Regina Baresi

Regina Baresi (@Cristiano Luca Martini)

Regina Baresi (@Cristiano Luca Martini)

 

Una Baresi all’attacco

Esistono passioni che scorrono nelle vene da generazioni, alimentano sogni riempiendo di aspettative una vita intera senza esaurirsi mai e, inspiegabilmente, si trasmettono alla stessa stregua di dati genetici.
Una passione comune fu condivisa a suo tempo da due fratelli, Beppe e Franco Baresi, uniti nell’amore per il calcio, divisi irrevocabilmente in campo; un unico obbiettivo da perseguire, ma con divise di diversi colori. Fratelli capitani a centrocampo, sotto le opposte insegne di Inter e Milan, si stringono la mano unendo le fasce di due squadre avversarie. Erano i mitici anni Ottanta, le loro imprese fecero sognare i tifosi e infiammare le tribune degli stadi; ma è passato del tempo da allora e la famiglia Baresi si è allargata.
In ogni nuovo nato si riconosce a colpo d’occhio la somiglianza con i genitori: il colore degli occhi, un’espressione del viso. Più difficili da rintracciare, invece, sono le attitudini, il temperamento. Tutti i maschietti in culla hanno i piedi da calciatore, almeno a detta dei papà; eppure, dalle aspettative alla realtà la strada è ben lunga. Una passione come quella non nasce dal nulla e non per combinazione, ti deve scorrere nel sangue. Volesse il caso che ad ereditarla fosse una ragazza. Lei è Regina Baresi, figlia di Beppe, attuale capitano dell’ASD femminile Inter, squadra che ha condotto in serie A.
Una Baresi inaspettata venuta per lanciare la sua personalissima sfida in un Paese dove il calcio è tempio e tradizione, cultura e culto, ma precluso al dominio esclusivamente maschile.

Un primo piano di Regina

Un primo piano di Regina

 

Cognome a parte, o forse proprio a causa di questo, la sua carriera calcistica non è stata spianata fin dall’inizio, anzi, si è scontrata da subito con una ferma opposizione. Le ci sono voluti undici anni per convincere i genitori a permetterle di giocare a pallone. «Non volevano che giocassi a calcio», – racconta Regina a Storie di Sport- «Hanno fatto di tutto per allontanarmi, tentato con ogni tipo di sport: dal pattinaggio sul ghiaccio all’equitazione. Con la danza non ci provarono nemmeno, non si addiceva al mio carattere. Il tennis invece funzionò per qualche tempo, lo praticai per quattro anni. Me la cavavo bene, comunque niente da fare, io volevo giocare a calcio. Anche se il mio allenatore non era molto felice quando me ne andai. Mi disse che era un peccato, che ero portata».

Il tennis per quanto divertente era un ripiego perché in casa Regina aveva sempre inseguito la palla a scacchi. I corridoi erano diventati il suo campo personale dove improvvisare delle partite con papà Beppe, un degno avversario che – come sottolinea lei stessa – non la lasciava mai vincere.

È cresciuta a pane e calcio, guardando i cartoni di Holly e Benji e con un un’unica bambola, non bandita soltanto perché indossava la maglia dell’Inter. Sulla sua fede nerazzura Regina non ha il minimo dubbio: ha sempre tifato Inter. «Spesso mi chiedevano come avrei reagito ad una proposta da parte del Milan», confessa «pensavano che fossi più conciliante a causa di mio zio. Ma io sono interista e giocherò sempre nell’Inter. Non prenderei mai in considerazione un’alternativa del genere. Oltretutto la squadra femminile del Milan è fallita», sottolinea per ribadire il concetto «l’hanno da poco ricreata con un nome diverso».

Complice l’amatissimo film Sognando Beckham, che la fece perseverare ancora di più nella sua idea, finalmente, a undici anni compiuti, si schiuse di fronte a Regina il suo avvenire di calciatrice. Il suo primo club aveva nome Le Azzurre e sarà poi trasformato nell’ASD Inter femminile.

«La società è nata recentemente, nel 2007. È stata fondata da mia madre, che ne è anche la presidente, con l’aiuto di altri genitori». Spiega Regina: «È separata dall’Inter maschile sebbene ne adotti la maglia. Il fatto di avere i colori neroazzuri sicuramente ci dà un’importanza maggiore e anche una responsabilità più grande, in campo siamo chiamate a dimostrare il doppio. I risultati, per fortuna, si vedono. La promozione in serie A è stata una conquista recente, che dobbiamo mantenere».

Un risultato che porta anche la sua firma: nell’ultima partita di campionato di serie A2 il punteggio decisivo è stato stabilito dai tre gol di Regina che ha rivestito in tutto e per tutto il ruolo di capitano trascinando la sua squadra verso la vittoria. «Con un cognome come il mio,» aggiunge «sono chiamata a dare sempre il meglio. Altrimenti la gente pensa che sono arrivata in alto solo perché mi chiamo Baresi, e non è giusto».

Gioca con il numero nove fin dagli esordi, scelta che spiega con il pensiero fisso del gol: poi infilare la palla in rete le piace, la diverte, le dà la giusta carica di adrenalina per giocare fino in fondo. Così dinamica, scarta a priori l’idea di allenare «Non penso che riuscirei a stare in panchina. Per me il calcio si deve giocare».

Regina in azione

Regina in azione

 

Attaccante di razza, il suo è un ruolo diverso da quello occupato dai Baresi che l’hanno preceduta, entrambi difensori doc. In compenso questa posizione tutta personale le permette di avvalersi di un consigliere d’eccezione. Papà Beppe le spiega i trucchi per ingannare le difese; dispensa spesso consigli non potendo partecipare personalmente alle partite a causa delle continue trasferte. La mamma, Elena Manuela Tagliabue, è invece diventata la sua tifosa più accanita, al suo fianco in ogni occasione, e anche se non può avvalersi di suggerimenti da coach offre un insostituibile sostegno morale, non meno importante.

Fianco a fianco sempre, la stanno costruendo insieme questa nuova realtà del calcio femminile che si è dovuta scontrare in partenza contro mille pregiudizi e tuttora appare piuttosto indigesta ai club maschili. A differenza dei paesi esteri, dove ogni squadra coltiva professionalmente il proprio settore femminile, l’Italia è ancora molto arretrata in quest’ambito, quasi alla preistoria, considerando che non c’è alcun collegamento fra i due rami della società e tutte le associazioni di calcio in rosa si fermano al livello dilettantistico. Ogni anno allo stadio olimpico di Berlino la Coppa di Germania è preceduta dalla finale femminile, una prospettiva remota per il nostro Paese dove il calcio “serio” pare riservato esclusivamente agli uomini. «Sarebbe bello poter giocare a San Siro», conviene Regina «ma per come stanno ora le cose in Italia è impossibile. C’è ancora tanto lavoro da fare».

E da dove si deve partire per attuare un cambiamento?
«Dobbiamo cambiare innanzitutto la mentalità delle persone. Negli ultimi tempi qualcosa si è mosso, sono senz’altro molte di più le bambine che entrano nella nostra associazione con l’idea e la speranza di crescere e migliorare. È essenziale soprattutto ottenere l’appoggio delle società maschili: se ciascuna di loro avesse una squadra femminile, come all’estero, questa realtà si assimilerebbe di più all’idea comune. Per arrivare a questo traguardo serve tempo, sicuramente, ma è anche necessaria maggior attenzione da parte di media e sponsor».

Per smentire l’immagine della calciatrice dai tratti prevalentemente mascolini e dare maggiore visibilità alla sua squadra, Regina si è avvicinata al mondo della moda. Con la partecipazione agli eventi di Maria Grazia Severi, noto marchio di stile, si è improvvisata testimonial di campagne di moda per sponsorizzare la sua attività. «Non ho mai fatto sfilate», specifica subito «solo presenze. E non sono andata a cercare la passerella, piuttosto è stata un’occasione che mi è venuta incontro. All’inizio ero molto imbarazzata, ma devo ammettere che si è anche rivelata un’esperienza piacevole».

La sua popolarità ha subìto un aumento notevolissimo in seguito a questa scelta, ma lei non si è montata la testa: ci tiene a ribadire che si sente più a suo agio sul campo da calcio. Preferisce i tacchetti ai tacchi, anche perché il tacco dodici – ci svela in segreto – non lo riesce nemmeno a portare.

Regina in "Maria Grazia Severi"

Regina in “Maria Grazia Severi”

 

Nella vita reale, quella lontana dalle luci della ribalta, Regina è imprenditrice, a dimostrazione delle svariate attività in cui si può dividere una donna senza perdere di vista l’obbiettivo. Dopo un anno di tirocinio in un negozio da dipendente ha deciso di lanciarsi in un’attività tutta sua come proprietaria del Golden Ball, in via Novara 87, nei pressi dello Stadio di San Siro. Di Inter, Milan, Juve e Napoli vende tutto l’abbigliamento e articoli vari, come palloni e zaini; ma nessun team è escluso, in questo caso non c’è discriminazione, perché di qualunque altra squadra esistente al Golden Ball si trova, se non altro, almeno la maglia. «È stata dura all’inizio perché ho dovuto imparare a fare tutto da zero», racconta Regina «ormai, dopo quasi due anni dall’apertura, riesco a gestirmi e i miei collaboratori Luca e Gianni sono un valido aiuto. È un lavoro che mi piace, soprattutto mi permette di organizzarmi con gli orari e non perdere gli allenamenti».

Capitan Baresi ha una squadra da portare avanti e non se ne dimentica, intende dare il massimo anche nella prossima stagione di campionato. Ha tanto da dimostrare e non soltanto a livello sportivo, la sua è una battaglia aperta per la parità di diritti ancora tutta da giocare, naturalmente affondando la palla in rete.

Prima di salutarci, rivela il motto che lei e le sue compagne sono solite ripetere prima di ogni partita: «Crederci sempre, arrendersi mai!». Una massima che non vale solo per il calcio.

Alice Figini
© Riproduzione Riservata

 

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