella della “Bombonera” che non è più stata amante di nessuno dopo Hugo Orlando Gatti.

Marco Tonelli
© Riproduzione Riservata

, , , , , , , , , , , , No Comment

Leave a comment